Serendipity, storia di una parola

Un viaggio all’origine della parola serendipity, un processo a cui si devono molte scoperte scientifiche

Serendipity, tradotto in italiano come serendipità è un termine per descrivere la fortuna che porta a scoperte inaspettate. Deriva da Serendip o Serendippo, l’antico nome persiano dello Sri Lanka, e fu coniato dal filosofo e scrittore inglese Horace Walpole nel 1754, dopo aver letto una fiaba persiana intitolata I Tre Principi del Serendip, rielaborata e tradotta in italiano da Cristoforo Armeno e pubblicata a Venezia nel 1557.

Horace Walpole

Horace Walpole, Conte di Orford, nato a Londra nel 1717 fu filosofo e letterato, che tra le altre cose scrisse un epistolario di 3.000 lettere, ove faceva dotte disquisizioni sui più disparati argomenti. Divenne però famoso per aver scritto il libro Il castello di Otranto, considerato il primo romanzo gotico. Il romanzo ispirò altri scrittori che si appassionarono a questo genere letterario, come Bram Stoker e Mary Shelley.

Serendipity, nel senso di una fortunata scoperta non pianificata, comparve per la prima volta in una sua lettera all’amico Horace Mann rappresentante residente del Governo inglese a Firenze. Molti anni prima, durante il suo Grand Tour, Walpole e Mann, avevano visto a Firenze un ritratto del Vasari di Bianca Cappello, moglie di Francesco I de’ Medici, allora conservato nelle stanze del Palazzo della famiglia Vitelli. Quel quadro colpì molto Walpole. Per quarantasei anni Walpole e Mann intrattennero una fitta corrispondenza; poi Mann inviò a Walpole, come regalo personale, il vasariano ritratto della Granduchessa Bianca Cappello, ora scomparso.

Il 28 gennaio 1754, Horace Walpole scrive a Mann una missiva nella quale parla dell’arrivo in Inghilterra del suo regalo. Questa lettera racconta anche di come sia nata una «scoperta decisiva» circa lo stemma dei Cappello. Walpole voleva per il dipinto una cornice con i sigilli delle famiglie legate alla granduchessa, Cappello e Medici. Sfogliando un antico libro di emblemi veneziani scopre due versioni dello stemma dei Cappello, uno dei quali sembra contenere un giglio. Conclude che i Medici avevano esteso il famoso fiore allo stemma originale dei Cappello come simbolo di alleanza. Chiama questa scoperta con una parola nuova da lui inventata: serendipity appunto.

Che cos’è la serendipity

La serendipity descrive allora quel processo, assai comune anche nella vita quotidiana, che consente di giungere a scoperte inaspettate, mentre si era intenti a pensare o a sperimentare in direzione diverse e con scopi non riconducibili direttamente a quanto realmente trovato. Cosa sia la serendipity è spiegato in un famoso e divertente aforisma di Julius Comroe Jr: “Serendipity is looking in a haystack for a needle and discovering a farmer’s daughter.  o “La serendipity è cercare un ago in un pagliaio e trovarci la figlia del contadino”.

Walpole spiega a Mann l’origine della parola in questo modo:

“È stato una volta che lessi una favoletta dal titolo I tre prìncipi di Serendippo. Quando le loro altezze viaggiavano, continuavano a fare scoperte, per accidente e per sagacia, di cose di cui non erano in cerca: per esempio, uno di loro scoprì che un mulo (in realtà un cammello, nella fiaba) cieco dall’occhio destro era passato da poco per la stessa strada, dato che l’erba era stata mangiata solo sul lato sinistro, dove appariva ridotta peggio che sul destro – ora capisce la serendipità? Uno dei più ragguardevoli esempi di questa casuale sagacia (lei deve infatti notare che nessuna scoperta di cosa che si stia cercando può ricadere sotto tale descrizione) è stato quello del mio Lord Shaftesbury, il quale, capitato a pranzo dal Lord Chancellor Clarendon, si accorse del matrimonio del duca di York e di Mrs. Hyde, dal rispetto con cui la madre di quest’ultima trattava la figlia a tavola.

I Tre principi di Serendippo

Renzo Bragantini, nel libro Il riso sotto il velame (Firenze, Olschki, 1987) riassume la novella così:

Fu anticamente nelle parti orientali, nel paese di Serendippo, un grande e potente re, nominato Giaffer, il quale ritrovandosi tre figliuoli maschi, coltissimi perché educati dai più grandi saggi del tempo, ma privi però di un’esperienza altrettanto importante di vita vissuta, decise, per provare, oltre alla loro saggezza, anche le loro attitudini pratiche, di cacciarli dal regno […] Durante il loro viaggio i tre fanno diverse scoperte, grazie al caso e alla loro sagacia, di cose che non stavano cercando. Da poco giunti nel Paese di Bahrām,  “potente imperadore”, i principi si imbattono in un cammelliere, disperato perché ha perduto il proprio animale. I tre non pur non avendolo visto, dicono al poveretto di averlo incontrato “nel cammino, buon pezzo a dietro”. Per assicurare il cammelliere gli forniscono tre elementi: il cammello perduto è cieco da un occhio, “gli manca uno dente in bocca” ed è zoppo. Il buon uomo, ripercorre a ritroso la strada ma non riesce a ritrovare l’animale. Il giorno seguente, ritornato sui suoi passi, incontra di nuovo i tre giovani e li accusa di averlo ingannato. Per dimostrare di non aver mentito i tre principi aggiungono altri tre elementi. Dicono: il cammello aveva una soma, carica da un lato di miele e dall’altro di burro, portava una donna, e questa era incinta. Di fronte a questi particolari, il cammelliere dà per certo che i tre abbiano incontrato il suo animale ma […] li accusa di avergli rubato il cammello. I nobili […] sono condannati a morte perché ladri. Fortunatamente un altro cammelliere, trovato il cammello e avendolo riconosciuto, lo riconduce al legittimo proprietario. […] i tre vengono liberati non senza una adeguata spiegazione di  come abbiano fatto a descrivere  l’animale, senza averlo mai visto.

I tre rivelano che ciascun particolare del cammello è stato immaginato, grazie alla capacità di osservazione e alla sagacia. Che fosse cieco da un occhio era dimostrato dal fatto che, pur essendo l’erba migliore da un lato della strada, era stata brucata quella del lato opposto, quello che poteva essere visto dall’unico occhio buono dell’animale. Che fosse privo di un dente lo dimostrava l’erba mal tagliata che si poteva osservare lungo la via. Che fosse zoppo, poi, lo svelavano senza ombra di dubbio le impronte lasciate dall’animale sulla sabbia. Sulla spiegazione del carico i tre dissero di aver dedotto che  il cammello portasse da un lato miele e dall’altro burro perché lungo la strada da una parte si accalcavano le formiche (amanti del grasso) e dall’altro le mosche (amanti del miele) […]

E così via… potete leggere la novella integrale grazie a Wikisource.
A questa storia si ispirò probabilmente anche Voltaire per il suo Zadig, ma anche Umberto Eco per l’Incipit de Il nome della rosa, dove Guglielmo da Baskerville descrive ai monaci un cavallo che non aveva mai visto.

Scoperte scientifiche serendipiche

Sono a dir poco centinaia le scoperte fatte per caso, io ne cito solo alcune legate alla biologia. Tralascio il caso di Alexander Fleming, noto a tutti, che chiudendo male una capsula contenente batteri scoprì la Penicillina e vi parlo invece di quanto accadde a Louis Pasteur, considerato il padre della microbiologia. Pasteur stava studiando il colera dei polli, il cui agente la Pasteurella multocida era stato da lui scoperto un anno prima, e il protocollo prevedeva la somministrazione del batterio responsabile della malattia a polli sani. Si allestivano quindi delle colture batteriche, però una di queste venne somministrata con molto ritardo, a causa della distrazione di uno dei collaboratori, che l’aveva dimenticata! Pasteur notò che gli animali sottoposti al trattamento “posticipato” non si ammalavano; ma a questa osservazione se ne aggiunse un’altra ben più rilevante. Nel momento in cui agli stessi polli veniva somministrata una coltura di batteri “attivi”, capaci cioè di far ammalare i volatili, questi rimanevano immuni dalla malattia. Aveva scoperto che era possibile creare un vaccino da patogeni attenuati.

Patrizia Martellini

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Immagine: Horace Walpole by Rosalba Carri«era, 1741, via Wikimedia commons