Quel che resta. Scheletri e resti umani tra conservazione, scienza e società

quel che resta

“Quel che resta” è un libro per antropologi e studiosi di resti umani, adatto anche a lettori non esperti. Uno sguardo a beni culturali che sono all’intersezione di molteplici aspetti della società e che per questo richiedono una specifica cura.

Titolo: Quel che resta. Scheletri e altri resti umani come beni culturali.
A cura di: Maria Giovanna Belcastro, Giorgio Manzi, Jacopo Moggi Cecchi
Editore: il Mulino
Anno: 2022
Pagine: 192
Isbn: 9788815299574

Qualche anno fa, durante i miei studi universitari, un’esercitazione venne bruscamente interrotta. Eravamo in un polveroso laboratorio nel seminterrato degli istituti biologici e una delle mie colleghe si rifiutava di partecipare all’attività proposta. Era turbata, irrequieta, ed espresse chiaramente il suo sdegno verso il compito che le aveva assegnato il docente: misurare il femore di un bambino di 3 anni. La lezione che stavamo seguendo era di antropologia fisica. Si era iscritta a un corso di scienze applicate alla conservazione e restauro dei beni culturali, perché mai avrebbe dovuto toccare “quel che resta” di una piccola vita spezzata? Quella che ai tempi sembrò a molti una reazione un po’ scomposta, ora è un episodio che mostra quanto fosse necessario un libro come “Quel che resta. Scheletri e altri resti umani come beni culturali” (il Mulino, 2022).

Resti umani come beni culturali
Il bene culturale è una testimonianza che ha valore di civiltà. Può essere un oggetto mobile o immobile: un antico palazzo, un libro, uno strumento musicale o un frammento di un vaso d’argilla. Sono tantissimi i beni culturali che, in quanto tali, devono essere tutelati, conservati e restaurati per permetterne la trasmissione ai posteri, in una continua partita a scacchi con il Tempo, vincitore designato. In questo grande insieme di beni ci sono anche i resti umani. È facile immaginare che siano solo ossa e denti ma, grazie alle pagine del testo, ci affacciamo a una varietà infinita di reperti: mummie, organi pietrificati, organi conservati a secco o in liquidi, organi plastinati — i cui liquidi sono stati sostituiti con prodotti a base di silicone —, manufatti realizzati con parti di corpi umani, riproduzioni, modelli anatomici, calchi, maschere mortuarie e copie 3D. Un insieme di una ricchezza straordinaria, distribuito in musei, collezioni private, istituzioni ecclesiastiche. Ma anche spoglie di esseri umani come noi. Soggetti divenuti oggetti che però, con l’aiuto della scienza, possono raccontarci storie che superano la loro individualità.

Il limite tra natura e cultura, tra individuo e comunità, tra vita e morte
I fossili di ominidi, studiati prima solo morfologicamente e, in seguito, dal punto di vista genetico e isotopico, ci hanno permesso ci ricostruire quel cespuglio intricato che è l’evoluzione umana; i crani umani che il medico Paolo Mantegazza, sostenitore e divulgatore delle teorie di Darwin, analizzò nell’Ottocento e attraverso i quali mostrò l’impossibilità di definire le “razze”; i celebri calchi degli abitanti di Pompei travolti dall’eruzione del Vesuvio del 79 d.C.
Questi sono solo alcuni esempi che gli autori del testo inseriscono quali fonti inestimabili di informazioni che hanno cambiato profondamente la storia dell’umanità, le fondamenta della società e la comprensione di tutto ciò che ci circonda. Reperti che si muovono su confini sfumati. Cadaveri trasformati da processi naturali e divenuti essi stessi parte degli strati che li contenevano, ma anche ossa accompagnate da corredi funerari, da cui trarre dati sulla cultura delle comunità di cui erano parte. Resti che riflettono caratteristiche di società del passato oppure “solo” vicende esclusive di singoli individui. C’è poi il limes per antonomasia su cui giacciono: quello tra vita e morte, che gli studi scientifici in qualche modo fanno attraversare nuovamente a questi corpi.

Un compromesso tra conoscenza ed etica
Proprio per questa capacità della scienza (e della musealizzazione) diventa necessario porre particolare cura verso “quel che resta”. Un tempo quegli scheletri, quegli organi, erano persone e questo dovrebbe suscitare attenzione nel trattare e diffondere le storie e le informazioni ricavate da questi beni culturali. Questo ne eviterà la strumentalizzazione o la chiusura di collezioni che costituiscono patrimoni fondamentali di conoscenze.
Che siano un paio di denti, un cranio, un cadavere ancora intatto, in quei resti c’è chi rivedrà ancora un parente, un concittadino, un discendente. E al dolore di una perdita e alla reverenza verso una vita che si è spenta, si deve sempre riservare rispetto, un rispetto che lo studio scientifico e la divulgazione non dovranno mai far venire meno per poter proseguire nel loro cammino verso il sapere.