Scimmia o creazionista?

Nelle ultime settimane è stato molto discusso un articolo a cura di Carlo Bellieni, dal titolo “La ragione di Benedetto smaschera le bugie di Darwin” in cui si parla di creazionismo ed evoluzione. L’articolo è assolutamente degno di essere letto, perché raramente in un solo articolo ho trovato tantissimi errori di contenuto e di interpretazione della biologia evoluzionistica. Premesso che,

Nelle ultime settimane è stato molto discusso un articolo a cura di Carlo Bellieni, dal titolo “La ragione di Benedetto smaschera le bugie di Darwin” in cui si parla di creazionismo ed evoluzione. L’articolo è assolutamente degno di essere letto, perché raramente in un solo articolo ho trovato tantissimi errori di contenuto e di interpretazione della biologia evoluzionistica.

Premesso che, pur capendo la facilità con cui si identifica la biologia evoluzionistica con Darwin e la voglia di attirare l’attenzione dei lettori, fare oggi una critica intitolandola “le bugie di Darwin” mi pare veramente assurdo, non solo perché le bugie di Darwin non esistono, ma anche perché la biologia evoluzionistica ha 150 anni e quindi non è più solo darwinismo.

L’articolo inizia con la frase “La teoria dell’evoluzione, ipotesi utile e geniale, è ancor oggi una teoria, ben lungi dunque da essere una legge”… da cui si evince che l’autore non conosce il significato del termine teoria, oltre a non conoscere l’estesissima formulazione matematica che permea la biologia evoluzionistica moderna, come hanno avuto modo di toccare con mano gli studenti non solo dei corsi di biologia evoluzionistica, ma anche di genetica di popolazione.

L’articolo poi prosegue dicendo che “La teoria di Darwin viene oggi a cozzare con le nuove scoperte della genetica, che mostrano l’importanza dell’influsso dell’ambiente sull’espressione del genoma”, ma l’epigenetica è forse una eccezione al darwinismo? L’aspetto che colpisce è che se si leggono gli articoli di tutti coloro che studiano i meccanismi epigenetici oppure alcuni processi quali la plasticità fenotipica, si potrà notare che nessuno degli Autori di tale ricerche ritiene di muoversi al di fuori della biologia evoluzionistica moderna. Indubbiamente Darwin non poteva conoscere l’epigenetica, ma Bellieni si è mai chiesto come mai non tutti i caratteri sono influenzati dall’ambiente? Evidentemente no, perché se così fosse avrebbe realizzato che è la genetica a definire quali geni potranno essere influenzati dall’ambiente. Qui, quindi, l’unica cosa che cozza è la conoscenza dei meccanismi che vengono citati.

L’articolo poi ha una impennata: “D’altronde non si capisce perché, se tutto è casuale, l’uomo sia il massimo dell’espressione dell’evoluzione, con due corollari: nell’iconografia si vede sempre al culmine della scala evoluzionistica non un generico “uomo”, ma l’uomo bianco, maschio (e quando cesseranno nei libri scolastici queste immagini maschiliste e razziste?). Secondo corollario è che sembra non esserci nessuna prospettiva per un’ulteriore evoluzione, come se l’uomo (bianco, maschio) fosse il culmine di tutto, segno di un dogmatismo che a parole si combatte, ma nei fatti è alla base del seppur geniale darwinismo”.

Ma chi ha detto che l’uomo è l’apice del processo evolutivo? Qui l’articolo è molto divertente perchè l’autore letteralmente prende alcuni suoi preconcetti e li attribuisce alla biologia evoluzionistica. In merito al primo corollario.. quello iconografico… se ci fosse anche la sola speranza che Bellieni leggesse i testi che commenta, gli consiglierei “Scale e coni: l’evoluzione ingabbiata dalle immagini canomiche”, un testo in cui Stephen  J. Gould discuteva nel 1999 l’utilizzo di alcune immagini (tra cui la marcia del progresso) scrivendo: “non conosco nessun altro argomento altrettanto distorto dalle immagini canoniche: esse riflettono le preferenze sociali e le speranze personali più che i dati della paleontologia o della teoria darwiniana”… ovvero l’iconografia è frutto del gusto di chi disegna e non necessariamente ha un corretto contenuto scientifico… è chiaro? Siccome Gould scriveva questo testo nel 1999 forse nel 2011 caro Bellieni si potrebbe fare di meglio.

Inoltre, come scrive Marcello Sala: “La linearità era una congettura legittimamente scientifica fino a che i reperti fossili erano pochissimi e le loro datazioni si disponevano come punti successivi sull’asse del tempo. Fu scientificamente falsificata dal ritrovamento di ormai numerosissimi reperti che indicano una presenza contemporanea sulla Terra delle varie specie di ominidi e del genere Homo”. Ma perché allora questa iconografia è ancora usata? Non certo perché chiesto dai biologi evoluzionisti che anzi spesso l’hanno contestata. Purtroppo l’iconograifa citata da Bellieni fa parte di una sorta di versione popolare dell’evoluzione, tanto che quotidiani come Repubblica sembrano non poterne fare a meno.

Chi ha detto inoltre che l’evoluzione è giunta alla fine? L’evoluzione dell’uomo continuerà, così come continuerà quella di tutti i viventi… e se anche fosse (e non è) corretta la linearità dell’evoluzione umana, la biologia evoluzionistica non fa previsioni, ma fotografa quello che c’è o c’è stato, non prevede il futuro.

Bellieni poi si chiede: “E non si capisce, se tutto è casuale, perché l’uomo (maschio e bianco) e non il gabbiano o il pescespada siano il culmine della natura, dato che anch’essi sono frutto di mutazioni ancestrali e di cambiamenti genomici”. Infatti nessun vivente è al culmine dell’evoluzione e nessun vivente è speciale rispetto all’evoluzione.

Bellieni poi si chiede: “se una giraffa improvvisamente acquisisce un collo lunghissimo perché le cambia il DNA e questo cambiamento è casuale, con chi si riprodurrà, dato che è impossibile che proprio nello stesso praticello avvenga l’unico altro cambiamento casuale dei DNA? E’ un caso di provvidenziale casualità?” Ovviamente con una giraffa con il collo “corto”. Perché mi scusi ma… una persona di bassa statura con chi si accoppia? E’ necessario inoltre considerare che ciò che noi oggi chiamiamo giraffa non è stata “creata” così come è, ma è il frutto di una evoluzione progressiva fatta di mutazioni casuali e adattamento. Un lettore di Bellieni scrive “L’esempio delle giraffe è davvero calzante: se per caso nasce una giraffa col collo lunghissimo e si può nutrire solo lei delle foglie degli alberi, con chi si riprodurrà?” ma perché avere il collo lungo dovrebbe impedire la riproduzione? Non mi sembra che la differenza di altezza tra noti politici e gentili fanciulle ne impedisse l’accoppiamento!

Andando verso la fine l’autore scrive “E se le mutazioni di DNA possono portare a far sopravvivere alcuni e morire tutti gli altri meno adatti, questo evidentemente vale solo per alcune mutazioni macroscopiche; ma cosa dire per le mutazioni minime, quelle che fanno essere più o meno belli ma non aiutano la sopravvivenza?”. Premesso che “mutazione macroscopica” è una categoria priva di significato, se l’autore si degnasse di leggere anche solo un testo semplice di genetica o di biologia evoluzionistica scoprirebbe non solo che esistono diverse categorie di mutazioni, ma che sono definiti anche coefficienti di selezione e leggi che appunto spiegano come si diffondono in una popolazione le mutazioni (vantaggiose, svantaggiose o neutre). Come già accaduto ad altri presunti critici dell’evoluzione, si confonde ciò che non si conosce con ciò che l’evoluzione non spiega. Questo è un chiaro segnale che l’autore non ha la minima idea di quale sia lo stato dell’arte della biologia evoluzionistica non solo di oggi, ma neppure di dieci o venti anni fa.

L’articolo nel finale si conclude con una citazione: “La creazione come tale rimane buona- conclude Benedetto XVI – la vita rimane buona, perché all’origine sta la Ragione buona, l’amore creatore di Dio. Per questo il mondo può essere salvato. Per questo possiamo e dobbiamo metterci dalla parte della ragione, della libertà e dell’amore – dalla parte di Dio che ci ama così tanto che Egli ha sofferto per noi, affinché dalla sua morte potesse sorgere una vita nuova, definitiva, risanata” … ma cosa c’entra questo con la biologia evoluzionistica? Le opere dell’uomo si giudicano per quello che sono o sulla base del modo in cui l’uomo ha fatto la sua comparsa? Perché la cappella sistina è forse meno bella al pensiero che è stata dipinta da un uomo frutto del caso? Perché la quinta sinfonia di Mahler è forse meno emozionante se si pensa che anche Mahler è il frutto dell’evoluzione piuttosto che della creazione?

Recentemente mi è capitato di rivedere la ricostruzione televisiva del confronto tra Wilberforce e Huxley e, sebbene forse non sia mai stata realmente pronunciata, penso che la frase di Huxley sia più adatta per questo articolo di Bellieni: “Per quanto mi riguarda, se dovessi scegliere per nonno una miserabile scimmia oppure un uomo altamente dotato dalla natura e in possesso di gradi mezzi e eloquenza, che tuttavia utilizza queste facoltà e questa influenza semplicemente per ridicolizzare una discussione scientifica seria – affermo senza esitazione la mia preferenza per la scimmia”.

Tratto da “Scimmia da parte paterna“, il blog di Mauro Mandrioli