Verso una scienza evolutiva della religione?

La religione è stata a lungo dominio del mistero, ma oggi è possibile studiarla con un approccio scientifico, grazie all’incrocio di discipline come l’antropologia culturale, la psicologia cognitiva e la biologia evoluzionistica. In questa intervista lo psicologo Ara Norenzayan ci spiega quali sono le principali ipotesi di ricerca oggi in campo.

La religione è stata a lungo dominio del mistero, ma oggi è possibile trattare la sua esistenza come una domanda scientifica, grazie all’incrocio di discipline come l’antropologia culturale, la psicologia cognitiva e la biologia evoluzionistica. Alcuni tra i massimi esponenti mondiali di questa comunità scientifica interdisciplinare si sono riuniti a Erice, in Sicilia, per fare il punto sui progressi fatti negli ultimi decenni. Ara Norenzayan, tra gli organizzatori del convegno, in un’intervista rilasciata a La Mela di Newton, spiega cosa significa studiare la religione con un approccio scientifico e quali sono le principali ipotesi di ricerca oggi in campo.

Le più impegnative realizzazioni architettoniche nella storia dell’umanità – dalle mastodontiche ziqqurat sumeriche alla solenne verticalità delle cattedrali gotiche – sono state erette in nome di divinità superiori e di una spiritualità religiosa che ha lasciato traccia in ogni angolo del pianeta. La psicologia individuale e la vita sociale di Homo sapiens sono pervase, a ogni latitudine, da comportamenti e credenze religiose. Così come la capacità di apprendere un linguaggio parlato viene considerata un universale cognitivo della nostra specie, la presenza di pratiche rituali e di credenze in entità soprannaturali può essere considerata un vero e proprio universale culturale, e in quanto tale necessita di una spiegazione evolutiva.

Ma la religione non è un enigmatico explanandum evolutivo in virtù della sua sola ubiquità. Nonostante una grande variabilità sia riscontrata nelle tradizioni religiose, alcune caratteristiche risultano ricorrenti, come ad esempio la rappresentazione di agenti soprannaturali associati a rituali, artefatti e norme morali, nonché la struttura dei rituali stessi. Inoltre, aspetto ancor più interessante, alcuni “fenotipi” religiosi sono estremamente costosi per i singoli individui (nei termini delle risorse richieste per il loro mantenimento, come ad esempio i rituali estremi o i gesti di automortificazione) e non sembrano garantire diretti benefici ecologici, sfuggendo così apparentemente a spiegazioni di tipo selettivo.

Lo studio scientifico della religione rimane, tuttavia, un campo d’indagine relativamente giovane, spesso trascurato nei suoi aspetti metodologici e ancora ampiamente frammentato.

I primi contributi in questa direzione provengono dall’antropologia a metà degli anni ’70 del secolo scorso (Dan Sperber, Rethinking symbolism, 1975; Stewart Guthrie, A cognitive theory of religion, 1980). Gli anni ’90 vedono un florido periodo di discussione tra antropologia, psicologia e studi religiosi, fino alla realizzazione dei primi esperimenti di scienze cognitive della religione e alla fondazione, nei primi anni 2000, delle prime riviste scientifiche dedicate (Journal of Cognition and Culture, 2001). Nel 2006 viene fondata The International Association for the Cognitive Science of Religion e oggi i centri di studio di questa disciplina di frontiera sono diffusi in tutto il mondo.

Un gruppo internazionale e interdisciplinare costituito da esperti mondiali che hanno contribuito allo studio scientifico della religione si è riunito dal 9 al 14 maggio a Erice, in Sicilia, per un convegno organizzato dal Centro di Cultura Scientifica Ettore Majorana e dalla Scuola Internazionale di Etologia “Danilo Mainardi”, intitolato “Future directions on the evolution of rituals, beliefs and religious minds”[1]. Gli organizzatori – Ara Norenzayan (University of British Columbia), Joe Henrich (Harvard University), Edward Slingerland (University of British Columbia) e Stefano Parmigiani (Università di Parma) – hanno creato l’occasione per una riflessione corale sullo stato dell’arte della conoscenza scientifica sulla religione.

Una pluralità di prospettive provenienti dagli studi di psicologia sociale, antropologia, biologia evoluzionistica, filosofia, e delle scienze cognitive, religiose e storiche, ha permesso di affrontare il fenomeno religioso come un complesso mosaico di inclinazioni cognitive, comportamenti e credenze radicati nella nostra evoluzione genetica e culturale.  Particolare attenzione è stata data ai più recenti sviluppi negli approcci quantitativi allo studio delle religioni. Negli ultimi anni la ricerca – favorita da un crescente interesse da parte dei finanziatori – ha reso possibile la creazione di preziose banche-dati globali sulla storia culturale religiosa dell’uomo (tra queste Seshat[2], Pulotu[3] per le religioni austronesiane, e DRH[4]) che raccolgono informazioni sulle culture e sulle organizzazioni religiose di tutto il mondo, strutturate secondo parametri specifici (dimensioni e conformazione del gruppo sociale, tipologia di credenze, pratiche rituali, aspetti istituzionalizzati, e altro ancora).  Una simile organizzazione dei dati permette di compiere le più svariate analisi statistiche. Ciò comporta una piccola rivoluzione metodologica in seno alle scienze storiche, che vedono l’opportunità di riscattarsi da un presunto stato di inferiorità epistemologica e di formulare valutazioni quantitativamente fondate sui dati a disposizione.  È possibile ad esempio mostrare se la religiosità di una popolazione è in qualche modo correlata a parametri ecologici presenti nell’ambiente in cui quella popolazione vive. Lo studio[5]di Jeanet Sinding Bentzen, Università di Copenhagen, trova ad esempio che la religiosità degli individui aumenta quando la loro area geografica è ad alto rischio di terremoti.

Dal punto di vista evolutivo, permane la divergenza di posizioni in merito a un dibattito di lunga data. Può la religione essere interpretata in chiave adattativa, oppure si tratta di un by-product – un effetto collaterale “parassitario”– della selezione che ha favorito tratti cognitivi sfruttabili in contesti non religiosi? Quest’ultima lettura costituisce il cosiddetto Modello Standard[6] sull’origine e sull’evoluzione della religione, che ha oggi tra i suoi maggiori sostenitori gli antropologi franco-americani Pascal Boyer e Scott Atran. In Italia gli studi dello psicologo sperimentale Vittorio Girotto e del neuroscienzato Giorgio Vallortigara hanno contribuito a fornire prove a sostegno di tale modello, analizzando le predisposizioni cognitive che favoriscono lo sviluppo del pensiero soprannaturale e religioso[7] (la rilevazione di agenti animati, la rilevazione di causalità, l’attribuzione di scopi e intenzioni ad oggetti animati e inanimati, il dualismo intuitivo, e altri).  Studiosi, invece, come Joseph Bulbulia e Dimitris Xygalatas, che affrontano le abitudini e le credenze spirituali con gli strumenti delle scienze biologiche, interpretano i comportamenti religiosi (in particolare rituali ed emozioni di difficile contraffazione) come segnali costosi atti a sottolineare l’impegno dell’individuo verso il gruppo e a favorire la cooperazione sociale.

Riportiamo qui di seguito il testo dell’intervista rilasciata da Ara Norenzayan, co-organizzatore del convegno e autore di Grandi Dei (Raffaello Cortina Editore, 2014), sulle origini degli studi scientifici della religione e sui punti nodali del dibattito corrente.

M: La religione è stata per lungo tempo relegata al mistero. Oggi, invece, l’esistenza delle religioni può essere trattata come una domanda scientifica. Come è possibile e cosa significa oggi studiare la religione da un punto di vista scientifico?

A: Credo che per molto tempo, come hai sottolineato, la religione sia veramente stata un mistero. Non avevamo davvero a disposizione buone teorie e spiegazioni soddisfacenti sull’origine delle religioni, ma negli ultimi due decenni abbiamo fatto progressi notevoli, connettendo tra loro diverse aree della ricerca, come l’archeologia, la storia, la psicologia, le neuroscienze, l’antropologia. Ora stiamo iniziando a sviluppare un quadro concettuale intorno all’origine delle religioni, sia nei termini dello sviluppo storico delle religioni nel tempo, ma anche attraverso una migliore comprensione di come la nostra mente graviti attorno a credenze, rituali e pratiche religiose. Ci si chiede dunque quali caratteristiche della nostra mente, come esseri umani, ci permettano di rappresentarci mentalmente il soprannaturale e di impegnarci attivamente in pratiche religiose come i rituali.

M: Stiamo assistendo a un grande dibattito sul rapporto tra l’evoluzione della complessità politica, la cooperazione su larga scala e l’emergere di grandi dei moralizzatori. Come è possibile stabilire una direzione causale tra questi fenomeni?

Questa è una domanda impegnativa, ed è qualcosa su cui stiamo ancora lavorando. Possiamo dirimere la questione in diversi modi, e voglio essere chiaro sul fatto che non necessariamente si deve trattare di una sola direzione causale: la causalità potrebbe benissimo essere bidirezionale. E quello che probabilmente si è verificato è una sorta di pattern ciclico, talvolta definito “autocatalitico”. E’ possibile cioè che le società, una volta divenute più complesse, abbiano facilitato il diffondersi delle idee culturali di dei sempre più potenti e sempre più moralizzatori, e questo a sua volta abbia restituito una maggiore complessità sociale: in questo senso si osserva una causalità bidirezionale. Come facciamo a stabilire tutto ciò? Proprio per questo il lavoro interdisciplinare è così importante. Non possiamo risolvere questa domanda a partire da un solo metodo o una sola disciplina. Una risposta può venire dal lavoro storico che questa conferenza ha preso in considerazione, per cui possiamo valutare se le credenze religiose sui grandi dei moralizzatori hanno preceduto la complessità sociale, o se è avvenuto il contrario. Dunque abbiamo bisogno di quantificare l’informazione storica per affrontare questa domanda da un punto di vista statistico. Un altro approccio consiste nel valutare l’evidenza antropologica attraverso uno sguardo comparativo culturale, e controllando la variabile della complessità sociale per vedere se è possibile trovare prove del fatto che la credenza in dei moralizzatori che intervengono nelle vicende umane, punendo il cattivo operato, eserciti degli effetti sul comportamento cooperativo. Se questo è vero, allora possiamo dire di avere delle evidenze causali che vanno dalla religione alla complessità sociale. Ci sono altri modi ancora, al di fuori di questi due approcci.

M: Un’ultima domanda. Cosa l’ha condotta a diventare uno psicologo sociale e scienziato evoluzionista della religione di fama mondiale?

[ride] Sono cresciuto a Beirut in Libano durante la guerra civile, tra gli anni ’70 e ’80, e questo ha esercitato un notevole impatto su di me, osservando quanto fosse importante la religione nella vita delle persone e come la religione potesse divenire un fattore di conflitto sociale. Questo mi ha portato a chiedermi cosa fosse la religione, come emergesse, e quale ruolo svolgesse nelle questioni umane, permettendomi poi di riformulare queste domande come psicologo della religione. E lavorando con altri ricercatori del campo abbiamo iniziato ad avanzare delle risposte a queste domande.

di Andra Meneganzin e Francesco Suman
da La Mela di Newton

NOTE

[1] http://schools.centromajorana.it/relmind…

[2] http://seshatdatabank.info/

[3] https://pulotu.shh.mpg.de/

[4] https://religiondatabase.org/landing/

[5] http://www.econ.ku.dk/bentzen/Religiosit…

[6] Boyer P. Whitehouse H,  McCauley R N. ‘A Reductionist Model of Distinct Modes of Religious Transmission’, Mind and Religion: Psychological and Cognitive Foundations of Religiosity , 2005 Lanham MDAltamira Press

[7] V. Girotto, T. Pievani, G. Vallortigara, 2008, Nati per credere, Codice Edizioni, Torino.
V. Girotto, T. Pievani, G. Vallortigara. “Supernatural beliefs: Adaptations for social life or by-products of cognitive adaptations?”. Behaviour , Volume 151 (2-3): 385 – Jan 1, 2014