Uno sguardo sull’isolamento sociale nei primati

Una recente ricerca sul macaco rhesus suggerisce che alcuni individui sono inclini all’isolamento sociale e che questa condizione dipende inoltre da età, sesso, status sociale, parentela e familiarità col gruppo

Negli animali gregari, essere integrato socialmente comporta importanti vantaggi in termini di successo riproduttivo, salute e longevità. Le connessioni sociali sono determinanti per l’accesso alle risorse e alle informazioni, e assumono un ruolo cruciale nel riconoscimento ed evitamento dei predatori. Alcuni individui sono meno integrati di altri, e possono essere emarginati dal gruppo come strategia competitiva.

I fattori evolutivi e neurobiologici responsabili dell’isolamento sociale non sono ancora stati chiariti. Secondo i ricercatori delle università di Exeter, di Puerto Rico e del Pennsylvania che hanno di recente pubblicato un articolo sulla rivista Scientifc Report sull’argomento, il primo passo da compiere è quello di riconoscere le caratteristiche degli individui isolati e capire se l’isolamento è guidato da fattori genetici e/o socio-ambientali.

Con tale obiettivo, questo team internazionale ha studiato per 6 anni 429 macachi rhesus (Macaca mulatta) adulti, organizzati in 6 gruppi, nella stazione di ricerca Cayo Santiago a Puerto Rico (USA). I macachi rhesus sono primati asiatici gregari con filopatria femminile: al contrario dei maschi, destinati alla dispersione, le femmine solitamente non lasciano il gruppo, nel quale vivono con la madre e le sorelle. I legami sociali (e di conseguenza il grado d’isolamento) sono stati misurati sulla base dei tassi di grooming (spulciamento), che costituisce una delle più comuni interazioni nei primati gregari, da cui dipende la formazione e il mantenimento delle relazioni.

I risultati hanno rivelato che fattori quali età, sesso, status sociale, parentela e familiarità con i membri del gruppo giocano tutti un ruolo importante nel determinare il comportamento solitario di un macaco rhesus. In particolare, individui più vecchi sembravano ritirarsi dalla vita sociale, pur rimanendo in molti casi destinatari del grooming con la stessa frequenza di quand’erano più giovani.

Nel caso dei maschi, né il gruppo in cui erano nati né l’identità materna (rappresentante l’ambiente sociale comune tra fratelli) hanno mostrato effetti sul grado di integrazione sociale da adulti. I maschi, inoltre, risultavano più integrati quando avevano trascorso maggior tempo in un gruppo, indipendentemente dal loro status sociale ed età. Per quanto riguarda le femmine, invece, erano i soggetti con un maggiore numero di parenti stretti femminili nel gruppo a ricevere grooming più spesso e quindi ad essere meno isolate.

Infine, i valori di isolamento di ciascun individuo sono risultati moderatamente ripetibili entro individuo nel tempo, il che ha condotto i ricercatori a concludere che l’identità individuale sia un ulteriore fattore rilevante nel definire il grado di integrazione. 

Questo studio mostra quindi come l’isolamento sociale sembri derivare da una combinazione di fattori intrinseci e fattori socio-ambientali. Ma perché la presenza di individui solitari nelle popolazioni viene mantenuta dalla selezione?

Secondo gli autori, l’isolamento sociale può anche rivelarsi una strategia vincente, e quindi essere adattativo, in certi contesti specifici: è il caso di situazioni con alto rischio di contagio di patogeni o di forte competizione con conspecifici, in cui la sopravvivenza dell’individuo può esser messa a repentaglio.

Riferimenti:
Lauren J. N. Brent, Angelina Ruiz-Lambides & Michael L. Platt 2017. Persistent social isolation reflects identity and social context but not maternal effects or early environment. Scientific Reports 7 (1). DOI: 10.1038/s41598-017-18104-4

Immagine: Macaca mulatta by Einar Fredriksen [CC BY-SA 2.0], via Wikimedia Commons