Una nuova taratura per gli orologi molecolari

Il momento esatto della divergenza tra linee evolutive, ovvero l’epoca in cui due specie viventi hanno condiviso il loro ultimo antenato comune, è non solo estremamente interessante (“quanto tempo fa ci siamo separati da…?” è una delle tipologie di domanda che si sentono più di frequente) ma anche particolarmente difficile da calcolare poiché si tratta di mettere assieme il record

Il momento esatto della divergenza tra linee evolutive, ovvero l’epoca in cui due specie viventi hanno condiviso il loro ultimo antenato comune, è non solo estremamente interessante (“quanto tempo fa ci siamo separati da…?” è una delle tipologie di domanda che si sentono più di frequente) ma anche particolarmente difficile da calcolare poiché si tratta di mettere assieme il record fossile con i dati molecolari e trovare una maniera per interpretare entrambi e compensare gli eventuali dati mancanti. Un gruppo di ricerca composto da matematici, antropologi e biologi tra i quali Richard Wilkinson e Robert Martin ha messo a punto un metodo innovativo, pubblicato su Systematic Biology, che nelle loro intenzioni dovrebbe superare alcune problematiche legate alle vecchie metodologie.

 

Quello che viene chiamato “orologio molecolare” e serve a calcolare il punto di divergenza di due linee filetiche è un procedimento che a partire dalle differenze tra due regioni omologhe e non codificanti del genoma di due specie calcola il punto in cui, in passato, queste condividevano lo stesso antenato; siccome non tutti i gruppi di organismi hanno gli stessi tassi di mutazione, però, questo orologio va “tarato” in qualche maniera, affidandosi al record fossile che in alcuni casi può fornire dati abbastanza precisi. I primi tentativi di tarare gli orologi molecolari si limitavano a prendere il più antico esemplare conosciuto di una linea filetica (ad esempio gli ominidi) e farlo coincidere con il punto nodale cercato (da li poi si poteva calcolare la divergenza temporale tra due specie tenendo per buono il tasso di mutazione trovato per il gruppo più ampio che le comprende), esponendo quindi il tutto alle incertezze della paleontologia: possiamo essere sicuri che il più antico fossile sia davvero il più antico rappresentante di quella specie? Quasi sicuramente è invece solo il più antico tra quelli che abbiamo trovato. Tentativi successivi hanno introdotto l’utilizzo di range di possibili punti di divergenza (ad es. per la divergenza tra scimpanzé e uomini si pensa tendenzialmente a un range che va da 5 a 6 milioni di anni fa) e hanno raffinato i metodi statistici utilizzati, ma si è sempre fatto affidamento solo sul record fossile e in particolare sugli esemplari più antichi.

 

Questo nuovo metodo, che gli autori dello studio hanno subito testato su alcune linee filetiche tra le quali quella dalla quale viene la nostra specie, prende invece in esame non solo il record fossile, peraltro in una maniera ora comprensiva di tutti gli esemplari fossili ritrovati, ma anche la distribuzione delle specie viventi di un particolare gruppo, calcolando quindi un tasso di mutazione che nelle intenzioni del gruppo di ricerca dovrebbe aiutare a superare i limiti imposti dai precedenti approcci. Un nuovo approccio che quindi fa affidamento su una mole di dati maggiore, analizzando non solo i reperti più antichi ma tutti gli eventi di speciazione registrati nel record fossile, la natura del record fossile stesso (nel senso della percentuale stimata di conservazione delle linee filetiche nei reperti trovati) e la distribuzione attuale dei discendenti  viventi della linea filetica presa in esame: un approccio più globale e in teoria più completo.

 

Il risultato più interessante tra quelli che lo stesso gruppo di ricerca ha trovato applicando il metodo a varie linee filetiche è quello riguardante la nostra specie: analizzando i dati in questa maniera la divergenza tra la nostra linea e quella degli scimpanzé, che come già ricordato si crede risalga a un periodo compreso tra 5 e 6 milioni di anni fa, va collocata più indietro nel tempo, a circa 8 milioni di anni fa (o meglio tra 10 e 6 milioni di anni fa). Gli autori fanno inoltre notare che, comparando questo risultato con altri studi recenti sulle divergenze tra primati, tale data avrebbe molto più senso  se si accettasse almeno uno tra Sahelanthropus tchadensis (del quale in particolare è stata criticata l’attribuzione alla linea “umana” proprio per l’età troppo antica, circa 7 milioni di fa), Orrorin tugenensis o Ardipithecus ramidus come rappresentante primitivo della linea filetica della nostra specie, tre specie che in effetti hanno trovato chi più chi meno resistenze a essere considerate tali.

 

Marco Michelutto

 

 

Riferimenti:

R. D. Wilkinson, M. E. Steiper, C. Soligo, R. D. Martin, Z. Yang, S. Tavare. Dating Primate Divergences through an Integrated Analysis of Palaeontological and Molecular Data.Systematic Biology, 2010;  DOI:10.1093/sysbio/syq054