Parole in via d’estinzione

Da uno studio (qui l’articolo della BBC) di un gruppo di ricerca guidato da Mark Pagel, biologo della University of Reading (UK) risulta che, nella lingua inglese, alcune parole sono più soggette a sparire dall’uso comune rispetto ad altre, sono più soggette ad estinguersi. Studio si inserisce a pieno titolo nel filone di studi di memetica, in quella che potrebbe

Da uno studio (qui l’articolo della BBC) di un gruppo di ricerca guidato da Mark Pagel, biologo della University of Reading (UK) risulta che, nella lingua inglese, alcune parole sono più soggette a sparire dall’uso comune rispetto ad altre, sono più soggette ad estinguersi. Studio si inserisce a pieno titolo nel filone di studi di memetica, in quella che potrebbe essere chiamata “linguistica di popolazione” .

Parole quali “dirty” (sporcare, sporco), “guts” (viscere, coraggio), “throw” (lanciare, lancio), stick (attaccare, stecco), in un periodo di tempo di circa 1000 anni, rischiano di estinguersi per essere sostituite da altre.

Una cieca lotta per la sopravvivenza si mostra pure nella lingua. Alcune parole sono più soggette ad evoluzione rispetto ad altre, alcune si estinguono per competizione con altre di significato simile o traslato, altre invece sono molto più durature (come i fossili viventi).

Esiste inoltre una correlazione tra le parole che si usano più spesso con il loro perdurare nel linguaggio: più una parola è usata nella vita quotidiana, più essa si conserva, specialmente se è riferita alle persone (pronomi: “I”, “we”), altre parole con buona persistenza sono alcuni nomi ed i numerali (come già suggerito dalla psicologa Susan Blackmore ne La macchina dei memi). In questo caso la resistenza al cambiamento di queste parole si osserva fin dall’origine del ceppo linguistico indo-europeo, risalente a 9000 anni fa. Al contrario, aggettivi e avverbi sono più soggetti a cambiamento, così che metà delle parole dell’inglese attuale non sarebbero riconoscibili ad un inglese di 2.500 anni fa.

“Quando parliamo l’uno con l’altro partecipiamo a questo massivo gioco di bisbigli cinesi [telefono senza fili]” ha dichiarato Mark Pagel, riprendendo una metafora di Dawkins. Le parole sono i replicatori ad alta fedeltà, i nostri cervelli i veicoli, l’imitazione è il processo di replicazione. Le parole sono associate al loro significato per lo più arbitrariamente (tranne nell’onomatopea), così che la conservazione del suono (e dell’eventuale significato) possono solo dipendere da quanto fedele sia la copia da una persona all’altra, per imitazione. Da ciò dipende l’evoluzione delle lingue.

Pensateci la prossima volta che parlate.

Giorgio Tarditi Spagnoli