Piante cleptomani che rubano DNA

Una ricerca della Penn State University documenta un raro caso di trasferimento genico orizzontale. I «ladri» sono alcune piante di una famiglia di infestanti

Al ladro, al ladro! Alcune specie di piante parassite hanno la mania per il furto. Il bottino? Pezzi di DNA dell’organismo parassitato, sottratti e poi incorporati nel proprio genoma per usarli come arma contro l’organismo “depredato”. A farlo sono le Orobanche, una famiglia di piante infestanti tra le più dannose per l’agricoltura. Le hanno “colte sul fatto” dei ricercatori della Penn State University, negli Stati Uniti, scoprendo che sono in grado scambiare DNA attraverso un meccanismo che finora sembra praticamente esclusivo dei batteri.

 

La dinamica del furto

Le radici della pianta parassita penetrano nell’ospite e iniziano a sottrargli acqua, zuccheri, minerali e persino DNA e RNA. Le Orobanche “fanno propria” la refurtiva e incorporano le sequenze sottratte nel proprio genoma. Il “furto” che la pianta mette in atto è a tutti gli effetti un trasferimento genico orizzonale (HGT). Il trasferimento genico verticale è quello che avviene da organismi genitori a organismi figli della stessa specie attraverso la riproduzione. Il trasferimento orizzontale, invece, è uno scambio di materiale genetico che può avvenire tra specie diverse. Sebbene molto comune nei batteri, l’HGT è un fenomeno molto raro negli organismi pluricellulari. Gli scienziati dietro allo studio ipotizzano che le Orobanche riescano ad attuarlo per via della relazione molto stretta che instaurano con l’organismo parassitato.

Orobanche

Una Orobanche cumana, sulla sinistra, che parassita un girasole, sulla destra (Immagine: Christopher Clarke /Virginia Tech)

 

La ricerca delle prove

Sfruttando i dati ottenuti da un progetto di sequenziamento del genoma di piante parassite (il Parasitic Plant Genome Project), i ricercatori hanno preso in esame tre piante appartenenti alla famiglia delle Orobanche (Triphysaria versicolor, Striga hermonthica, Phelipanche aegyptiaca), più una non parassita (Lindenbergia philippensis), e ne hanno analizzato il trascrittoma, cioè l’espressione dei geni dell’intero organismo a un dato stadio dello sviluppo o in determinate condizioni; poi di altre 22 piante non parassitiche hanno analizzato le sequenze genomiche. Nel genoma delle Orobanche hanno trovato incorporate sequenze di DNA “straniero” derivante da interi geni di piante parassitate in precedenza. Ma quindi perché rubare geni altrui? Non certo per il solo gusto del furto. I ricercatori, guidati da Claude W. dePamphilis, pensano ci siano motivi precisi se le Orobanche sottraggono il DNA, e hanno formulato qualche ipotesi. Ad esempio, l’HGT potrebbe ridurre il rischio del parassita di contrarre infezioni. Oppure potrebbe aiutare i parassiti a invadere l’ospite con più facilità vincendo le difese che la pianta sotto attacco mette in atto per respingere l’invasore. Le Orobanche sfrutterebbero i geni rubati come “arma”, insomma.

 

Combattere le infestanti e proteggere le colture

I risultati della ricerca sono stati pubblicati sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences. La scoperta aggiunge un tassello importante alla nostra conoscenza delle piante parassite e dei meccanismi di scambio del DNA tra due organismi. Ma i ricercatori guardano anche ad applicazioni pratiche: la loro speranza è di riuscire a sfruttare quanto scoperto per combattere le piante parassite infestanti che mettono a rischio le rese agricole, così da proteggere le piante delle colture.

Simona Marra, da Zanichelli Aula di Scienze

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Immagine: Wikimedia Commons