Perché gli elefanti sono più resistenti al cancro

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Alla base del ridotto rischio di tumori negli elefanti c’è la duplicazione dei geni soppressori tumorali. Questo avrebbe permesso ai pachidermi di raggiungere notevoli dimensioni senza incorrere in un aumento del rischio di cancro

Ogni cellula ha la potenzialità di trasformarsi in una cellula tumorale. È un retaggio evolutivo di quando le cellule non cooperavano all’interno di un organismo pluricellulare, ma dovevano badare a loro stesse, nutrendosi e riproducendosi in autonomia. Gli organismi hanno meccanismi per eliminare, all’occorrenza, una cellula che torna ad essere “egoista” ma come tutti i sistemi, anche quelli più sofisticati, c’è una percentuale di errore.

Più sono le cellule in un organismo, maggiore è il rischio che una di queste diventi tumorale. Ecco perché, all’interno della stessa specie, si osserva un aumento dell’incidenza dei tumori con l’aumentare della taglia durante la crescita degli individui. La stessa cosa, però, non accade confrontando specie diverse, e questo è noto come il “paradosso di Peto“.

Tra le specie che più alimentano questo paradosso ci sono gli elefanti. Gli elefanti, infatti, hanno la stessa probabilità di soffrire di malattie tumorali di un piccolo topo. In un recente studio pubblicato su eLife, i ricercatori dell’università della California e dell’università di Buffalo, hanno cercato di scoprire in che modo i pachidermi abbiano acquisito questa resistenza.

Gli scienziati si sono concentrati sugli Afroteri, un superordine di mammiferi che va dalle talpe dorate di appena 70 grammi agli elefanti africani che sfiorano le 6 tonnellate. Negli Afroteri il gigantismo sembra ben radicato, visto che si è evoluto per ben 3 volte indipendentemente nelle procavie, nelle mucche di mare e, ovviamente, negli elefanti. I ricercatori hanno ripercorso la storia evolutiva di questo gruppo, tracciandone l’evoluzione della massa corporea e del rischio di tumori, tenendo conto delle variazioni dei geni noti per essere importanti soppressori tumorali, per esempio TP53 e LIF.

Gli scienziati si sono sorpresi nello scoprire che la duplicazione dei geni responsabili della riduzione del rischio di sviluppare tumori è comune in tutti gli Afroteri, grandi e piccoli. Negli elefanti, però, queste duplicazioni partecipano a processi unici che potrebbero spiegare la bassa incidenza di tumori rispetto a quanti ci si aspetterebbe da animali di tale stazza. Secondo gli scienziati, l’aumento nella taglia e l’evoluzione di questi meccanismi anti tumorali è andata a step: da animali di piccole dimensioni ad animali di medie dimensioni, poi da medie a grandi ed infine da grandi a gigantesche, come nel caso di Palaeoloxodon antiquus, l’elefante dalle zanne dritte di 10-13 tonnellate.

Gli scienziati hanno inoltre scoperto come sia nei sirenidi sia nei proboscidati, le duplicazioni del principale fattore genico di soppressione tumorale, il gene TP53, siano state precedute da duplicazioni nei geni GTF2F1, STK11 e BRD7 negli antenati Afroteri più piccoli. Questi tre geni sono coinvolti nella regolazione della trascrizione di TP53 e, pertanto, la loro duplicazione precedente è stata fondamentale per la funzionalità dello stesso TP53, permettendo i “salti” da una taglia a quella più grande senza però incorrere in un maggiore rischio di tumori.

Le cellule degli elefanti, ad esempio, sono estremamente resistenti allo stress ossidativo, riparano velocemente il DNA e non riescono ad essere “immortalizzate”, come quelle tumorali, nemmeno in laboratorio.

Secondo gli scienziati, quindi, la tendenza ad aumentare le dimensioni negli Afroteri potrebbe essere la conseguenza di un genoma ricco di duplicazioni in geni chiave, sia per il ruolo anti-tumorale sia per il controllo nella trascrizione dei geni fondamentali nella soppressione tumorale come ad esempio TP53.

Fonti:
Pervasive duplication of tumor suppressors in Afrotherians during the evolution of large bodies and reduced cancer risk. Juan M Vazquez, Vincent J Lynch, eLife 2021;10:e65041 DOI: 10.7554/eLife.65041

ImmagineSteveoc 86, CC BY-SA 4.0, attraverso Wikimedia Commons