Raccontare l’uomo di Neanderthal

L’uomo di Neanderthal è una vera superstar dell’antropologia. Pikaia vi propone un viaggio tra alcuni recenti libri che ne hanno raccontato l’evoluzione in modi diversi.

Nel corso degli ultimi anni, ogni nuova scoperta relativa all’uomo di Neanderthal è stata accolta con grande attenzione dai media e dal pubblico. Non sorprende quindi che anche nelle librerie siano arrivati tantissimi libri che trattano, in modo molto eterogeneo, questo tema.

Indipendentemente dal gusto personale, è interessante che le stesse scoperte scientifiche siano state raccontate con diversi stili narrativi, così da raggiungere un pubblico sempre più ampio ed eterogeneo avvicinandolo anche al modo in cui la scienza procede.

Per iniziare il nuovo anno, Pikaia vi propone un viaggio tra libri che hanno raccontato l’uomo di Neanderthal per andare alla scoperta della loro evoluzione e di quello che, grazie a loro, possiamo capire della nostra.

Trecentomila anni di storia dei nostri fratelli

Mio caro Neandertal (Bollati Boringhieri, 2018) nasce dall’incontro tra Silvana Condemi, paleoantropologa dell’Università di Aix-Marseille, e il giornalista scientifico Francois Savatier, anzi come dicono gli Autori stessi l’opera prende forma “pranzo dopo pranzo” (su Pikaia ne avevamo parlato qui). Il libro propone al lettore un eccellente viaggio “informale ma completo nella ricerca sull’uomo di Neanderthal”, in cui il ricorrente confronto con i sapiens finisce per portare il lettore a riflettere anche su ciò che queste ricerche dicono su di noi e sulla nostra evoluzione.

Il libro parte dalle caratteristiche anatomiche tipiche dei Neanderthal, cui aggiunge, capitolo dopo capitolo, numerosi livelli di analisi che rendono l’uomo di Neanderthal molto concreto e tridimensionale. Non solo quindi come era fatto, ma perché aveva date caratteristiche, quali sfide ha dovuto affrontare e come le ha risolte, cosa mangiava e cucinava (ebbene sì.. usava il fuoco per cucinare), come sceglieva i luoghi in cui abitare, che materiali usava e che capacità cognitive (probabilmente) aveva.

“Colpisce che dopo una fase di stabilità lunga 250.000 anni, il Musteriano si evolve in Europa e si diversifica alla fine della storia neandertaliana in varie tecniche litiche in un lasso di tempo relativamente breve, di appena 10.000 anni circa. In ogni caso, se anche i neandertaliani cambiarono bruscamente stile di taglio per via dell’influenza indiretta dei sapiens, non avrebbero mai potuto farlo se non avessero posseduto una facoltà cognitiva e una capacità di comunicazione e simbolizzazione all’altezza del loro concorrente. Fino ad allora avevano tenuto un comportamento piuttosto abitudinario, che denotava una mentalità di questo tipo: tecnica che funziona, non si cambia. All’improvviso dovettero innovare per imitare abili concorrenti”.

Il capitolo in cui viene discussa la possibilità che l’uomo di Neanderthal sapesse parlare è molto significativo: ci mostra infatti come la ricerca procede, tra dubbi e ipotesi che nascono e muoiono. Condemi e Savatier non temono di dire quando la scienza non ha una risposta e si limitano in alcuni casi a formulare prudenti proposte interpretative suggerendo però sempre quali dati sono presenti e quali mancano.

La scienza si può raccontare senza parole

Da un punto di vista comunicativo il 2022 ci ha regalato un interessante esperimento, dato dalla graphic novel The tale of Tal, pensata e realizzata (su Pikaia ne abbiamo parlato qui) da Gianpaolo Di Silvestro, paleontologo e curatore della documentazione scientifica, e Luca Vergerio, illustratore e fumettista che si è occupato della parte artistica e narrativa.

Premesso il conflitto di interesse legato al fatto di avere seguito l’opera sin dalle prima fasi di progettazione, la cosa che ho trovato interessante è stata la possibilità di usare non solo una graphic novel, ma un silent book per raccontare la scienza. La scienza vive di immagini che sono usate non solo per raccontarla, ma letteralmente per farla (si pensi, ad esempio, ai risultati delle pubblicazioni scientifiche o alle fotografie di telescopi e microscopi). Sebbene però le immagini e l’osservazione siano alla base della scienza e siano in grado di coinvolgerci più di altre forme di comunicazione, l’utilizzo della graphic novel non è molto comune nella comunicazione della scienza in particolare in Italia.

L’aspetto che mi ha più colpito del lavoro di Di Silvestro e Vergerio è stata l’attenzione a combinare il bisogno di chiarezza, tipico della comunicazione, con una esposizione accurata di fatti e argomentazioni scientifiche. La stessa scelta di ricorrere ad un silent book è interessante perché non abbiamo alcuna informazione su come parlassero (e se parlassero) i Neanderthal, per cui meglio non riempire gli spazi vuoti delle nostre conoscenze con la fantasia.

A conti fatti, quella della divulgazione scientifica a fumetti è in generale una strada ancora poco pavimentata e ci troviamo probabilmente di fronte a una preliminare esplorazione delle potenzialità del linguaggio in questo senso”. Matteo Gaspari, La nuova via del fumetto di divulgazione scientifica.

The Tale of Tal a mio avviso mostra (e sono curioso di vedere i giudizi che ne daranno i lettori) le enormi potenzialità che le graphic novel hanno di raccontare i concetti centrali, “l’anima” potremmo dire, della scienza senza alterarli e anzi stimolandoci a scoprire la scienza che si nasconde dietro ciascuna illustrazione andando ad avvicinare alla scienza un pubblico di lettori giovani, ma spesso esigenti in termini di qualità dell’opera.

Serve infine ricordare che le graphic novel possono essere utili anche per cogliere spunti e imparare qualcosa di più sulla scienza, perché la scienza è prima di tutto osservazione, per cui per alcuni versi la scienza stessa è una grande graphic novel.

La vita spiegata a un Neanderthal

Una delle pubblicazioni più insolite dedicate all’evoluzione umana è La vita spiegata da un Sapiens a un Neanderthal (Rizzoli, 2021), opera di Juan José Millás, uno dei più importanti e prolifici scrittori spagnoli contemporanei, e Juan Luis Arsuaga, paleontologo e direttore del museo dell’Evoluzione Umana, oltre che del sito archeologico di Atapuerca.

Il libro si presenta come un dialogo informale tra Millas e Arsuaga e nasce dalla premessa, citata nell’introduzione, che l’antropologo spagnolo si spieghi meglio di quanto non scriva, motivo, per cui nel libro lo scienziato racconta a Millas che poi in modo autonomo “traduce” quanto sentito in un testo, dopo averlo digerito, selezionato e organizzato. Da questo patto nasce un libro che indubbiamente presenta una struttura originale perché Arsuaga porta in campo Millas invitandolo a vedere ciò che lui racconta e alcune scelte dei luoghi sono decisamente intriganti. Ad esempio, usare un mercato ortofrutticolo come luogo in cui ragionare sul modo in cui si sono evolute nei primati le abitudini alimentari è molto interessante, anche perché i prodotti presenti sui banchi sono una delle più efficaci attestazioni dei grandi cambiamenti indotti dall’uomo durante il Neolitico.

L’originalità del libro è anche nel linguaggio, che è molto informale. Purtroppo spesso si allontana non solo dal rigore scientifico, ma anche dalla correttezza dei contenuti. Se per quanto riguarda lo stile si potrebbe dire che questa narrazione è decisamente “barbascurizzata”, sui contenuti invece forse è saltato il compromesso tra accuratezza e comprensibilità che dovrebbe caratterizzare un saggio scientifico (usando questo termine perché il libro è pubblicato come BUR Rizzoli – Saggi).

Ad esempio, parlando del possibile incrocio Neanderthal-Sapiens, i due autori spagnoli scrivono:

Il problema è che a forza di scambiarsi oggetti, lo sfioramento generò affetto e i Neanderthal e i Sapiens cominciarono ad andare a letto insieme. I Sapiens, che erano furbi, lo facevano per vizio, mentre i Neanderthal, più ingenui, erano mossi dall’amore. Ed è lì che iniziò lo scambio genetico“.

Oppure sullo stesso argomento:

Richard Wrangham, un primatologo molto famoso dice che noi siamo i bonobo dei Neanderthal“. “Bè saremo domestici, ma stronzi, osservai ricordando alcune dichiarazioni di Donald Trump. (…) Ho sempre pensato che lo stronzo fosse il Sapiens. Che il Neanderthal scopasse con il Sapiens per amore, mentre il Sapiens scopava il Neanderthal per interesse”. “Non farti illusioni, quello aggressivo era il Neanderthal e noi gli sembravamo infantili. La neotenia consiste nel somigliare ai tuoi antenati senza aver perso i loro tratti infantili. Il Sapiens sembrava il figlio del Neanderthal“.

Se, invece, vi interessano le specie invasive e la loro gestione, potreste ragionare su questo passaggio:

D’altra parte, il silenzio era tale che si sentivano i nostri passi sul sentiero brullo, finché una nuvola di trecento o quattrocento cocorite sorvolò stridendo le nostre teste (…). Figlie di puttana, esclamò Arsuaga, lanciando agli uccelli un’occhiata assassina. Faranno fuori tutta la fauna autoctona perché sono difficilissime da sterminare“.

Probabilmente in un video su TikTok o su YouTube questa scelta può essere premiante, ma quale messaggio riesce realmente a trasmettere un testo di questo tipo?

Leggendo questo libri mi sono tornate in mente due domande che la giornalista Anna Rita Longo proponeva su Scienza in Rete poco meno di due anni fa, ma che trovo ancora molto attuali:

  • L’uso sistematico della banalizzazione è un invito ad avvicinarsi alla scienza e a riscoprire il valore dello studio e dell’approfondimento?
  • Si ritiene che la scelta della comicità scurrile costituisca di per sé un’innovazione, anche se è un cliché datato e abusato? E questa presunta innovazione merita di essere considerata un’operazione culturale che promuove la cultura scientifica?

Ricostruire il passato per pensare il futuro

Studiare l’evoluzione dell’uomo (in tutte le sue forme e specie) è interessante non solo per l’antropologia, ma anche perché ci aiuta a capire il modo in cui si è evoluto il nostro cervello e, più in generale, l’origine delle società umane. Le impronte del signor Neanderthal (Solferino, 2021), scritto da Giuseppe Remuzzi, medico e scienziato italiano di fama internazionale e direttore dell’Istituto Mario Negri, è un testo ricchissimo e particolare, che nasce da materiali e spunti pubblicati sul Corriere della Sera, presentati nel libro in forma arricchita. 

Ogni capitolo si presenta come una breve tappa di un viaggio che partendo dall’evoluzione umana e dal rapporto tra sapiens e Neanderthal parla anche di diseguaglianze nell’accesso alla salute (e ai vaccini), di pandemia Sars-cov2 e del ruolo culturale e civile della scienza. Sebbene i diversi capitoli spesso siano più spunti di riflessione che non narrazioni esaustive, Remuzzi guida il lettore tra quesiti complessi, che vanno dall’origine della vita all’estinzione dei nostri cugini neandertaliani, sino a cosa nel nostro cervello ci faccia essere curiosi, aggressivi e perfino predisposti alla corruzione. Se state quindi cercando un libro che parli di evoluzione passata e presente dell’uomo senza però dovervi addentrare in un complesso saggio, questo è il libro che fa per voi.

Cosa ci riserverà il futuro?

Quando si pensa ad altre specie umane, esclusa la nostra, a tutti viene in mente l’uomo di Neanderthal, che è divenuto una vera e propria superstar dell’antropologia. Serve però ricordarsi che fino a 50.000 anni fa il pianeta terra era abitato da almeno cinque specie umane diverse, tra cui l’Homo sapiens, e non è ancora noto come si siano estinte le altre quattro.

Noi siamo l’ultimo ramoscello di un cespuglio complicatissimo di specie che dobbiamo ancora in gran parte studiare.  Come ci ricorda il nostro Direttore Telmo Pievani, le scoperte antropologiche ci riserveranno sicuramente numerose sorprese e chissà cosa riusciremo ancora a scoprire sul nostro passato e sui tanti modi di essere umani.