Recensione de “Il primo libro di filosofia della scienza”

Pubblichiamo una recensione de “Il primo libro di filosofia della scienza” di Samir Okasha, libro fondamentale per avvicinarsi al dibattito epistemologico fornendo gli strumenti critici adeguati alla comprensione della struttura e dei valori della scienza contemporanea.

Ne Il primo libro di filosofia della scienza (Einaudi, 2006), Samir Okasha offre al lettore una generale introduzione sulle questioni che i filosofi si trovano ad affrontare nello studio delle discipline scientifiche. Attraverso la filosofia della scienza, gli studiosi si interrogano su quali siano i metodi più appropriati alla ricerca scientifica. Tuttavia, si tratta di una questione tutt’altro che semplice, e ad oggi permangono numerose divisioni.

Nonostante l’induzione sia attualmente il metodo più applicato nell’analisi della realtà circostante, non tutti concordano sulla legittimità del suo utilizzo. Sin dalla formulazione del principio della uniformità della natura (la supposizione secondo cui il futuro si conformi al passato) da parte del filosofo empirista David Hume, gli scienziati hanno messo in evidenza come, difronte all’incertezza del corso degli eventi naturali, si possa far fronte alla necessità di spiegare la realtà circostante solo attraverso l’applicazione di modelli probabilistici.

A tal proposito, Okasha descrive anche un altro tipo di inferenza non deduttiva, l’ inferenza verso la spiegazione migliore (ISM). Si faccia riferimento al paragrafo nel saggio (pp.30- 35) per una più ampia discussione del caso qui trattato. Come nell’esempio, si postulano due premesse, cui segue una conclusione. Un’inferenza-tipo potrebbe essere la seguente:

Il formaggio nella dispensa è scomparso, a parte poche briciole (Premessa 1)
La notte scorsa sono stati uditi rumori raschianti provenire dalla dispensa (Premessa 2)
Il formaggio è stato raschiato da un topo (Conclusione)

Ora, la conclusione non segue logicamente dalle premesse. Il formaggio avrebbe potuto esser mangiato da un topo, ma ciò non esclude che ad appropriarsene non possa esser stato un altro agente, ad esempio una cameriera. Cosa ci fa preferire una spiegazione ad un’altra? “Di norma le cameriere non rubano il formaggio (p.32)” e “i topi normalmente mangiano il formaggio quando ne hanno l’opportunità, e tendono a fare suoni raschianti (p.32)”. Dunque, assumere il topo come causa della parziale scomparsa del formaggio è una spiegazione più semplice, parsimoniosa, rispetto all’altra: se fosse stata la cameriera, avremmo dovuto postulare due cause, invece di una, per spiegare sia la scomparsa che i rumori raschianti (nell’esempio, quest’ultimi avrebbero potuto essere provocati da un boiler surriscaldato). Più semplice la spiegazione, più attraente diventa accoglierla; non tutti, però, concordano.

Ma cos’è esattamente una spiegazione scientifica? E’ questa un’altra domanda affrontata nel saggio, cui Carl Hempel tentò di rispondere negli anni Sessanta, senza però riuscirvi in maniera soddisfacente. Come mostra l’autore, il modello della legge di copertura hempeliano, seppur articolato ed efficace  è troppo ‘liberale’ per permettere un’adeguata comprensione delle relazioni fra spiegazione e predizione di un fenomeno. Secondo Hempel, una spiegazione scientifica dovrebbe seguire il seguente schema (cfr. p. 43 del saggio):

Leggi generali
Fatti particolari

Fenomeno che deve essere spiegato

Ad esempio, la spiegazione newtoniana delle orbite ellittiche dei pianeti (fenomeno da spiegare o explanandum), si fonda sulle predizioni della legge di gravitazione universale in aggiunta ad altri fatti particolari. Il modello, tuttavia, presenta alcuni difetti: esso può infatti escludere spiegazioni che sarebbero utili o, al contrario, include ciò che potrebbe essere escluso e che genera errori nell’esatta comprensione di un fenomeno. Applicando il modello hempeliano, ci si accorge che la spiegazione è una relazione asimmetrica non, come Hempel aveva supposto, simmetrica. Ciò vuol dire che, date alcune leggi e alcuni fatti, se x spiega y, non è sempre detto che y speghi x. (per una trattazione più completa si rimanda al capitolo III, specialmente alle pp. 46-50). Si pensi, dice Okasha, al fatto che le orbite hanno forma ellittica, un fenomeno scoperto da Keplero. Se tale fatto non fosse stato scoperto, Newton avrebbe potuto predirlo: Hempel afferma dunque che spiegazione e predizione sono simmetriche.

Ancora, se viene chiesto di spiegare la lunghezza di un’ombra proiettata da un’asta sul terreno sapendo la lunghezza di questa, l’angolazione del sole e le leggi che determinano la diffusione della luce, non è altrettanto vero il contrario. Non è detto che l’altezza dell’asta possa essere spiegata dalla lunghezza dell’ombra e dalle altre premesse enunciate. Potrebbero esservi altre ragioni, ad esempio le intenzioni dell’artigiano, che determinano l’altezza dell’asta. La simmetria non è così rispettata.

Nel Capitolo IV viene invece ripercorso il dibattito fra realisti ed antirealisti. I primi sostengono che possa farsi oggetto di scienza tutto il reale; i secondi, al contrario, credono fermamente che se da un lato i fenomeni osservabili non si mettono in discussione, dall’altro sull’universo inosservabile è legittimo avanzare delle riserve. Quel che gli antirealisti ritengono, è che le ipotesi formulate sulla realtà microscopica possano servire sì da ipotesi euristiche, per spiegare fenomeni osservabili empiricamente, ma che non si debba riporre eccessiva fiducia nella loro correttezza. Come si vede, sono questioni di grande complessità, che tuttavia non possono non essere poste, specialmente con l’avanzare della tecnologia e l’aumento delle scoperte scientifiche che talvolta possono determinare delle vere e proprie rivoluzioni.

A questo tema, lo storico della scienza Thomas Kuhn dedicò un’intero libro: La struttura delle rivoluzioni scientifiche, pubblicato nel 1962. Lo studioso americano mise in evidenza come sino ad allora i filosofi della scienza (come nel caso dei positivisti logici, i quali davano risalto all’aspetto oggettivo della scienza), avessero posto poca attenzione verso la storia e i processi che andavano a culminare nella formulazione di un’ipotesi o teoria scientifica. Attraverso la studio della storia della scienza e una critica radicale al pensiero allora dominante, Kuhn giunse così a formulare una teoria che fece molto dibattere. Il processo scientifico era tutt’altro che cumulativo e lineare, come si credeva. In esso, a detta di Kuhn, potevano distinguersi dei periodi di scienza normale, nei quali si cercava di attenersi ad un paradigma generale. Tuttavia, se durante il periodo di scienza normale si verificavano delle anomalie che non avessero trovato giustificazione all’interno del paradigma, si generava un cambiamento radicale; una rivoluzione scientifica, appunto.

I problemi, però, non terminano qui: dopo la pubblicazione del saggio, Kuhn si trovò ad affrontare numerose critiche che lo portarono ad ammorbidire la sua posizione riguardo l’incommensurabilità (possibilità di un loro confronto) dei paradigmi. Se fra essi in una prima formulazione non poteva instaurarsi un confronto, più tardi Kuhn ammise la parziale traduzione e confrontabilità dei linguaggi tramite cui “parlavano” i paradigmi. Un’altra questione che fece discutere la comunità scientifica, fu l’affermazione kuhniana dell’irrazionalità della scienza. Egli precisò poi che tale irrazionalità si riferiva alla non esistenza di un algoritmo in grado di scegliere fra più teorie scientifiche, e che tale scelta richiede una certa dose di soggettività (un ‘atto di fede’) da parte degli scienziati, dal momento che essi sono, inevitabilmente, influenzati dal contesto socio-culturale in cui operano.

In conclusione del saggio sono due capitoli, uno dedicato all’applicazione della filosofia della scienza in fisica, biologia e psicologia; l’altro al rapporto fra scienza ed etica. Okasha discute il dibattito intercorso fra Newton e Leibniz riguardo all’esistenza di spazio e moto relativo ed assoluto; la disputa fra cladisti e fenetisti nella ricerca di un metodo adeguato per la classificazione degli organismi; ed infine la necessità di stabilire una connessione fra i sostenitori del cervello modulare o  generale.

In ultimo viene riflettuto sulle disastrose strumentalizzazioni fatte della scienza nel corso della storia e sulla necessità di portare la questione di un’etica della scienza sempre più in evidenza, evitando che ideologie estremiste e pericolose possano impadronirsene senza riguardo per il rispetto dell’uomo e della natura circostante.

Quale dovrebbe essere l’atteggiamento corretto verso la pratica scientifica? Quali sono i rischi del suo stravolgimento? Queste sono alcune delle domande a cui Okasha tenta di fornire una risposta che, nella solco della tradizione filosofica, non è mai conclusiva.

Una nota finale: sebbene il libro tratti di numerose questioni, Okasha si è sovente soffermato sulla filosofia della biologia, e grazie al suo saggio Evolution and the levels of selection (2006) gli è stato assegnato nel 2009 il Lakatos Award per aver contribuito eccezionalmente agli studi in materia di filosofia della scienza.

Ad essa hanno rivolto la lora attenzione, fra gli altri, studiosi come Michael Ruse, Elliott Sober, John Dupré, Telmo Pievani. I loro studi hanno avuto e continuano ad avere un ruolo fondamentale nella comprensione dei processi evolutivi e del loro funzionamento, si faccia riferimento -ad esempio- alle discussioni su quale livello agisca la selezione naturale, sulla cooperazione, sulla differenza fra causalità e correlazione, etc. L’unione di queste due discipline, filosofia e biologia, per molto tempo tenute distinte ed indipendenti, ha contribuito ad aprire numerose prospettive in grado di illuminare la comprensione del mondo organico ed inorganico, e la loro stretta interrelazione.