Recenti scoperte nel dominio degli archeobatteri

Una recente indagine suggerisce varie considerazioni sulla struttura dell’albero filogenetico degli Archaea e su alcuni aspetti del genoma e del metabolismo dei loro più remoti antenati

Gli Archaea o archeobatteri costituiscono uno dei due grandi domini in cui si divide il gruppo degli organismi procarioti. Da quando tale dominio fu istituito, nel 1977, questi organismi hanno destato un notevole interesse, sia perché partecipano a numerosi cicli biogeochimici, sia perché presentano alcune caratteristiche che li avvicinano alle cellule eucariote piuttosto che alle cellule procariote dei Bacteria.

Gli archeobatteri noti da più tempo sono quelli appartenenti al phylum degli Euryarchaeota, che annovera organismi metanogeni ed estremofili (alofili, che prosperano in ambienti a elevata concentrazione salina; ipertermofili, amanti delle alte temperature; e psicrofili, che vivono invece a temperature basse), e a quello dei Crenarchaeota, comprendente oltre a estremofili anche molti organismi di ambiente marino. In anni più recenti il dominio degli Archaea si è arricchito di diversi nuovi elementi, grazie soprattutto alle tecniche di metagenomica, che hanno permesso lo studio delle comunità microbiche direttamente nel loro ambiente naturale. Tra gli altri, DPANN, un superphylum di Archaea, il cui nome è un acronimo formato dalle iniziali dei cinque phyla che lo compongono, caratterizzati da cellule piccole e da un ridotto repertorio metabolico, per cui è stato suggerito che siano simbionti o parassiti di altri procarioti; gli Asgard, un superphylum che comprenderebbe gli Archaea più prossimi parenti degli eucarioti; i Thaumarchaeota, ossidanti dell’ammonio molto importanti nel ciclo dell’azoto, che sono stati trovati nel terreno e nell’oceano. Recenti analisi filogenetiche hanno suggerito di unire in un unico clade, detto Proteoarchaeota o TACK, con un altro acronimo, quattro phyla tra cui Crenarchaeota e Thaumarchaeota.

L’origine remota di questi organismi rende arduo, e affascinante insieme, l’obiettivo di stabilire le relazioni tra i vari lignaggi dell’albero degli Archaea e riuscire a “radicarlo”, cioè trovarne il nodo di partenza nell’albero filogenetico degli esseri viventi, in modo da individuarne i rapporti di parentela con gli altri organismi e studiare in particolare la fondamentale transizione da procarioti a eucarioti.

Un recente studio ha affrontato il problema utilizzando, rispetto ai precedenti, una maggior quantità di dati genomici, appartenenti a gruppi di Archaea non considerati prima: quelli del superphylum DPANN e anche Lokiarchaeum, un genere scoperto di recente, appartenente al superphylum Asgard. Inoltre ha applicato tecniche statistiche che tengono conto non solo della trasmissione verticale, ma anche di possibili fenomeni di trasferimento orizzontale di geni, oltre a perdite e duplicazioni genomiche. In questo modo è stato possibile fornire supporto ad alcune ipotesi, sia sulla struttura dell’albero degli Archaea, sia sul metabolismo e la dimensione genomica di “LACA”, l’ultimo antenato comune degli archeobatteri.

I risultati dello studio suggeriscono che il Lokiarchaeum si piazzi alla base del gruppo TACK; i lignaggi Euryarchaeota e TACK/Lokiarchaeum formerebbero insieme un clade, di cui il superphylum DPANN sarebbe gruppo fratello. Ciascuno di questi lignaggi sarebbe monofiletico. Infine, la radice dell’albero degli archeobatteri sarebbe da situarsi tra il gruppo DPANN e tutti gli altri Archaea.

Per quanto riguarda il metabolismo, la conclusione degli autori è che i primi archeobatteri fossero anaerobi che fissavano il carbonio attraverso una via metabolica detta di Wood-Ljungdahl, generando acetato e ATP, la “moneta” energetica delle cellule. L’analisi suggerisce anche che “LACA” possedesse già la maggior parte dei meccanismi archeali moderni di trascrizione, traduzione e replicazione del DNA oltre ad altri meccanismi metabolici fondamentali. Mentre “LACA” aveva una dotazione metabolica adatta all’ambiente anossico, sarebbe avvenuta una successiva acquisizione indipendente, in vari lignaggi discendenti, della fosforilazione ossidativa, cioè del metabolismo aerobico. Si può congetturare che queste acquisizioni parallele di metabolismi ossidativi siano state associate all’aumento dell’ossigeno atmosferico, avvenuto tra 2,5 e 2,3 miliardi di anni fa.  

Sfruttando la correlazione esistente tra composizione degli aminoacidi e temperatura ottimale di crescita, i ricercatori sono stati anche in grado di stimare tale temperatura per gli Archea più remoti, trovando un valore tra 73° e 75°. Questo conferma precedenti studi che avevano ipotizzato che gli antichi archeobatteri fossero ipertermofili. Il modello sviluppato dagli autori supporta inoltre l’idea che l’adattamento alla mesofilia da un antenato termofilico sia avvenuta indipendentemente in ciascuno dei principali cladi archeali.

Infine la ricerca suggerisce che l’evoluzione delle famiglie di geni sia avvenuta principalmente tramite trasmissione verticale, benché siano stati individuati numerosi casi di trasferimento genico orizzontale, oltre a duplicazioni e perdite di geni. Le distribuzioni dei tassi di acquisizione, duplicazione e perdita di geni sono continue lungo l’albero degli archaea, suggerendo un’evoluzione caratterizzata da tassi di cambiamento genomico continui piuttosto che punteggiati, con eccezioni solo in alcuni rami.

Tener conto del trasferimento orizzontale di geni risolve in parte anche il problema del cosiddetto “genoma dell’Eden”, cioè l’apparente enorme dimensione che sembrano avere i genomi ancestrali, qualora si tenga conto della sola trasmissione verticale; ciò costringe a ipotizzare che i genomi attuali si siano originati tramite semplificazione genomica. Le analisi degli autori suggeriscono invece che l’antenato comune degli archeobatteri fosse fornito di un genoma relativamente piccolo (circa 1090 geni) e che ci sia stato un moderato aumento nel contenuto di geni lungo la storia degli Archaea, fino alla media di circa 1686 geni nei lignaggi moderni, attraverso la duplicazione genica e il trasferimento genico orizzontale.

L’attendibilità delle ipotesi sostenute dai ricercatori sarà confermata o meno, man mano che i metodi e il campionamento genomico dei vari gruppi di archeobatteri continueranno a migliorare.

Riferimenti
Tom A. Williams et al. Integrative modeling of gene and genome evolution roots the archaeal tree of life. PNAS, published online May 22, 2017; doi: 10.1073/pnas.1618463114

Immagine: Archaea that grow in the hot water of the Morning Glory Hot Spring in Yellowstone National Park produce a bright colour. By ZYjacklin – Own work, Public Domain, via Wikipedia