Tra fughe e rincorse: la coevoluzione tra farfalle e piante ospiti

Combinando dati genomici e filogenesi possiamo ricostruire la storia evolutiva di papilionidi e piante ospiti

Probabilmente non ve ne siete mai accorti, ma nei vostri giardini e balconi ogni primavera inizia una vera e propria corsa agli armamenti che si ripete da decine di milioni di anni. Non preoccupatevi, nessuna invasione da parte di nazioni ostili. È la lotta che avviene tra le piante e gli insetti fitofagi, cioè quegli insetti che si nutrono di piante (o di loro parti). Ogni pianta per difendersi produce, infatti, numerosi composti tossici in grado di danneggiare gli insetti, tra cui, ad esempio, la caffeina e la nicotina. In risposta, gli insetti attivano meccanismi per detossificare queste molecole divenendo così resistenti.

Secondo una proposta formulata a metà degli anni ’60 del secolo scorso dall’entomologo Paul R. Ehrlich e dal botanico Peter H. Raven questa “corsa agli armamenti” sarebbe alla base della grande numerosità di specie di insetti fitofagi e spiegherebbe perché questi insetti rappresentano una parte significativa della biodiversità globale (su Pikaia ne avevamo parlato qui).

Come mostrato da molti lavori pubblicati negli ultimi anni, alla base di questo processo di “fuga e ricorsa” ci sono sia mutazioni in singoli geni che duplicazioni di geni implicati nei processi di detossificazione. Di conseguenza, per ogni pianta che diventa resistente ai fitofagi, una nuova popolazione di insetti si adatta non appena si diffondono le mutazioni o le duplicazioni utili per superare questa nuova linea di difesa (coevoluzione). È possibile che da questo adattamento derivi la comparsa di una nuova specie? La comparsa di una nuova specie di pianta può indurre la speciazione anche degli insetti che di essa si nutrono?

Studiare questi processi non è semplice perché comporta da un lato disporre di strumenti per lo studio accurato dei genomi di piante e insetti e dall’altro richiede la disponibilità di dati solidi legati alla loro filogenesi (per altro calibrata), aspetto necessario per correlare la comparsa dei cambiamenti osservati nel genoma con i dati filogenetici.

La rivista scientifica internazionale Nature Communications ha da poco pubblicato un interessante articolo in cui il gruppo di ricerca coordinato dall’entomologo Fabien Condamine (Università di Montpellier) ha analizzato la coevoluzione, iniziata all’incirca 50 milioni di anni fa, tra farfalle papilionidi (una famiglia di lepidotteri che comprende circa 600 specie) e piante appartenenti alla famiglia delle Aristolochiaceae.

Come già noto, le Aristolochiaceae sono piante tossiche in quanto producono l’acido aristolochico, un composto cancerogeno molto potente in grado di indurre un numero di mutazioni nel DNA maggiore di quanto causato da potenti agenti cancerogeni, come il tabacco o le radiazioni ultraviolette. Le farfalle appartenenti alla famiglia dei Papilionidi sono tra i pochi viventi in grado di nutrirsi di queste piante ed è interessante il fatto che questi lepidotteri non solo sono resistenti a queste molecole, ma l’ingestione di acido aristolochico li rende anche non graditi dai loro predatori.

Studi precedenti hanno mostrato che la resistenza all’acido aristolochico coinvolge mutazioni nel gene codificante per il citocromo P450 (molecola implicata in tutti i viventi nei processi di detossificazione sia di composti esogeni che endogeni), ma è opinione condivisa da molti Autori che la coevoluzione tra Papilioni e Aristolochiaceae potrebbe basarsi su un numero decisamente più elevato di geni.

Per analizzare questa co-evoluzione, i ricercatori dell’Università di Montpellier hanno preso in considerazione oltre quattrocento specie di farfalle papilionidi (circa il 70% delle specie note) al fine di ricostruire un albero filogenetico dettagliato usando sia dati genetici precedenti che includendo dati derivanti dal sequenziamento dell’intero genoma.

I dati ottenuti hanno indicato che le Aristolochiaceae rappresentano le piante ospiti su cui i Papilionidi si sono evoluti suggerendo che il genere Aristolochia rappresenti il gruppo di specie di piante che ha “ospitato” i primi papilionidi. Correlando i dati di filogenesi di piante e lepidotteri si è osservato inoltre una radiazione sincrona tra papilionidi e piante del genere Aristolochia a partire dell’inizio dell’Eocene a supporto del modello suggerito da Ehrlich e Raven. Infine, andando a studiare la storia biogeografica sia delle Aristolochiaceae che delle farfalle papilionidi, i ricercatori hanno osservato una co-distribuzione di piante e lepidotteri confermando la presenza di eventi di speciazione reciproca tra piante e insetti, in cui quest’ultimi davano origine a nuove specie in risposta a quanto accadeva nelle piante. La necessità di disporre di adeguati meccanismi di detossificazione ha quindi portato ad un’ampia diversificazione delle farfalle papilionidi in risposta all’evoluzione delle piante del genere Aristolochia.

L’articolo di Nature Communications inoltre, pur confermando il coinvolgimento del citocromo P450, ha permesso di identificare che altri geni sono risultati nelle farfalle sotto pressione di selezione durante il cambiamento di pianta ospite più di quanti non abbiano mutazioni utili per rispondere a cambiamenti ambientali. In modo però sorprendente, i geni le cui mutazioni sono risultate essenziali per l’adattamento alle nuove specie di Aristolochia non sono molto numerosi a suggerire che i cambiamenti in uno o pochi geni siano stati sufficienti per permettere l’adattamento a nuove piante ospiti.

I dati pubblicati sono decisamente interessanti e supportano quanto emerso, seppure con una mole di dati decisamente minori, sia in altri lepidotteri, che in altri insetti fitofagi, come gli afidi. Gli afidi, in particolare, potrebbero favorire l’identificazione di ulteriori ambiti di studio per completare l’analisi condotta dal gruppo di ricerca di Fabien Condamine. Ad esempio, come suggerito da Chris Bass (entomologo della Università di Exeter), una parte delle mutazioni che hanno giocato un ruolo importante potrebbero non essere nel genoma dell’insetto, ma in quello di uno dei suoi simbionti. Nell’afide Myzus persicae, infatti, parte delle mutazioni utili per permettere l’adattamento alla pianta di tabacco sono presenti nel genoma di un simbionte obbligato di questo afide. Inoltre, in questa stessa specie è stato suggerito (qui il link all’articolo) che alcuni geni abbiano cambiato i propri livelli di espressione non per la presenza di mutazioni in regioni regolative, ma a seguito di riarrangiamenti cromosomici (con un processo comunemente definito effetto di posizione). Potrebbe quindi essere interessante estendere gli studi condotti sia al genoma dei simbionti che ai cromosomi dei papilionidi che, essendo olocentrici, possono facilmente subire riarrangiamenti.

Serviranno quindi ulteriori analisi per capire appieno la portata della coevoluzione in termini di cambiamenti del genoma di piante e farfalle e speciazione. Per altro, questo deriva anche dal fatto che quasi un terzo dei geni identificati come mutati in risposta all’adattamento ad una nuova pianta ospite svolge una funzione attualmente ignota nelle farfalle papilionidi. Resta, tuttavia, che questo lavoro mostra con una grande mole di dati che le interazioni ecologiche sono vere e proprie cause di evoluzione sia sul breve che sul lungo periodo e possono avere conseguenze sia sua scala micro- che macro-evolutiva.

Riferimenti: Allio, R., Nabholz, B., Wanke, S. et al. (2021) Genome-wide macroevolutionary signatures of key innovations in butterflies colonizing new host plants. Nature Communications 12, e354. https://doi.org/10.1038/s41467-020-20507-3

Fonte immagine: © 2014 Jee & Rani Nature Photography