Panthera (leo) fossilis: il leone dimenticato

La storia (naturale) di una specie poco nota dell’Era Glaciale

La fauna dell’”Epoca delle Grandi Glaciazioni”, vissuta all’incirca tra i 2,8 milioni di anni fa e i 10.000 anni fa, beneficia generalmente di una notevole popolarità non solo tra il pubblico del grande schermo (c’è forse ancora qualcuno che non conosce Diego, la tigre dai denti a sciabola del celebre film “Era Glaciale”?), ma anche nella letteratura scientifica grazie alle sue caratteristiche uniche ed inconfondibili, come ad esempio le grandi zanne rivolte verso l’alto del mammut lanoso Mammuthus primigenius e il palco di larghezza superiore ai tre metri del cervo Megaloceros giganteus.

Ad ogni modo nelle pubblicazioni scientifiche è facile ritrovare specie molto più menzionate rispetto ad altre, che sono costrette ad assumere, invece, un ruolo estremamente marginale in un numero ridotto di articoli. Ad esempio Panthera (leo) spelaea, il grande leone fossile vissuto nel Pleistocene Superiore, ovvero in quel particolare periodo della storia della Terra compreso tra i 126.000 e i 11.700 anni fa, rappresenta attualmente per la maggior parte degli studiosi la vera e propria icona dei sommi predatori dell’”Era Glaciale” europea tanto da diventare spesso il protagonista assoluto di numerosi articoli specialistici e divulgativi. La sua popolarità è stata accresciuta in primis grazie al rinvenimento di centinaia di migliaia di ossa provenienti da molteplici siti fossiliferi, tra cui quelli dei Monti Lessini e dei Colli Berici nel nord Italia, di Zoolithen in Germania e di Vindija in Croazia e successivamente dalla scoperta nelle grotte francesi di Lascaux e Chauvet di pitture rupestri raffiguranti alcuni leoni stilizzati, datate tra i 40.000 e i 10.000 anni fa.

Ma questo feroce carnivoro è stato davvero l’unico leone ad aver dominato la scena della grande ”Era Glaciale” europea? E soprattutto: è l’unico degno di nota?

Come sostenuto dal Prof. Martin Sabol, esperto di geologia e paleontologia dell’Università di Bratislava, il ritrovamento nella località inglese di Pakefield di una mandibola risalente a 680.000 anni fa ha dimostrato che le sconfinate praterie innevate e le maestose foreste di conifere hanno ospitato nel Pleistocene Medio, tra i 781.000 e i 126.000 anni fa, una figura altrettanto meritevole di considerazione. Si tratta del più grande leone finora conosciuto: Panthera (leo) fossilis.

La sua taglia era davvero mastodontica, tanto da risultare nettamente superiore a quella di qualsiasi carnivoro estinto e attuale: l’altezza media si aggirava intorno a 1,2 metri al garrese, la lunghezza superava i 3,5 metri e la massa i 400 chilogrammi. Questa specie , conosciuta anche con il nome comune di “leone delle caverne primordiale” è stata descritta per la prima volta nel 1906 da von Reichenau e ha mostrato sin da subito un’originale combinazione di caratteri per i quali si contraddistingueva dalle forme di leone più tardo, come ad esempio le orbite più piccole, le mascelle più larghe, la mandibola più robusta, i denti incisivi di dimensioni ridotte e i canini più appiattiti lateralmente. Tali caratteristiche contribuivano a rendere questo maestoso re delle foreste ancestrali un predatore diurno molto abile, che cacciava molto probabilmente in gruppo come il leone attuale Panthera leo. Le sue prede preferite coincidevano con erbivori di grossa taglia attualmente estinti, come ad esempio il cavallo Equus altidens, il cervo Megaloceros giganteus, il bisonte Bison priscus e occasionalmente cuccioli del rinoceronte lanuto Coelodonta antiquitatis e del mammut lanoso Mammuthus primigenius.

Altre testimonianze più tarde pervenute dalle località di Mauer e Mosbach in Germania, Château Breccia e Grotta d’Azé in Francia, Petralona e Gran Dolina nella Penisola Iberica, nelle grotte di Biśnik nel sud della Polonia e Za Hàjovnou in Repubblica Ceca e presso Isernia La Pineta, Brecce di Soave e Capri in Italia hanno dimostrato che Panthera (leo) fossilis ha beneficiato per oltre mezzo milione di anni di un elevato successo evolutivo, che gli ha permesso di adattarsi al meglio a condizioni climatiche estremamente rigide, paragonabili a quelle attualmente presenti all’interno dei circoli polari.

Tuttavia al tramonto dell’epoca del Pleistocene Medio la forte competizione con il genere Homo, il cambiamento della vegetazione e della fauna ad ungulati e le forti oscillazioni climatiche (causate dall’alternarsi di fasi glaciali fredde ed aride e fasi interglaciali calde e piovose) causarono in Panthera (leo) fossilis un impoverimento demografico via via crescente tanto da provocarne l’estinzione 300.000 anni fa.

Probabilmente se questo sommo predatore preistorico fosse riuscito a sopravvivere fino alla fine del Pleistocene Superiore avrebbe avuto maggiori probabilità di essere raffigurato nelle celebri pitture rupestri dell’Uomo di Crô-Magnon e attualmente sarebbe più conosciuto e apprezzato sia all’interno della comunità scientifica che del pubblico non specialistico.

Ad ogni modo Panthera (leo) fossilis rappresenta il più antico leone preistorico comparso in Europa ed è di importanza fondamentale per la ricostruzione dei primi popolamenti dei grandi carnivori europei e dello studio della loro evoluzione nel corso del “profondo” tempo geologico. Perché dunque non provare a valorizzare come merita la figura di quest’indiscusso dominatore delle coltri ghiacciate negli studi futuri?

Sitografia:
http://www.carnivoraforum.com/topic/9331168/1/: fonte dell’immagine di Panthera (leo) fossilis.

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