Verso l’indipendenza del lupo himalayano

Si distingue da tutti gli altri lupi perché possiede degli adattamenti fisiologici unici, grazie ai quali può sopravvivere a concentrazioni di ossigeno relativamente basse

Secondo Geraldine Werhahn, dell’Università di Oxford, e il suo team internazionale di ricercatori, i lupi che vivono sulle alture della catena himalayana dovrebbero essere considerati a tutti gli effetti non solo come una delle sottospecie del lupo grigio oloartico (Canis lupus) ma come una specie a sé stante. Lo affermano in base ai risultati della loro ricerca, uscita su Journal of Biogeography, nella quale sottolineano che l’unicità evolutiva di questi canidi dipende dalla presenza di marker genetici particolari.

Le analisi del DNA mitocondriale rivelano che la divergenza del lupo himalayano (attualmente denominato Canis lupus chanco), con il lupo grigio risale a 0,8-0,55 milioni di anni fa, un periodo che coincide con importanti eventi geologici e climatici che hanno interessato l’Asia: tra questi, certamente i cicli di glaciazioni che hanno rimodellato i pattern globali della biodiversità. In corrispondenza di questi fenomeni, si è verificato l’isolamento delle popolazioni di lupi (la stessa cosa è accaduta per l’orso bruno himalayano, Ursus arctos isabellinus) e la divergenza dai progenitori della linea lupo-cane.

Oggi i lupi himalayani hanno un range di distribuzione che include le praterie alpine e gli habitat di tundra del plateau tibetano e del Nepal. Sono animali difficili da osservare perché molto elusivi e, come tutti i membri del genere Canis, nelle zone di transizione si ibridano facilmente con le altre sottospecie di lupo. Ciononostante, secondo i ricercatori, i lupi himalayani si distinguono bene da tutti gli altri: possiedono infatti degli adattamenti fisiologici che permettono loro di fronteggiare le condizioni climatiche tipiche dei luoghi remoti in cui abitano, caratterizzati da una bassa concentrazione di ossigeno. Infatti, sopra i 4000 metri l’aria contiene soltanto meno del 12,7% di ossigeno, circa la metà di quello che è presente al livello del mare, una condizione di ipossia che costituisce una pressione selettiva costante, in grado di modellare i genomi delle specie che vivono in questi ecosistemi.

Nei mammiferi, incluso Homo sapiens, l’esposizione alle alte altitudini diminuisce la pressione parziale dell’ossigeno e aumenta la formazione di specie reattive dell’ossigeno e dell’azoto (RONS), che provocano danni ossidativi ai lipidi, alle proteine e al DNA. Lo studio mostra che i lupi himalayani possiedono delle mutazioni in tre geni relativi all’adattamento funzionale all’ipossia: i geni in questione sono EPAS1 e ANGPT1, coinvolti nell’aumento della distribuzione di ossigeno, e RYR, che potenzia l’efficienza del muscolo cardiaco. La stessa mutazione sul gene EPAS1 è peraltro stata trovata anche nei cani (Canis lupus familiaris) abituati agli stessi ambienti, come per esempio i mastini tibetani, e nei lupi grigi del Kirghizistan e Tagikistan, probabilmente in seguito a fenomeni di introgressione con i lupi himalayani. Tali adattamenti non si trovano in nessun altro rappresentante della specie Canis lupus e, insieme alla morfologia, a un repertorio vocale unico e all’ecologia trofica, dovrebbero essere sufficienti per garantire al lupo himalayano, anche chiamato lupo tibetano, l’appartenenza a un proprio lineage monofiletico e dunque, lo status di specie autonoma.

I fenomeni di speciazione spesso possono essere facilitati dalla presenza di brusche variazioni clinali nell’habitat, rappresentate in questo caso dalle grandi differenze altitudinali tra il plateau tibetano e la catena himalayana rispetto alle regioni circostanti. Queste differenze in altitudine influenzano in modo diretto la capacità di dispersione degli individui e il tasso di ibridazione con altri canidi lupini e contribuiscono in ultimo ai fenomeni di isolamento, deriva genetica e selezione divergente. Sulla base di questi elementi, il lupo himalayano rispetterebbe i criteri di assegnazione alla categoria ESU (unità evolutivamente significativa) e meriterebbe dunque a maggior ragione il riconoscimento del livello di specie (è stato proposto Canis himalayensis), che potrebbe tra l’altro garantirgli un posto nella Lista Rossa della IUCN e quindi una maggior attenzione in ambito conservazionistico.

Riferimenti: Werhahn, G., Liu, Y., Meng, Y., Cheng, C., Lu, Z., Atzeni, L., … & Joshi, J. Himalayan wolf distribution and admixture based on multiple genetic markers. Journal of Biogeography.

Immagine: http://animal.memozee.com/view.php?tid=3&did=37923