Scoperti coralli bianchi nell’Adriatico

La campagna oceanografica ARCO (AdRiatic COrals), condotta dall’Istituto di scienze marine del Consiglio nazionale delle ricerche di Bologna a bordo della nave oceanografica Urania, ha scoperto nell’Adriatico importanti vestigia dell’ultima età glaciale: si presentano dunque nuovi scenari sulla ricostruzione della storia naturale di questo mare, delle sue risorse e delle conseguenze delle variazioni climatiche sugli ambienti marini. La scoperta più

La campagna oceanografica ARCO (AdRiatic COrals), condotta dall’Istituto di scienze marine del Consiglio nazionale delle ricerche di Bologna a bordo della nave oceanografica Urania, ha scoperto nell’Adriatico importanti vestigia dell’ultima età glaciale: si presentano dunque nuovi scenari sulla ricostruzione della storia naturale di questo mare, delle sue risorse e delle conseguenze delle variazioni climatiche sugli ambienti marini.

La scoperta più importante riguarda estese scogliere coralline a coralli bianchi (Lophelia e Madrepora) situate a meno di 200 metri di profondità al largo di Pescara, nella zona della depressione medio-adriatica, scomparsi probabilmente a seguito dell’innalzamento della temperatura in epoca post-glaciale.

“I coralli bianchi rappresentano uno dei più importanti ecosistemi batiali, cioè delle profondità marine, e generalmente vivono, nell’Atlantico e nel Mediterraneo, a profondità superiori ai 350-400 metri”, spiega Marco Taviani, ricercatore dell’Ismar-Cnr e responsabile della missione. “La comunità scientifica internazionale rivolge grande attenzione a questi ecosistemi così peculiari, punti focali di biodiversità negli abissi e che, secondo alcuni, potrebbero essere minacciati dalla progressiva acidificazione degli oceani. Grazie a programmi di ricerca nazionali ed europei, tra i quali Hermes (e a partire da quest’anno anche il nuovo progetto Hermione dell’UE), importanti scogliere a corallo bianco sono state rintracciate anche in acque italiane, nello Ionio, nel Canale di Sicilia e nell’Adriatico meridionale, ma sempre a profondità ragguardevoli”.

La campagna ARCO era mirata a rintracciare, mediante un Rov (Remote operating vehicle), possibili scogliere coralline di Dendrophyllia cornigera (corallo giallo) che erano state segnalate dai pescatori e tipiche di profondità fra gli 80 e i 200 metri, dunque compatibili con la batimetria dell’area medio-adriatica.

Le registrazioni mediante il Side Scan Sonar dell’Urania hanno però sorprendentemente rivelato che le scogliere, contro ogni aspettativa, non erano rappresentate dal corallo giallo (presente in minima parte) ma al contrario da corallo bianco, soprattutto colonie arborescenti di Lophelia prolifera e Madrepora oculata, di cui esisteva qualche sporadica segnalazione soprattutto in acque croate. La presenza di vere e proprie scogliere nella zona del medio Adriatico è dunque giunta del tutto inattesa.

“Il corallo bianco rinvenuto è rappresentato da esemplari di notevoli dimensioni e spessore, perfettamente conservati ma non viventi, coperti da un sottilissimo velo di fango”, continua Taviani, “Fino all’elaborazione dei dati possiamo solo ipotizzare le cause della morte dei coralli. E’ probabile che questo tipo di scogliere prosperassero nel medio Adriatico alla fine dell’ultima età glaciale, circa 11-12000 anni fa, quando il livello marino era più basso, e che un repentino infangamento li abbia soffocati. A tutt’oggi, solo nei fiordi della Norvegia si rinvengono scogliere a Lophelia a modesta profondità. Probabilmente la fase pluviale che seguì quella glaciale portò ad un aumento della portata di sedimento da parte dei fiumi appenninici, causando la torbidità delle acque e coprendo di sedimento i rilievi colonizzati dai coralli. In sostanza, questi ecosistemi corallini avrebbero risentito indirettamente di una fase passata di riscaldamento globale, ma bisognerà attendere le datazioni radiometriche per confermare o meno l’ipotesi”.

La scoperta, di prioritaria importanza nella comprensione di alcuni tra i più complessi ecosistemi di profondità e sui fattori climatici che ne regolano l’esistenza, è stata possibile grazie ad un team d’eccezione composto da una ventina fra ricercatori, tecnici e studenti (quasi tutti giovani ‘precari’) afferenti a Cnr, Ispra, università italiane (Bari, Bologna, Milano) e straniere (Marsiglia, Plymouth, Zagabria) e Robomar, affiancati dall’equipaggio della nave oceanografica Urania.

Tratto dal sito dell’ufficio stampa del CNR.