Perché avere paura è naturale: studiare l’evoluzione della paura per imparare a gestirla

Pikaia ha letto per voi “Paura. Lezioni di sopravvivenza dalla natura selvaggia” (Raffaello Cortina Editore, 2022) scritto dall’etologo e biologo della conservazione Daniel T. Blumstein.

Recentemente un amico mi spiegava che, ogni volta che deve assumere un nuovo farmaco, a guidare le sue scelte non sono i dati o la loro analisi: è la paura.

Potrà sembrare strano, ma il suo comportamento non è così insolito. Per milioni di anni la paura ha mantenuto in vita i nostri antenati (e non solo), perché è un meccanismo che assicura la sopravvivenza in un mondo pieno di rischi.

Per comprendere la paura e cosa essa significhi sia da un punto di vista evolutivo che fisiologico, una eccellente lettura è il libro Paura. Lezioni di sopravvivenza dalla natura selvaggia (Raffaello Cortina Editore, 2022) scritto da Daniel T. Blumstein, etologo e biologo della conservazione dell’Università della California.

La paura – scrive Blumstein – affonda le sue origini nell’evoluzione del sistema nervoso specializzato nei vermi, circa 550 milioni di anni fa. Tale specializzazione ha richiesto una varietà di sostanze neurochimiche per la modulazione selettiva e la coordinazione delle attività, tra cui il controllo delle risposte alle esperienze e alle situazioni potenzialmente mortali. Che si appallottolino su sé stessi per nascondersi o striscino via da una minaccia, gli animali hanno sviluppato la capacità di comportamenti di fuga più complessi e, sostanzialmente, condizionati”.

Potrà sembrare poco nobile, ma per alcuni aspetti siamo i discendenti di una lunga linea di antenati impauriti che sono riusciti a sopravvivere ai predatori adottando una articolata serie di risposte neurochimiche e comportamentali, che hanno permesso loro di stare lontano dal pericolo.

Possiamo considerare le nostre paure e le nostre reazioni alle situazioni spaventose come una parte del grande affresco della vita che ci ha preceduto e allo stesso tempo ci circonda”.

All’origine della paura

Provate a ripensare a quella volta in cui avete evitato per poco un incidente con l’automobile oppure a quel giorno in cui all’esame vi hanno posto esattamente l’unica domanda che non avreste mai voluto sentire. La paura ha modificato il vostro battito cardiaco, aumentato la pressione sanguigna e fatto dilatare le vostre pupille. In pochi istanti le vostre ghiandole surrenali (due piccole ghiandole situate sopra ciascun rene) hanno iniziato a produrre e liberare adrenalina in tutto il vostro corpo, che ha predisposto le vostre vie aeree e i muscoli ad attuare una immediata manovra salvavita: “combatti o fuggi” vi ha intimato il vostro corpo.

Queste reazioni se da un lato aumentano le probabilità di sopravvivenza, dall’altro hanno anche molti costi per il nostro organismo, per cui esistono parti del nostro cervello (ad esempio il sistema nervoso parasimpatico) che vanno a riportare l’organismo in uno stato di cessato allarme.

L’attivazione di un diverso circuito neuronale potrebbe, in altre circostanze, avervi invece bloccato (quello che viene letteralmente chiamato freezing), perché questa sembrava essere l’unica opzione possibile: eravate di fronte a una situazione in cui non potevate affrontare la minaccia né sfuggire da essa.  Secondo uno studio condotto dai ricercatori della Columbia University, che hanno studiato il freezing nei moscerini della frutta, a scatenare il blocco sarebbe un improvviso rilascio di serotonina, una sostanza chimica di norma associata alla regolazione dell’umore.

Modi differenti di avere paura

Passando dalle averle alle civette, con incontri con babbuini, gorilla, macachi, paguri, avvoltoi, cervi e wallaby (solo per citarne alcuni), le pagine di Blumstein ci permettono di vedere come, seppure la paura nasca in risposta a stimoli differenti, sono presenti in tutti gli animali specifici moduli per favorire una risposta a predatori o altre avversità. Il termine “modulo” indica che un animale ha una qualche sorta di standard di riferimento di cui fa uso per aiutarsi a identificare o a categorizzare una cosa. Se avete paura dei serpenti, sappiate che non siete i soli e che anzi state usando un modulo molto comune nei mammiferi. Questo però ci mostra anche la persistenza di questi moduli, perché è ancora presente la paura di specie che non dobbiamo più affrontare.

Sebbene molto differenti da un punto di vista anatomico, fisiologico e comportamentale, lo studio dei meccanismi che generano stati di paura negli animali può quindi aiutarci a capirne il funzionamento anche nella nostra specie: “ogni specie – scrive Blumstein – è il risultato della sua singolare storia evolutiva. Tuttavia, noi condividiamo numerosi meccanismi neurofisiologici con i non umani, e svariati stimoli sociali e predatori innescano risposte neurofisiologiche identiche”.

Stimoli e paura

Analizzando il comportamento di molti animali emerge che la paura può avere tante origini differenti: suoni, odori o stimoli visivi. Come dimostrano numerose sperimentazioni, nasciamo già preparati a rispondere ad alcuni di essi, ma per molti altri impariamo, letteralmente, ad avere paura.

Conoscere questi meccanismi può essere utile per spiegare le scelte che vediamo compiere da parte degli animali, ma certamente la conoscenza di questi meccanismi può essere anche un modo per manipolarci, per guidarci ad avere paura facendo leva su moduli già presenti nel nostro cervello. Serve ricordarci, come ben sottolinea il libro, che siamo una specie straordinariamente irragionevole e le nostre decisioni non si basano soltanto su stime razionali.

Manipolare le paure altrui può essere un modo efficace per motivare il cambiamento, in certe circostanze. Tuttavia, queste conoscenze possono essere usate con intenzioni maligne e bisogna stare attenti a non diventare un bersaglio e proteggere anche gli altri da questo pericolo.

La socialità attutisce la paura

Unirsi in gruppo per evitare i predatori o semplicemente per ascoltare gli altri individui o per stare insieme, fornisce agli animali un vantaggio contro i pericoli. “Come altre emozioni – suggerisce Blumstein -, anche la paura può essere contagiosa e la sensibilità alle emozioni altrui può velocizzare la nostra risposta alle minacce”. È quindi spiegabile il fatto che si possano creare anche nella nostra specie gruppi di persone accomunate dal sentirsi minacciati dalla stessa cosa, ma le decisioni migliori nascono quando a collaborare sono individui con punti di vista differenti. Per decidere al meglio è essenziale disporre di punti di vista contrastanti, così da mettere in dubbio le nostre supposizioni.

Bisogna essere consapevoli che l’apprendimento sociale ha un effetto di moltiplicazione di forza e rendersi conto che talvolta si impara a temere le cose sbagliate. A mio parere, il rischio di imparare a temere le cose sbagliate ci obbliga a valutare bene i rischi connessi agli eventi e a basare le nostre decisioni, personali o politiche che siano, sulle migliori evidenze possibili”.


Imparare dalla paura

Siamo fortemente abituati a considerare le nostre scelte come il frutto di un pensiero razionale. In realtà, siamo condizionati da numerosi bias cognitivi (su Pikaia ne abbiamo parlato qui) e il libro di Blumstein può aiutarci a capire che anche la paura, che ci piaccia o meno, influenza le nostre scelte.

Armati di questo sapere, sarete pronti a interpretare le situazioni di minaccia e di paura intorno a voi. Capirete che è impossibile vivere senza rischi. Vi renderete conto del perché la paura ci renda umani e come, tramite le nostre risposte comportamentali alla paura, non umani e umani siano legati in maniera indissolubile”.

Non abbiate però paura e partite con Blumstein per capire perché reagite a certi stimoli e a certi messaggi nel modo in cui lo fate, sapendo che possiamo imparare ad affrontare i rischi senza panico. Abbiamo la possibilità di divenire capaci di prendere decisioni migliori. E se affrontare le vostre paure vi spaventa… beh… non preoccupatevi, è più che naturale!