Aggiornare il diario di viaggio
Ricostruire i viaggi e le migrazioni delle popolazioni umane, avvenuti migliaia o addirittura decine di migliaia di anni fa, è un impresa davvero difficile, ma soprattutto stimolante, poiché ci permette di imparare molto sul passato della nostra specie e sulle origini dell’attuale diversità genetica. Gli studi che tentano queste ricostruzioni sono molti e sfruttano diversi approcci nel tentativo di integrare […]
Ricostruire i viaggi e le migrazioni delle popolazioni umane, avvenuti migliaia o addirittura decine di migliaia di anni fa, è un impresa davvero difficile, ma soprattutto stimolante, poiché ci permette di imparare molto sul passato della nostra specie e sulle origini dell’attuale diversità genetica. Gli studi che tentano queste ricostruzioni sono molti e sfruttano diversi approcci nel tentativo di integrare i dati archeologici con quelli molecolari, per tappare buchi, colmare lacune e fornire un quadro il più possibile verosimile e solidamente provato di quello che fu il lungo viaggio dell’uomo alla conquista delle terre emerse. Proprio per raggiungere questo scopo, questi studi sono continuamente soggetti a rivalutazioni, precisazioni, approfondimenti che ci stanno portando pian piano ad avere idee sempre più chiare.
Gli ultimi arrivati in questa grande famiglia di studi, sono due articoli pubblicati su PLoS One, a proposito di una delle migrazioni più interessanti della storia dell’umanità, quella che ha portato alla conquista del continente americano a partire dal ponte di terra della Beringia fino all’estremità opposta, nella Terra del Fuoco.
Il primo articolo, presentato da Fagundes e colleghi, analizza nuovamente i dati sul DNA mitocondriale di Nativi Americani, utilizzati nei precedenti studi, con lo scopo di testare la robustezza dei modelli finora presentati, con particolare riferimento al cosiddetto “three-stage model” di Kitchen. Questo modello sostiene l’ipotesi di un iniziale incremento demografico, avvenuto dopo la precoce separazione dei primi proto-amerindi giunti dall’Asia in Beringia, e seguito da un lungo periodo di stasi e di permanenza in quello stesso territorio, prima della definitiva migrazione verso Sud, accompagnata da un’ulteriore espansione demografica. I risultati portati da Fagundes smentiscono almeno in parte questa ipotesi, dimostrando come il dato dell’iniziale espansione demografica sia dovuto ad un piccolo numero di campioni di mtDNA dall’origine non nativa-americana, bensì asiatica o addirittura europea. Questa involontaria contaminazione ha alterato in maniera significativa l’interpretazione dei dati demografici, invalidando così le tesi di Kitchen riguardo alle dimensioni originali della popolazione partita per la colonizzazione dell’america.
Nel secondo articolo vi è la risposta di Kitchen all’articolo di Fagundes, in cui viene rivalutato e aggiornato il “three-stage model” tramite l’eliminazione dall’analisi di quel piccolo set di campioni non utilizzabili. Questa nuova analisi, con un set corretto e più ampio di campioni, conferma i risultati di Fagundes, e non trova alcuna evidenza di una prima espansione demografica avvenuta in Beringia immediatamente dopo la separazione dei proto-amerindi dagli asiatici. La nuova analisi di Kitchen ha inoltre permesso di stimare intorno a 1.000-2.000 il numero di individui che inizialmente partirono alla colonizzazione delle americhe. Per quanto riguarda il presunto periodo di isolamento in Beringia prima della vera e propria migrazione, Kitchen ha calcolato approssimativamente il periodo che sarebbe stato necessario per generare la diversità dei cinque aplotipi del mtDNA presenti nel piccolo gruppo di fondatori. I risultati di questo approccio non sono univoci in quanto dipendono strattamente da quale si assuma essere il tasso di mutazione per i vari tratti di DNA mitocondriale, ma Kitchen propende per un periodo di isolamento di almeno 7-15 mila anni, prima dell’effettiva migrazione.
In conclusione, il “three-stage model” rimane valido secondo Kitchen, pur includendo la correzione riguardante l’iniziale espansione demografica prima del periodo di isolamento.
Nonostante questi due brillanti studi molto ancora rimane da spiegare, integrando magari ai dati molecolari, la scarsa documentazione archeologica ritrovata in quello che rimane ora della Beringia e in Alaska su quella piccola popolazione che ebbe l’ardire di esplorare e colonizzare un così vasto territorio.
Silvia Demergazzi
Fonte dell’immagine: Wikimedia Commons