Selezione umana

Le attività umane influenzano fortemente i comportamenti e le abitudini degli animali e spesso può portarle sull’orlo dell’estinzione, ormai lo sappiamo. Meno evidente è invece un’altra conseguenza dello sfruttamento umano delle risorse naturali, conseguente alle pressione selettive imposte dal continuo prelievo di organismi mediante la caccia e la pesca. Questi tipi di attività umane condizionano in maniera profonda le popolazioni

Le attività umane influenzano fortemente i comportamenti e le abitudini degli animali e spesso può portarle sull’orlo dell’estinzione, ormai lo sappiamo. Meno evidente è invece un’altra conseguenza dello sfruttamento umano delle risorse naturali, conseguente alle pressione selettive imposte dal continuo prelievo di organismi mediante la caccia e la pesca. Questi tipi di attività umane condizionano in maniera profonda le popolazioni naturali, modificandone, ad esempio, la velocità di evoluzione.

In qualità di predatore, infatti, l’uomo si concentra su alcuni individui delle popolazioni naturali, in genere quelli più forti e vigorosi, che si trovano in età adatta per la riproduzione. A tal proposito, basti pensare ad alcune regole della pesca che impongono una misura minima, solitamente strettamente correlata con l’età e la maturità sessuale, per i pesci pescati. Casi simili si verifcano nella caccia, con la possibilità di abbattere solo gli individui adulti di una certa taglia. Nelle comunità naturali avviene invece l’esatto opposto: i predatori infatti traggono la maggior parte del proprio sostentamento dalla caccia di individui immaturi o in precarie condizioni (“the newly born or the nearly dead“), dunque indifesi e incapaci di riprodursi.

Un breve studio pubblicato sulla rivista PNAS ha analizzato in termini quantitavi l’effetto sulle popolazioni naturali di questo prelievo preferenziale di alcune specifiche classi di individui da parte dell’uomo. La ricerca ha evidenziato come le specie soggette alla cattura umana manifestino tassi di cambiamento fenotipico estremamente rapidi se confrontati con specie in condizioni del tutto naturali o che entrano in contatto con l’uomo senza però essere cacciati. Inoltre, è stata rilevata una profonda modificazione delle strategie riproduttive nel 97,2% di queste specie in risposta allo sfruttamento umano, contro una media del 24,9% nelle due altre categorie a cui si faceva riferimento sopra.

In particolare, nelle specie in cui avviene il prelievo selettivo dell’uomo di determinate classi di individui si assiste ad una significativa anticipazione del primo evento riproduttivo della vita o, nel caso degli organismi la cui maturità sessuale è determinata non dall’età ma dalla taglia, come i pesci, si verifica una riduzione media delle dimensioni al momento della riproduzione. Questi cambiamenti, che includono un declino medio della taglia e dei caratteri legati alle dimensioni di circa il 20% e l’anticipazione di circa il 25% delle diverse fasi del ciclo vitale, sono estremamente rapide nelle specie soggette a grande sfruttamento commerciale.

Queste risposte delle popolazioni naturali sono senza dubbio importanti ma potrebbero non essere in grado di salvarle. Infatti, il raggiungimento precoce della maturità sessuale garantisce la possibilità di riprodursi prima di essere catturati, tuttavia, ci sono evidenze che mostrano come le capacità riproduttive degli organismi in tali condizioni siano piuttosto limitate. Ad esempio, numerose specie di pesci sono in grado di riprodursi precocemente rispetto ai decenni precedenti, ma è stato sottolineato che depongono un numero di uova estremamente ridotto.

Ancora una volta si pone l’annoso problema delle modalità di sfruttamento delle risorse naturali da parte della nostra specie, uno sfruttamento che, contrariamente alle evidenze e alle dichiarazioni di facciata, si allontana sempre più dalla sostenibilità.

Riferimenti:
Chris T. Darimont, Stephanie M. Carlson, Michael T. Kinnison, Paul C. Paquet, Thomas E. Reimchen and Christopher C. Wilmers. Human predators outpace other agents of trait change in the wild. PNAS

Fonte dell’immagine: Wikimedia Commons