Di uomini e squali

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La storia dell’evoluzione si dimostra sempre più simile a un artista che utilizza i pochi strumenti messi a disposizione dalle mutazioni o da altri “generatori di diversità genetica” per creare forme sempre nuove e diverse. Con innumerevoli tentativi ed errori, ma certo con un modello di sviluppo lontano da quello che si pensava qualche tempo fa, in cui i geni […]


La storia dell’evoluzione si dimostra sempre più simile a un artista che utilizza i pochi strumenti messi a disposizione dalle mutazioni o da altri “generatori di diversità genetica” per creare forme sempre nuove e diverse. Con innumerevoli tentativi ed errori, ma certo con un modello di sviluppo lontano da quello che si pensava qualche tempo fa, in cui i geni erano tantissimi, magari propri di ogni specie, e “addetti” allo sviluppo di un organo o una struttura alla volta; chi comanda adesso sono i geni regolatori, non un gene=un enzima.

Che direste, per esempio, del fatto che le zampe dei vertebrati e i raggi branchiali di alcuni Condroitti, o meglio delle chimere (Olocefali) usano quasi gli stessi pathway genetici di sviluppo? Usando alcune specie di pesci cartilaginei, una razza, uno squalo e uno stranissimo pesce di profondità che si chiama Callorhinchus milii, appunto un chimeriforme delle acque australiane e neozelandesi, in due articoli a distanza di quasi due anni Neil Shubin e Andrew Gillis hanno scoperto dapprima che nello sviluppo, gli archi branchiali e le appendici degli Gnatostomi utilizzano lo stesso pattern di crescita con gli stessi geni, che sono “accesi” e “spenti” in tempi diversi. I geni si chiamano Sonic hedgehog (Shh) e fattore di crescita dei fibroblasti 8 (Fgf8).

La ricerca è stata dapprima condotta nel 2009 utilizzando una razza (Leucoraja erinacea) relativamente facile da allevare e di cui si possono usare le uova. Il nuovo articolo racconta invece della ricerca usando le uova di uno squalo vero e proprio (Scyliorhinus canicula, il comune gattuccio) e appunto del chimeriforme Callorhinchus milii (quello della foto, ritratto all’acquario di Melbourne, tratto da Wikipedia). Uova che, a detta di Shubin, autore fra l’altro di ottimo libro di evo-devo paleontologico (‘Our inner fish’, tradotto da Rizzoli), sono deposte in acque fredde, fangose e piene di squali – gli altri, quelli “feroci”.

I ricercatori hanno “mappato” la presenza di Shh durante lo sviluppo embrionale dello squalo e dello strano chimeriforme, e hanno scoperto che tra di esse ci sono alcune differenze. Per esempio, dopo alcune settimane di sviluppo Shh è espresso sono nell’arco ioideo della chimera, mentre nello squalo è espresso praticamente in tutti gli archi branchiali; in questo modo si forma una sola struttura allungata nella chimera e una serie di strutture simili nello squalo. Questo significa, dice l’articolo, che anche piccole differenze temporali nell’espressione di un gene (il gene rimane uguale, altri lo “convincono” a lavorare più o meno secondo la zona in cui sono) possono condurre a grosse differenze anatomiche in specie apparentemente molto simili. E, al contrario, specie molto lontane possono usare meccanismi simili anche se sono separati da milioni di anni di evoluzione. La dinamica dello sviluppo di questa parte del corpo nella chimera non è infatti molto diversa da quella di una lucertola, che ha, ovviamente, una sola zampa anteriore per lato; cioè appunto una struttura allungata e unica, con cinque dita. C’è un solo kit di sviluppo per far “crescere” branchie e zampe, e solo le differenze nella modulazione portano a strutture totalmente diverse in animali lontanissimi tassonomicamente.
 
Un altro aspetto interessante è che l’idea che le zampe fossero derivate dagli archi branchiali non è proprio nuovissima; risale infatti al 1859, quando Karl Gegenbaur pubblicò il suo ‘Elements of Comparative Anatomy’ (in tedesco), in cui proponeva appunto la sua teoria dell’origine delle appendici dei vertebrati a partire dagli archi branchiali dei pesci.


Riferimenti:
Gillis, J., Dahn, R., & Shubin, N. (2009). Shared developmental mechanisms pattern the vertebrate gill arch and paired fin skeletons Proceedings of the National Academy of Sciences, 106 (14), 5720-5724 DOI: 10.1073/pnas.0810959106

Gillis, J., Rawlinson, K., Bell, J., Lyon, W., Baker, C., & Shubin, N. (2011). Holocephalan embryos provide evidence for gill arch appendage reduction and opercular evolution in cartilaginous fishes Proceedings of the National Academy of Sciences DOI: 10.1073/pnas.1012968108

Tratto da Leucophaea, il blog di Marco Ferrari