Una mutazione “dolorosa” per l’uomo di Neanderthal

L’uomo di Neanderthal avrebbe sofferto molto di più della nostra specie in quanto nel suo genoma presenta tre mutazioni responsabili di alterare la sensazione di dolore

Ai nostri cugini neandertaliani sono associate caratteristiche somatiche che sovente si legano con l’immagine di una specie molto forte e resistente, che per lascerebbe anche supporne il possesso di un’elevata resistenza e un’alta soglia di sopportazione al dolore, tale da aver contribuito probabilmente alla loro capacità di sopravvivenza. Ebbene, a smentire questa ipotesi è uno studio sul loro genoma pubblicato sulla rivista Current Biology da parte di un team internazionale di genetisti evoluzionisti con a capo il prestigioso Max Planck Institute for Evolutionary Anthropology, che ha ricostruito con un alto grado di risoluzione tre genomi di Neanderthal a partire dal DNA trovato all’interno di grotte in Croazia e in Russia.

I ricercatori hanno scoperto che la maggioranza della popolazione neandertaliana condivideva tre mutazioni amminoacidiche (nello specifico M932L, V991L, e D1908G), localizzate in un gene denominato SCN9A e codificante la proteina NaV1.7, che avrebbe causato l’amplificazione degli stimoli legati alla percezione del dolore.

Questa proteina è normalmente responsabile della trasmissione di sensazioni dolorose al midollo spinale e al cervello anche nella nostra specie, ma la forma alterata di Homo neanderthalensis ne avrebbe notevolmente amplificato l’intensità. Queste varianti potrebbero essere tuttavia rientrate nell’attuale popolazione umana per introgressione di DNA proveniente da altri Hominini quando questi hanno incontrato gli umani moderni circa 40.000-60.000 anni fa.

Una prova diretta di questa scoperta la si è potuta avere grazie alla comparazione dei genomi di volontari residenti nel Regno Unito nei quali, dopo essere stati selezionati in base alle loro risposte sulla soggettiva percezione del dolore, si è osservato che portavano le stesse mutazioni di H. neanderthalensis. Questo indica che la percezione del dolore presenta anche una componente genetica e non è quindi solo legata a parametri individuali, legati al sesso o all’età.

Tuttavia in realtà lo studio si astiene nel sostenere che i Neanderthal provassero molto dolore. Infatti, proteina NaV1.7 funge primariamente da canale ionico, permettendo il passaggio di ioni sodio attraverso le membrane dei neuroni in risposta alle variazioni di potenziale elettrico della membrana. Nei Neanderthal il canale ionico è l’unico che trasporta sostituzioni di aminoacidi che è altamente espresso nei nervi periferici che mediano la sensazione di dolore. La traduzione di tale input nella percezione del dolore è infatti modulata sia a livello del midollo spinale che del cervello. Pertanto, non è possibile, secondo lo studio, concludere che i neandertaliani abbiano necessariamente provato più dolore rispetto all’uomo moderno, ma indubbiamente l’impulso proveniente dalle terminazioni nervose periferiche di Neanderthal avrebbe certamente permesso di essere più sensibili agli stimoli.

Riferimenti:
H. Zeberg et al. A Neanderthal Sodium Channel Increases Pain Sensitivity in Present-Day Humans. Current Biology published online July 23, 2020; doi: 10.1038/d41586-020-02202-x 

Immagine: Neanderthal-Museum, Mettmann / CC BY-SA, via Wikimedia Commons