Hugo de Vries
Hugo de Vries (1848-1935) |
De Hugo de Vries a Charles Darwin il 15 ottobre del 1881:
[…]Per qualche tempo ho studiato le cause della variazione negli animali e nelle piante, come descritto nel suo libro sulla variazione degli animali e delle piante allo stato domestico, e ho cercato di raccogliere alcuni altri fatti su questo tema.
Nella sua Origine delle specie lei ha promesso un volume sulle variazioni degli animali ed elle piante selvatici e spero che un giorno lei avrà la bontà di tener fede a questa promessa, mettendoci al corrente delle sue ricerche su questo soggetto estremamente interessante. Sono sempre stato particolarmente interessato alla sua ipotesi sulla Pangenesi e ho raccolto una serie di fatti in suo favore, ma sono certo che la sua pubblicazione promessa conterrà maggiori prove su tutti questi punti di quante in molti anni sarei in grado di raccogliere.
Con molti ringraziamenti per il suo gentilissimo presente
Suo
Hugo de Vries
Da: Intracellular Pangenesis (1889)
… l’eredità delle qualità individuali dipende dal materiale individuale dei portatori nella sostanza vitale delle cellule io la chiamo pangenesi. Questi portatori io li chiamo ‘pangeni’… L’ipotesi che ogni protoplasma vivente sia formato di pangeni io la chiamo panegenesi intracellulare. Nel nucleo è rappresentato ogni tipo di pangene di un determinato individuo e il rstante protoplasma in ogni cellula contiene principalmente soltanto quelli che diventeranno in essa attivi …
Da: Specie e varietà e loro origine per mutazione Traduzione italiana di Federico Raffaele
Remo Sandron Editore, senza data
Dalla Lezione I
[…]Riguardo a questo punto il Darwin ammise due possibilità: una fonte di trasformazione sta nel prodursi brusco e spontaneo di nuove forme dal vecchio ceppo; l’altra nell’accumularsi graduale delle variazioni sempre esistenti e sempre fluttuanti, cui si riferisce la nota asserzione che due individui di una data razza non sono mai identici. Le modificazioni della prima maniera sono quelle che adesso chiamiamo mutazioni; quelle della seconda si designano come variazioni individuali, o, meglio, come fluttuazioni, dacché il primo termine è usato in un altro senso. Il Darwin riconobbe tutti e due i processi evolutivi; ma il Wallace trascurò le mutazioni improvvise, e ritenne esser le fluttuazioni l’unico fattore delle modificazioni. Tuttavia, negli ultimi tempi, questo modo di vedere è stato abbandonato da molti studiosi, specialmente in America.
Che le mutazioni avvengano realmente è oramai riconosciuto, e la discussione ferve ora intorno al quesito se debbano considerarsi come il fattore principale dell’evoluzione, o se i cambiamenti lenti e graduali non vi abbiano anche avuta molta parte.
I difensori della teoria dell’evoluzione per lento accumularsi di leggere fluttuazioni si dividono in due campi. Il primo, quello dei Neo-Lamarckiani, suppone un’azione modificatrice diretta dell’ambiente, la quale determinerebbe un utile cambiamento corrispettivo nella organizzazione. L’altro, quello che si dice dei Darwiniani o selezionisti (i quali, secondo me, non hanno altro diritto a questa designazione se non l’arbitraria restrizione che il Wallace fece ai principi darwiniani), ammette variazioni fluttuanti in tutte le direzioni, lasciando che ne faccia una scelta il crivello della selezione naturale.
Certamente siamo ancora lontani dal poterci decidere per l’una o l’altra dottrina sulla sola base dei fatti finora noti. Le mutazioni in esperimento sono ancora molto rare; esse bastano ad indicarci quali siano le possibili e più probabili vie, ma niente più di questo. D’altra parte l’accumularsi delle fluttuazioni non oltrepassa certi limiti relativamente ristretti per quel che permettono gli attuali metodi di selezione.
[…]Dalla Lezione XVIII
[…]Non ho nessuna difficoltà ad ammettere che la condizione costante delle specie rappresenta la norma, e che i periodi di mutazione debbono essere l’eccezione. Questo stato di cose non è certo fatto per aumentare la nostra speranza di scoprire una specie allo stato di mutabilità; e prima che se ne trovi una, molte dovranno essere saggiate. D’altro canto, l’esperimento diretto mi sembra essere l’unica via per raggiungere la meta. […]
Poche piante variano allo stato selvatico in misura tale da fornire indizi precisi. Tutte debbono subire in giardino una prova fatta in condizioni quant’è più possibile simili a quelle dell’ambiente naturale. Bisognerà, s’intende, escludere le piante coltivate, le quali, di fatto, sono già state assoggettate al detto esperimento, e non c’è da aspettarsi che cambino così presto il loro abito. S’aggiunga che esse sono spesso di origine ibrida. Quindi la miglior cosa è di sperimentare con le piante native del proprio paese.
[…]Le mie piante erano, per la maggior parte, annuali o biennali, o di quelle perenni che mercé un adatto trattamento potessero produrre fiori e semi nella prima estate. Sarebbe inutile di enumerarle qui tutte. Il risultato negativo non si riferisce alla specie come tale, ma solo alla discendenza individuale, che io raccolsi e coltivai. Molte specie, che presso di noi si mantengono assolutamente costanti, potremmo aspettarci di trovarle mutabili in altre regioni a cui si estende la loro distribuzione geografica.
Di tutte le specie trovate, una sola corrispose alla mia aspettazione. Questa specie risultò trovarsi in uno stato di mutazione, producendo continuamente nuove forme elementari, e presto divenne il membro principale del mio giardino sperimentale. Essa era una rapunzia.
[…] … la rapunzia a grandi fiori, Oenothera lamarckiana si trova in alcuni luoghi dell’Olanda e altrove. Poco si sa intorno alla sua origine. Essa fu introdotta in Inghilterra dal Texas verso la metà del secolo scorso. [nota del redattore: si riferisce al XVIII] […]La rapunzia a grandi fiori era anche coltivata verso il principio dello scorso secolo [nota del redattore: si riferisce al XIX] nei giardini del Muséum d’Histoire Naturelle a Parigi, dove il Lamarck la notò, distinguendola subito come una specie non ancora descritta. Egli ne fece una descrizione completa, e i suoi esemplari tipici sono ancora conservati nell’erbario del Museo, dove li ho confrontati con le piante da me coltivate. Poco tempo dopo il Seringe la ribattezzava dandole il nome che ora porta in onore del suo eminente scopritore. Così dunque volle il caso che il Lamarck inconsciamente scoprisse e descrivesse una pianta che, un secolo dopo, doveva servire da strumento per la dimostrazione empirica delle sue geniali idee intorno alla comune origine di tutti gli esseri viventi.
L’Oenothera lamarckiana viene considerata in Europa come una pianta da giardino, molto pregiata nelle piantagioni ornamentali e da parco. Essa vien coltivata dai produttori di semi e messa in vendita. Evasa dai giardini, ricca com’è dei mezzi necessari per una rapida moltiplicazione, è divenuta spontanea in molti luoghi. […]
Questa notevole specie fu trovata in un luogo presso Hilversum, nelle vicinanze di Amsterdam, dove ne crescevano alcune migliaia di individui. Ordinariamente biennale, essa produce rosette nel primo, e fusti nel secondo anno. Mi accorsi subito che tanto questi che quelle erano in sommo grado variabili, e tra di essi potei ben presto distinguere alcune varietà distinte.
La prima scoperta del luogo avvenne nel 1886. In seguito l’ho visitato molte volte, spesso ogni settimana, o anche ogni giorno, durante i primi anni, e poi sempre fino ad oggi, almeno una volta all’anno. Questa superba pianta manifesta la particolarità, così a lungo cercata, di produrre anno per anno un certo numero di nuove specie. Alcune di queste nuove specie furono osservate direttamente sul luogo, tanto come fusti che come rosette. Queste poterono essere trasportate nel mio giardino per le ulteriori osservazioni, e i fusti produssero semi che potevo seminare con la stessa sorveglianza.
[…]Dalla Lezione XIX
Basterà descrivere qui una sola di queste colture genealogiche poiché i risultati ottenuti furono gli stessi per tutt’e quattro. Nell’autunno del 1886 presi nove grandi rosette dal campo, le piantai tutte insieme in un punto isolato del mio giardino e l’anno seguente ne raccolsi i semi. Queste nove piante originarie devono quindi considerarsi come la prima generazione della mia razza. La seconda fu seminata nel 1888 e fiorì nel 1889. Essa diede subito il risultato che mi aspettavo. Infatti di 15000 pianticelle germinanti esaminate, 10 presentarono caratteri divergenti. Queste furono ben protette e risaltarono appartenere a due tipi nuovi; cinque erano di lata e cinque di nanella. L’anno dopo fiorirono e manifestarono tutti i caratteri descritti nella precedente lezione. Non si trovarono forme intermedie tra esse ed il tipo generale, né si notò, nelle loro forme progenitrici alcun indizio della loro comparsa. Esse vennero a luce d’un tratto belle e complete senza preparazione e senza gradi di passaggio. Non fu necessaria una serie di generazioni, né selezione, né lotta per l’esistenza. Fu un salto improvviso da un tipo ad un altro, uno sport nel senso più completo della parola. Era la realizzazione completa delle mie speranze, ed una prova immediata della possibilità di osservare direttamente l’origine delle specie e di controllarla direttamente.
[…]Molto impressionante è il fatto che le varie mutazioni della rapunzia manifestano una grandissima regolarità. Non vi è un caos di forme, né una variazione indefinita in tutti i gradi ed in tutti i sensi. Al contrario, appare subito evidente che alcune regole semplicissime governano tutto il fenomeno.
Cercherò ora di dedurre queste leggi dal mio esperimento. Esse evidentemente si applicano non soltanto alle rapunzie, ma è probabile che abbiano un valore più generale. […]
- La prima legge è che le nuove specie elementari appaiono improvvisamente senza gradazioni intermedie.
Questo è un fatto interessante, e quello che si trova in immediata contraddizione con le opinioni scientifiche correnti. Di solito si crede che avvengano cambiamenti lentissimi, così lenti infatti che si suppone siano stati necessari dei secoli per rendere sensibili le differenze. Se così fosse, noi non potremmo avere che pochissima speranza di mai assistere all’originarsi di una specie nuova. Fortunatamente però le Oenothearae manifestano tendenze opposte. Uno dei punti principali delle colture genealogiche sta nel fatto che gli antenati di ogni mutante sono stati verificati e registrati. I mutanti dello scorso anno sono stati preceduti da sette generazioni di genitori ben noti del tipo lamarckiana. […]
- Le forme principali si staccano come rami laterali dal tronco principale.
Secondo le idee dominanti intorno all’origine delle specie, queste si trasformerebbero lentamente in altre. Si suppone che questa trasformazione colpisca tutti gl’individui in uno stesso senso e nello stesso grado. L’intero gruppo cambia di carattere acquistando nuovi attributi. Incrociandosi reciprocamente esse si mantengono su una linea comune di progresso, non potendo un individuo avanzarsi molto più in là degli altri.
[…] … l’opinione generale non è sostenuta dai fatti mostratici dalle rapunzie. Non vi è in esse cambiamento né lento, né repentino di tutti gli individui. Anzi, la maggioranza di essi resta immutata; migliaia si vedono ripetere esattamente anno per anno il prototipo originario, tanto in aperta campagna che nel mio giardino. Non vi è alcun pericolo che la Lamarckiana possa soccombere nell’atto della mutazione, e nemmeno che la stessa razza mutante sia esposta ad una finale distruzione per questa causa.[…]III. Le nuove specie elementari raggiungono d’un colpo l’assoluta costanza.
La costanza non è il risultato della selezione o del miglioramento, ma è una qualità propria. Se manca fin dal principio, la selezione non può produrla a forza, e se invece esiste, non ha bisogno di alcun aiuto naturale o artificiale. Moltissime delle mie nuove specie si sono dimostrate costanti fin dal principio. Sempre che fu possibile, i mutanti originali furono isolati durante il periodo della fioritura e fecondati artificialmente col proprio polline. Tali piante hanno dato sempre una discendenza omogenea, e tutte le forme figlie hanno sempre presentato il tipo della forma madre.
[…]- Alcune delle nuove razze sono delle evidenti specie elementari, mentre altre si debbono considerare come varietà retrograde.
E’ spesso difficile decidere se una data forma appartenga all’uno o all’altro di questi due gruppi. […] Le varietà differiscono chiaramente dalla loro specie in un solo punto, e questo è, o una evidente perdita, o l’acquisto di un carattere, che può incontrarsi in altre specie o in altri generi. […]
D’altro lato la gigas e la rubrinervis, l’oblonga e l’albida presentano evidentemente caratteri di specie elementari progressive. Esse non si differenziano dalla Lamarckiana in uno o due tratti principali, ma se ne allontanano in quasi tutti gli organi e in tutti ben distintamente sebbene lievemente. Si possono riconoscere appena hanno sviluppato le prime foglie e restano distinguibili per tutta la vita. I loro caratteri si riferiscono specialmente al fogliame, ma non meno alla statura, ed anche i semi hanno delle particolarità proprie. […]
- Le nuove specie si producono in un gran numero di individui.
Questo è un fatto curiosissimo, che comprende due punti secondari, cioè il gran numero di mutanti simili nello stesso anno, e la ripetizione di essi nelle successive generazioni. E’ chiaro che debba esservi una causa comune ai due fatti. Questa causa si deve supporre latente nelle lamarckiane della mia razza, forse in tutte poiché non una delle singole piante madri si palesa affatto priva di mutabilità. Inoltre le diverse cause delle varie mutazioni debbono coesistere allo stato latente nella stessa pianta madre. Esse obbediscono alle medesime leggi generali, diventano attive nelle stesse condizioni, alcune più facili a risvegliare, altre meno. I germi dell’oblonga, della lata e della nanella sono particolarmente irritabili e pronti ad entrare in azione ai minimi stimoli, mentre quelli della gigas, della rubrinervis e della scintillans si risvegliano molto più difficilmente.
[…]- La relazione tra mutabilità e variabilità fluttuante è sempre stata una delle principali difficoltà pei seguaci del Darwin. I più ammettevano le specie si originassero mediante il lento accumularsi di lievi deviazioni fluttuanti, e le mutazioni si dovessero considerare come fluttuazioni estreme, ottenute, in massima, per via di una continua selezione di piccole differenze in una direzione costante.
Le mie colture dimostrano che deve ammettersi proprio l’opposto come dato di fatto. Tutti gli organi e tutte le proprietà della Lamarckianafluttuano e variano in una maniera più o meno evidente, e quelli che ebbi campo di esaminare più da vicino si dimostrano conformi alle leggi generali della fluttuazione. Ma tali deviazioni oscillanti non hanno nulla in comune con le mutazioni. Il loro carattere essenziale è l’accumularsi intorno ad una data media di leggere deviazioni crescenti le quali connettono gli estremi con questo gruppo. Niente di tutto questo si osserva nelle mutazioni. Queste non si aggruppano intorno a nessuna media e si vede solo l’estremo, ce non è collegato in alcun modo col tipo originario. Si potrebbe supporre che, con un più attento esame, si riescisse a mettere ogni mutazione in rapporto con qualche aspetto della variabilità fluttuante; ma non è così. Le forme nane non sono punto i varianti estremi della forma, ché la fluttuazione in altezza della Lamarckiana non giunge mai, né si avvicina a quella delle forme nane.
[…]VII. Le mutazioni si manifestano in quasi tutte le direzioni. Molti autori ammettono che l’origine delle specie sia diretta da cause ignote. Queste, si suppone, agiscono in ogni singolo caso, per il miglioramento degli animali e delle piante, trasformandoli in modo utile rispetto ai cambiamenti che si verificano nell’ambiente. Non è facile concepire la natura di queste azioni né il modo come possano produrre l’effetto voluto.
Il Darwin si rese ben conto di questa difficoltà ed uno degli intenti principali della sua teoria della selezione può dirsi sia stato il tentativo di vincerla. Egli cercò di sostituire alla causa ignota gli agenti naturali, che cadono sotto la nostra osservazione immediata. In questo punto egli fu superiore ai suoi predecessori, ed è soprattutto l’averne dato una chiara idea che acquistò meritamente alla sua teoria il generale consenso. Secondo il Darwin avvengono cambiamenti in tutti i sensi, senz’alcuna dipendenza dalle circostanze dominanti. Alcuni possono essere favorevoli, altri sfavorevoli, molti senza importanza, né utili, né dannosi. Alcuni presto o tardi saranno distrutti, mentre altri sopravvivranno, ma la sopravvivenza o l’annientamento di essi dipende evidentemente dall’essere o non essere i particolari cambiamenti d’accordo con le condizioni circostanti. Questo è ciò che Darwin ha chiamato la lotta per l’esistenza. Questa è un gran crivello, e agisce solo come tale. Alcuni passano attraverso i buchi e sono distrutti, altri restano al di sopra e sono selezionati, come si suol dire. Molti sono scelti, ma i più soppressi e su questo punto la osservazione quotidiana non lascia alcun dubbio.
Come poi si originino le differenze, è un’altra questione, che non ha niente a che fare con la teoria della selezione naturale, né con la lotta per l’esistenza. Queste differenze hanno una parte attiva solo nell’accumularsi di qualità utili, e solo in quanto esse proteggono gli individui provvisti di tali caratteri dall’essere soffocati da competitori più poveramente costituiti.