Osservare il mondo per provare a capirlo

Da Benjamín Labatut a John Burroughs, in viaggio con Pikaia tra libri per capire il mondo

Tra i libri più letti nella prima parte del 2021 si trova un’opera tanto insolita quanto affascinante. Scritto da Benjamín Labatut, Quando abbiamo smesso di capire il mondo (Adelphi, 2021) racconta la straordinaria storia della fisica del Novecento, ma non solo.

Prima di che andiate in libreria a prenderlo, è bene che sappiate che quello che vi troverete tra le mani è un libro ibrido, che mescola saggistica, biografie di personaggi storici e una dichiarata contraffazione biografica sostenuta in varie parti da una vera e propria fiction. Come lo stesso Labatut dichiara, il libro è un’opera di finzione basata su fatti reali, in cui la quantità di finzione va aumentando nel corso del libro. Seguendo la narrazione di Labatut incontrerete, tra gli altri, l’alchimista Johann Konrad Dippel, il chimico Fritz Haber, i matematici Shinichi Mochizuki e Alexander Grothendieck e i fisici Erwin Schrödinger e Werner Karl Heisenberg.

Il primo aspetto decisamente interessante è legato alla struttura del libro. Labatut costruisce un percorso, assolutamente personale, che trascina il lettore in una sorta di vortice di storie che si intrecciano, in cui alcuni aneddoti (per altro non necessariamente veri) permettono di collegare tra di loro personaggi esistiti ed esistenti portandovi a spasso per il Novecento.

Come l’Autore spiega in una intervista, nel libro si trovano “piccole briciole dietro” che il lettore sarà spontaneamente invogliato a raccogliere: “È una forma di manipolazione, ne sono consapevole, ma innocente: perché cerchi di stabilire un dialogo con il lettore, in cui lui si sente come se queste tracce le scoprisse da sé. È un modo di portarlo dentro il tuo modo di pensare, da scrittore, perché mentre scrivi, e scrivendo trovi queste sottili coincidenze, da autore ti sembra di essere sul sentiero giusto. Ti sembra che stai trovando il glitch dentro Matrix, le linee temporanee che connettono una storia con l’altra. È un sentimento che ogni scrittore conosce, in cui ti sembra che il mondo si stia aprendo, mostrandosi nudo soltanto per te. (…) Queste connessioni che traccio potrebbero esistere soltanto perché le sto inserendo in una forma narrativa. La realtà potrebbe essere molto meno luminosa: forse non c’è nessun ordine, nessuna connessione, soltanto capricci. Forse l’intera rete di associazioni che stiamo proiettando sul mondo è qualcosa di completamente inventata dall’uomo”.

Sfogliando le pagine di Labatut in più occasioni sarete quindi spinti a sospendere la lettura, per verificare quanto avete letto scoprendo figure talvolta non molto note, ma di grande fascino. Leggendo il capitolo dedicato, fra l’altro, a Fritz Haber (l’uomo che fece il pane dall’aria e cercò l’oro nel mare) incontrerete anche la moglie Clara Immerwahr (qui una breve biografia da OggiScienza), prima donna tedesca a ottenere un dottorato in chimica: “Il 2 maggio 1915, quando Haber rientra a Berlino per festeggiare il successo ottenuto in Belgio, i due litigano furiosamente. L’uomo, da poco promosso capitano, si considera un eroe di guerra e non accetta che la moglie non sia remissiva e compiacente; quel che non sa è che la donna, piuttosto che essere la complice silenziosa di un atto che giudica barbaro e vigliacco, preferisce togliersi la vita. Dopo aver scritto alcune lettere d’addio, Clara Immerwahr si uccide sparandosi un colpo al cuore con una delle pistole del marito. Muore tra le braccia del figlio adolescente, mentre il mattino dopo Haber è già partito per supervisionare il primo attacco con i gas contro i russi, sul fronte orientale”.

Il secondo elemento di interesse, che giustifica anche il fatto di presentarlo su Pikaia, è legato alla domanda attorno cui il libro ruota: siamo in grado di capire la realtà? quando abbiamo smesso di capire il mondo? Nel libro questa domanda nasce in un bar di Copenaghen, in cui un losco ed enigmatico personaggio chiede ad un imbarazzato Heisenberg: “a chi dobbiamo questo meraviglioso inferno, se non a voi? Mi dica quando ha avuto inizio tutta questa follia, professore. Quand’è che abbiamo smesso di capire il mondo?

Labatut non ha una visione positiva della scienza e nella sua narrazione la scienza non è in grado di spiegare il mondo che ci circonda. L’opinione dell’Autore prende voce nelle parole del giardiniere notturno protagonista dell’epilogo del libro, secondo cui “possiamo scindere gli atomi, ammirare la prima luce e predire la fine dell’universo con un pugno di equazioni, scarabocchi e simboli arcani che le persone normali, che pure controllano ogni minimo dettaglio della propria vita, non comprendono. Ma non si tratta solo della gente comune: nemmeno gli scienziati capiscono più il mondo-ambiente”. Inoltre, Labatut, prendendo spunto dall’ossessione per i temi dell’ecologia, del complesso militare-industriale e della proliferazione delle armi nucleari del matematico Alexander Grothendieck, suggerisce che non saranno i politici a mettere fine al pianeta, ma gli scienziati che camminano come sonnambuli verso l’Apocalisse.

Sfuggendo alla ragnatela di Quando abbiamo smesso di capire il mondo, possiamo in realtà giungere a conclusioni diverse ed essere decisamente più ottimisti e, in realtà, sono gli stessi protagonisti di Labatut ad aiutarci a capire come recuperare la nostra capacità di capire il mondo. Heisemberg, nelle parole di Labatut, ci ricorda che iniziamo a capire il mondo quando lo osserviamo e lo stesso Grothendieck, osservando il mondo che lo circondava, decise di investire tutto il suo denaro nel gruppo Survivre et vivre, fondò una rivista per divulgare le proprie idee sull’autosussistenza e la tutela dell’ambiente. Scelte decisamente non molto comuni negli anni ’70 del secolo scorso, ma che ci indicano una risposta: solo osservando il mondo possiamo capirlo e la scienza è lo strumento migliore che abbiamo per farlo.

In una intervista per l’inserto La Lettura (#479, pp. 10-11), Labatut suggerisce che “la scienza non offre verità ma un metodo, pieno di incertezze: una domanda scottante mai del tutto risolta. La vera scienza sospetta sempre che dietro ogni sua scoperta giaccia qualcosa di più profondo, oscuro, strano. La sua più grande virtù è l’infatuazione per il mistero, un desiderio di sapere perseguito con lo stesso fervore con cui i santi desideravano il contatto con il Verbo, (…) perché anche la scienza, se vista da una certa prospettiva, è una forma particolare di follia: la follia di pensare che possiamo capire il mondo”. Sicuramente la scienza non offre verità, ma è lo strumento migliore di cui disponiamo per fare le nostre scelte e per capire la portata delle nostre azioni sui viventi che ci circondano, oltre che su noi stessi (su Pikaia ne abbiamo parlato qui). 

Un aneddoto di Labatut si presta, per altro, a spiegare come funziona la scienza. Raccontandone del soggiorno sull’isola di Helgoland, Labatut pone Heisenberg sul limite di una scogliera in una giornata, in cui una improvvisa e fitta nebbia rende molto complesso allo smarrito fisico il ritorno all’albergo che lo ospita. Non appena la nebbia si dirada, Heisenberg riconosce una roccia o un altro particolare del paesaggio e progressivamente si avvicina alla sua meta, consapevole di dover agire con calma per non commettere errori. Il vento gelido e la sabbia che si alza rendono ancora più complesso il percorso. La scienza funziona nello stesso modo, osservazione dopo osservazione, passo dopo passo, la scienza ci aiuta a vedere il mondo che ci circonda. Non ci sono quindi sipari che si alzano scoprendo all’improvviso il dietro le quinte, ma solamente scienziati il cui lavoro paziente ci aiuta ad orientarci giorno dopo giorno.

Serve infine essere disposti ad osservare il mondo che ci circonda e per riabituarci a farlo potremmo seguire i consigli che troviamo in L’arte di vedere le cose (Piano B Edizioni, 2021) di John Burroughs. Vedere e osservare nella lingua italiana possono essere sinonimi, ma nella realtà possiamo osservare un dato, una realtà che ci circonda… senza in realtà vederla. Percepire le cose è un’attività che richiede esercizio e allenamento e la natura che ci circonda può esserci di aiuto per ricominciare a capire il mondo.

La natura che è sempre con noi < scrive John Burroughs >, inesauribile riserva di tutto ciò che muove il cuore, desta la mente e infiamma la fantasia; giovevole al corpo, esortazione per l’intelletto e delizia per l’anima. Per lo scienziato la natura è una riserva di dati, leggi e processi; per l’artista lo è di immagini, creatività e ispirazione; per il moralista, di precetti e parabole; per tutti può essere fonte di conoscenza e appagamento”.

Ricominciando a osservare il mondo con la lente della scienza possiamo vedere che come specie abbiamo cambiato le regole del gioco, cambiando l’ambiente per adattarlo a noi stessi. Osservando la portata dei cambiamenti che abbiamo (consapevolmente e inconsapevolmente) indotto nell’ambiente diventa evidente che non possiamo più prescindere dalla sostenibilità delle attività umane per la biosfera. Quella biosfera che garantisce la nostra sopravvivenza e che non ha bisogno di noi, mentre noi invece dipendiamo da essa.