Strategie di conservazione: il ruolo degli alberi secolari

Gli alberi secolari hanno qualità ecologiche, fisiologiche ed evolutive che favoriscono la stabilità, la connettività e la rigenerazione degli ecosistemi forestali.

Un nuovo studio pubblicato su Trends in Ecology & Evolution afferma che “il recupero dell’ecosistema in piccole aree isolate potrebbe essere accelerato e facilitato attraverso la conservazione in situ degli alberi secolari”. 

Non solo è estremamente importante preservare i vegetali ex situ, ovvero in apposite banche nelle quali il germoplasma (spore, semi, tessuti, polline o qualsiasi parte permetta alla pianta di riprodursi) viene conservato. È altrettanto importante che la conservazione delle piante avvenga in situ, direttamente sul campo. Questo è molto importante anche per gli alberi secolari i quali, soprattutto se non sono isolati, esercitano le loro funzioni ecologiche uniche. 

Alberi antichi e giovani foreste

Nella ricerca si legge infatti che, dal punto di vista ecologico, “gli alberi secolari sono nodi ancorati di biodiversità e complessità ecosistemica che migliorano la stabilità e le interazioni complessive della foresta”. La foresta è un ecosistema estremamente complesso, una vera e propria comunità nella quale le piante mantengono la stabilità e garantiscono la connettività e la rigenerazione, grazie soprattutto alla loro relazione unica con la rete fungina. 

Attraverso il wood wide web, così viene chiamata la fitta rete sotterranea di radici e miceli che occupa il suolo forestale, gli alberi si scambiano sostanze nutritive fondamentali e quelli più vecchi sostengono la crescita dei più giovani. La  relazione simbiotica tra piante e funghi permette anche di migliorare la qualità del suolo, oltre che influenzare il microclima. In questo senso, la presenza di alberi secolari costituisce una risorsa fondamentale per garantire la tenuta complessiva dell’ecosistema forestale negli ambienti particolarmente siccitosi.

Non solo. Gli alberi secolari sono anche campioni nello stoccaggio del carbonio, capacità che aumenta con l’avanzare dell’età. Anche per questo motivo, più ancora di quelli giovani, contribuiscono a contrastare l’inquinamento dell’aria e il riscaldamento ambientale. Questi benefici hanno ripercussioni positive non solo sulla salute dell’ambiente, ma anche su quello della fauna, che trova nelle foreste antiche un ultimo preziosissimo baluardo per difendersi dal cambiamento climatico. Non dobbiamo dimenticarci che, per prevenire le pandemie e i casi di zoonosi, è necessario prendersi cura della fauna e quindi garantire loro uno spazio di sopravvivenza sano, che eviti loro stress alimentari e immunitari.

Infine, dal punto di vista evolutivo, gli alberi secolari custodiscono un patrimonio genetico unico, avendo accumulato, si legge nella ricerca, adattamenti epigenetici specifici per quella posizione. La loro propagazione in situ porterebbe dunque benefici notevoli alla conservazione della specie a cui appartengono. Un intervento che si fa sempre più urgente, tenuto conto anche del fatto che la fecondità delle piante, nella gran parte dei casi, diminuisce con l’età.

Tutelare gli alberi secolari. La politica nazionale

A fronte di tutto questo viene spontaneo domandarsi se le antiche foreste, oltre che i singoli esemplari, siano tutelate a dovere da leggi nazionali o da norme internazionali. In Italia esiste solo una legge del 2013 che detta le disposizioni per la tutela “degli alberi monumentali, dei filari e delle alberate di particolare pregio paesaggistico, naturalistico, monumentale, storico e culturale”. In ogni caso si tratta d’individui isolati che vengono tutelati non per il loro valore ecologico ma per la loro maestosità e longevità. Un atteggiamento giustificato considerando che, come ricordano anche i ricercatori, le piante da fiore viventi più antiche delle zone temperate sono una quercia sessile (Quercus petraea, 935 anni) e un faggio europeo (625 anni), entrambe situate in Italia meridionale. 

A livello europeo, nella Nuova strategia dell’UE per le foreste per il 2030, si prende invece una posizione netta: “un futuro sano per le persone e il pianeta e per la loro prosperità dipende […] dal garantire la salute, la biodiversità e la resilienza delle foreste in Europa e nel mondo”, oltre a essere il tassello fondamentale per rendere l’Europa, entro il 2050, il primo continente a impatto climatico zero. Questo documento si focalizza tuttavia esclusivamente sull’importanza degli ecosistemi forestali, senza far nessun riferimento alla tutela degli alberi secolari come strategia vincente per la loro conservazione. 

Nonostante il ruolo centrale che gli alberi secolari giocano nella conservazione a lungo termine degli ecosistemi, si legge nella ricerca, a livello globale si stanno perdendo a una velocità allarmante, oltre a essere confinati ad aree sempre più piccole o inaccessibili. La domanda da porsi è, come avviene per la gran parte delle specie minacciate, se e come sia possibile tutelare la loro esistenza nelle zone antropizzate oltre che in quelle naturali e più remote. 

Gli strumenti giuridici esistenti

Esistono già strumenti giuridici utili a conservare la biodiversità a livello globale, come la Convenzione sulla diversità biologica. È all’interno di questo quadro che gli autori della ricerca vogliono accendere l’interesse per gli alberi secolari e le foreste antiche, auspicando la possibilità di ottenere un monitoraggio globale degli alberi secolari. Imprese di monitoraggio di questo genere sono già in atto in molte parti del mondo, e molte di queste coinvolgono il pubblico. Gli autori della ricerca ritengono infatti che includere i gruppi indigeni all’interno di un programma scientifico comunitario a livello mondiale, per la mappatura e il monitoraggio degli alberi secolari e delle foreste primarie, “potrebbe fornire un potente mezzo per colmare una lacuna nella conoscenza della conservazione globale”. 

Gli esempi, che coinvolgano il pubblico o meno, sono numerosi. Dall’amministrazione Biden, che ha promulgato la protezione delle foreste secolari nelle terre federali degli Stati Uniti, all’impegno comunitario del Regno Unito, che supervisionando un protocollo online ha potuto ottenere una stima nazionale dell’abbondanza degli alberi antichi (1,7 – 2,1 milioni).

Dalla teoria alla pratica. Come conservare gli alberi antichi

In conclusione, i ricercatori suggeriscono un sistema combinato per la conservazione degli alberi secolari. Da un lato è necessaria la conservazione ex situ attraverso la raccolta di semi e l’innesto di marze. Questo permetterebbe di catturare le mutazioni genetiche, epigenetiche e somatiche accumulate nel corso della vita di questi alberi antichi. Tuttavia questa pratica non sempre è possibile. È il caso delle specie arboree delle foreste tropicali umide, che spesso non tollerano l’essiccazione o il congelamento. 

Immagine: Neil Palmer via Flickr. Campioni di piante nella banca genetica, parte del programma “Risorse genetiche” del CIAT, presso la sede dell’istituto in Colombia

Altrettanto complicata ma di fondamentale importanza è la conservazione sul campo, specialmente in ambienti seminaturali. Essa può avvenire, si legge nella ricerca, esclusivamente attraverso la protezione completa e il rewilding forestale, che avrebbero come conseguenze immediate la mitigazione del clima e la conservazione della biodiversità. Le norme internazionali dovrebbero dunque prevedere, accanto alla conservazione generale delle foreste, la conservazione degli alberi secolari. Infatti, concludono i ricercatori, “gli alberi secolari sostengono caratteristiche funzionali e di biodiversità chiave sopra e sotto terra, tra cui reti di interazione e grande capacità rigenerativa (sia vegetativa che attraverso la produzione di semi). La conservazione di questi individui e dei frammenti forestali che li ospitano può ripristinare l’intero sistema”.

ImmagineJaymantri via Wikimedia Commons