La dieta tenera di Zinj
Quando nel 1959 Mary Leakey ritrovò il cranio di Paranthropus boisei, inizialmente Zinjanthropus e per un periodo Australopithecus, suo marito, il celebre Louis Leakey, si convinse che doveva trattarsi di un fossile estremamente speciale per via dell’apparente associazione con la cultura litica olduvaiana presente nel sito (che sarebbe stata assegnata invece, pochi anni dopo, a Homo habilis) . Anche se […]
Quando nel 1959 Mary Leakey ritrovò il cranio di Paranthropus boisei, inizialmente Zinjanthropus e per un periodo Australopithecus, suo marito, il celebre Louis Leakey, si convinse che doveva trattarsi di un fossile estremamente speciale per via dell’apparente associazione con la cultura litica olduvaiana presente nel sito (che sarebbe stata assegnata invece, pochi anni dopo, a Homo habilis) . Anche se venne presto espunto dalla lista dei nostri antenati, però, “Zinj” era destinato a giocare un ruolo importante nella storia della paleoantropologia: anche grazie a questa scoperta fondi e risorse cominciarono a confluire nella ricercha dei resti fossili degli ominidi africani antichi intorno agli anni ’60 del secolo scorso.
Vissuto circa tra 2,3 e1,2 milioni di anni fa in Africa Orientale, Paranthropus boisei possedeva una struttura cranica particolarmente robusta con grandi morali piatti e muscoli masticatori potenti, innestati sulla sommità del cranio in una cresta sagittale del tutto simile a quella degli odierni gorilla adulti. Il “caro ragazzo” dei Leakey, come loro lo chiamavano, si guadagnò per questi motivi anche il nomignolo di “uomo schiaccianoci”, un soprannome con cui divenne famoso in tutto il mondo. Era facile pensare per questo ominide a una dieta composta principalmente da semi e cibi duri, che quei denti possenti gli permettevano di processare in modo da sfruttare fonti di nutrimento inaccessibili ad altre specie (gli scimpanzé odierni ottengono un vantaggio del genere consumando le noci africane, anche se invece di denti possenti per aprirle si servono di utensili), tuttavia questa teoria era destinata a non sopravvivere più di qualche decennio.
Già nel 2008 un gruppo di ricercatori dell’università dell’Arkansas aveva scoperto, analizzando al microscopio i denti di boisei, che i segni di usura presenti sulla superficie erano maggiormente compatibili con una dieta folivora (Pikaia ne ha parlato qui), basata quindi unicamente o quasi sulla vegetazione; uno studio pubblicato da poco su PNAS a opera di Thure Cerling dell’Università dello Utah e colleghi di altre università americane e africane conferma questa nuova teoria. Il gruppo di ricercatori ha estratto minime quantità di smalto dai reperti e ne ha poi analizzato la composizione chimica, in particolare le proporzioni reciproche di due isotopi del carbonio, l’uno presente nelle piante che utilizzano la fotosintesi C3, ad esempio le erbe dei climi freddi, gli alberi (e quindi frutta, foglie e noci) e gli arbusti, l’altro presente nelle piante a fotosintesi C4, ovvero le erbe dei climi tropicali o caldi e piante paludari come carice e falasco. Proprio queste ultime sono risultate comporre quasi per intero la dieta di Paranthropus boisei, che doveva quindi essere un diretto competitore non di altri primati ma degli antenati di zebre, cinghiali e ippopotami.
Marco Michelutto
Riferimenti:
Thure E. Cerling, Emma Mbua, Francis M. Kirera, Fredrick Kyalo Manthi, Frederick E. Grine, Meave G. Leakey, Matt Sponheimer, Kevin T. Uno.”Diet of Paranthropus boisei in the early Pleistocene of East Africa.” Proceedings of the National Academy of Sciences, 2011