Prove del consumo di vegetali nella dieta dei Neanderthal

Una nuova metodica biochimica permette di rilevare tracce del consumo di vegetali da parte dei Neanderthal esaminando residui della loro digestione trovati in un sito archeologico spagnolo

Nell’immaginario dei primi a imbattersi nei loro resti ossei, a metà del diciannovesimo secolo, gli uomini di Neanderthal apparivano come bruti rozzi e primitivi; chiaramente distinti dall’evoluto uomo moderno, in particolar modo dai civilizzati europei. Col passare del tempo, e con l’accumularsi delle prove scientifiche, molti di questi pregiudizi hanno dovuto essere messi da parte, consegnandoci il ritratto di un essere leggermente diverso da noi anatomicamente, ma ciò nonostante pienamente umano. 
Recentemente una nuova tecnica di indagine biochimica ha permesso di superare un altro luogo comune su questi nostri cugini: l’idea che prevedeva una loro alimentazione basata del tutto, o quasi, sul consumo di carne. Il risultato è stato ottenuto dalla collaborazione fra ricercatori dell’università spagnola di Tenerife e dello statunitense MIT, coordinati da A. Sistiaga, che hanno esaminato campioni di terreno prelevati dal sito paleolitico di El Salt (Spagna). Il sito era già stato identificato in precedenza come sede di ripetute occupazioni da parte di Neanderthal, durate da sessantamila a quarantacinquemila anni fa.
I dettagli tecnici del nuovo metodo, insieme ai risultati che hanno portato a ipotizzare il consumo di vegetali da parte degli uomini di Neanderthal, sono stati riportati dai ricercatori attraverso un loro articolo pubblicato sulla rivista ad accesso libero PLOS ONE. Gli autori hanno potuto stabilire che in cinque campioni, prelevati a varie profondità in corrispondenza delle tracce di episodi di occupazione del sito, erano presenti alte quantità di coprostanolo, un residuo della degradazione del colesterolo da parte della flora batterica intestinale, rilasciato nel terreno con le feci. 
Anche se l’essere umano moderno non e l’unico animale a produrre coprostanolo, ne produce quantità molto superiori a qualunque altro organismo noto e dovrebbe essere l’unica specie in grado di rilasciarne in concentrazioni compatibili con quelle trovate dai ricercatori. Esseri umani moderni non potevano essere presenti nel sito, in quanto le analisi sono basate su campioni di circa 50.000 anni fa, quando la nostra specie non era ancora approdata in Europa. Ma vista la loro stretta parentela biologica con gli umani moderni, e visto che le tracce di coprostanolo diminuiscono allontanandosi dall’area archeologica, i più probabili responsabili della contaminazione sono stati individuati negli antichi frequentatori Neanderthal del luogo.
Stabilito che il coprostanolo è, con grande probabilità, un indicatore valido per le feci dei neanderthal quanto lo è per quelle degli umani moderni; i ricercatori hanno nuovamente esaminato  i campioni alla ricerca di molecole prodotte dalla digestione di vegetali. Almeno uno di essi presentava chiare tracce di 5β-stigmastanolo, un residuo digestivo degli steroli vegetali prodotto nell’intestino  in modo simile a quanto accade per il coprostanolo. La concentrazione di questa sostanza era molto più bassa di quella del coprostanolo, ma, tenendo conto che le piante contengono molti meno steroli rispetto alla carne, anche basse concentrazioni nel terreno di questo residuo digestivo testimoniano il consumo di quantità significative di vegetali da parte degli individui che lo hanno rilasciato.
Oltre a fare nuova luce sul comportamento dei nostri cugini Neanderthal e a dimostrare la validità della nuova tecnica utilizzata, questa prima applicazione sul campo ne ha evidenziato anche le grandi potenzialità. Il gruppo di ricerca prospetta infatti già di applicarla ai siti frequentati anche da altre antiche specie umane. Potremmo quindi forse avere presto nuove e più approfondite conoscenze anche sull’alimentazione di altri dei nostri più stretti parenti.
Daniele Paulis

Riferimenti:Sistiaga A, Mallol C, Galván B, Summons RE. The neanderthal meal: a new perspective using faecal biomarkers. PLoS One. 2014 Jun 25;9(6):e101045. Doi:10.1371/journal.pone.0101045. 
Immagine da Wikimedia Commons