A capofitto verso le estinzioni

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Su Nature è uscito un bell’articolo che articolo dimostra molte cose, sia dal punto di vista della gravità della situazione sia da quello della comunicazione. Il suo titolo è significativo: Has the Earth’s sixth mass extinction already arrived? Va sotto il nome di review, cioè di revisione di altri articoli, con contributi di solito limitati a discussione e rielaborazione di […]


Su Nature è uscito un bell’articolo che articolo dimostra molte cose, sia dal punto di vista della gravità della situazione sia da quello della comunicazione. Il suo titolo è significativo: Has the Earth’s sixth mass extinction already arrived? Va sotto il nome di review, cioè di revisione di altri articoli, con contributi di solito limitati a discussione e rielaborazione di quello che già accade; qui la rielaborazione è piuttosto ampia e profonda.

Gli autori hanno voluto vedere se la tanta strombazzata Sesta estinzione (il link è a un articolo del 2005 di Niles Eldredge) fosse vera o fosse solo un allarme dei soli ambientalisti. I conti NON sono presto fatti. L’articolo è infatti estremamente interessante, ma credo che sia quanto di più lontano ci sia da una notizia giornalistica. Ecco perché: dopo un’analisi delle precedenti cinque estinzioni, sia dal punto di vista della gravità sia da quello delle cause, gli autori arrivano a un consenso per quella che potrebbe essere la definizione di Grande estinzione: la scomparsa di almeno il 75% delle specie in un periodo geologicamente breve, di solito 2 milioni di anni o meno. Partendo da questo si calcola il valore di estinzioni per milioni di specie-anno (E/MSY) e si estrapola questo per il prossimo milione di anni. Non tutto è così facile, ovviamente, perché ci sono buchi nel record fossile, i concetti di specie non sono gli stessi (in concetto di specie biologica e paleospecie non sono la stessa cosa, e a volte succede che la paleospecie sia assimilata al genere) e spesso non è possibile datare le estinzioni con precisione necessaria. Se si restringono gli intervalli di tempo, così, ci sono tassi di estinzioni estremamente elevati, o molto bassi. Insomma, mettere insieme i valori si è dimostrato piuttosto problematico ma pur con tutti questi punti le conclusioni sono abbastanza forti: le estinzioni di molti cladi vanno su e giù, ma non sono del tutto comparabili con quelli delle “vere” cinque estinzioni; per ora. Il pensiero è consolante, se non ci fosse un’analisi un po’ più approfondita che riguarda i tassi e dice:

Current extinction rates for mammals, amphibians, birds, and reptiles , if calculated over the last 500 years (a conservatively slow rate) are faster than (birds, mammals, amphibians, which have 100% of species assessed) or as fast as (reptiles, uncertain because only 19% of species are assessed) all rates that would have produced the Big Five extinctions over hundreds of thousands or millions of years.

Questo perché l’articolo prende in esame non solo le specie che sono realmente estinte, ma anche quelle che nella classificazione dell’Iucn sono definite Critically endangered e Threatened (critico e minacciato – a sua volta questa categoria ne comprende altre). In breve, se le estinzioni procedono con il tasso di oggi e si estinguono anche le specie che oggi sono ancora vive ma considerata minacciate, il tasso di estinzioni si avvicina moltissimo a quello degli altri cinque grandi episodi (in questa immagine, si vede come il tasso di estinzione adesso sia decisamente inferiore a quello delle Cinque estinzioni precedenti). In breve: However, rates that consider ‘threatened’ species as inevitably extinct are almost as fast as the 500-year Big Five rates. Therefore, at least as judged using these vertebrate taxa, losing threatened species would signal a mass extinction nearly on par with the Big Five. È un modo come un altro per dire che impatto dell’uomo sul pianeta non si riduce solo a contare le specie estinte, ma anche e per me soprattutto, a calcolare quanto spazio e risorse la nostra specie abbia mangiato alle altre e di quanto abbia ridotto la loro popolazione.

Gli autori danno anche un tempo perché il “nostro” tasso di estinzione si avvicini a quello degli altri episodi se scomparissero le specie definite critiche; per gli anfibi sarebbe 890 anni, 2265 per gli uccelli e 1519 per i mammiferi. Tempi decisamente poco geologici, e rapidissimi. Che sarebbero ancora più rapidi se scomparissero anche le specie minacciate. Da questo punto di vista il quadro non è certo positivo, insomma. Perché allora una notizia del genere non è apparsa su tutti i giornali, anche e persino su quelli italiani? Perché, in poche parole, l’articolo è difficile da capire. Vi hanno contribuito, come dice anche questo post su Panda’s thumb, un numero incredibile di esperti, e per questo il linguaggio è ben lontano dalla paleontologia pura e semplice, all’antica. Ci sono complesse elucubrazioni di statistica, di tassi e di comparazioni, intercalate da considerazioni di biologia evoluzionistica, ecologia e ovviamente paleontologia. Se lo si guarda dal punto di vista scientifico, l’articolo è un capolavoro, perché contiene parecchi spunti di discussioni, revisioni di punti critici e sarà senz’altro citato da molti; anche la letteratura citata è ricchissima e molto utile, così come la chiarezza sulle Grandi estinzioni e i parametri usati per classificarle. Il problema è che le perle sono racchiuse in frasi come questa:

To maintain that million-year average, there could be no more than 6.3% of 500-year bins per million years (126 out of a possible 2,000) with an extinction rate as high as that observed over the past 500 years (80 extinct of 5,570 species living in 500 years). Million-year extinction rates calculated by others, using different techniques, are slower: 0.4 extinctions per lineage per million years (a lineage in this context is roughly equivalent to a species)35. To maintain that slower million-year average, there could be no more than 1.4% (28 intervals) of the 500-year intervals per million years having an extinction rate as high as the current 500-year rate.

Anche gli esperti secondo me devono ragionarci un po’ e io certo non posso dire di averla capita in pieno, se non nel contesto. È un errore? Fino a qualche anno secondo me non lo era: c’era una catena di interpretazione che portava, quando lo faceva, dall’articolo alla notizia attraverso un processo relativamente lento ma sicuro. Adesso il corto circuito indotto dalla presenza di blog e tweet (e altro) dovrebbe spingere gli autori a essere più chiari, specie nelle riviste che non spingono sulla specializzazione spinta (e Nature è una di queste). Insomma, pur apprezzando moltissimo gli autori e comprendendo perché queste cose accadono (concisione, precisione, linguaggio scientifico, publish or perish eccetera), credo che gli scienziati e le riviste d’ora in poi debbano anche guardare alla comunicazione un po’ più “bassa”, e non solo all’estrema concisione, senza perdere in precisione. Specie negli articoli che possono e debbono avere un grosso impatto sulla pubblica opinione. In fondo il messaggio è “non siamo dentro la Sesta estinzione, ma se non smettiamo di mangiarci la Terra, lo saremo in breve”.


Riferimenti:
Barnosky, A., Matzke, N., Tomiya, S., Wogan, G., Swartz, B., Quental, T., Marshall, C., McGuire, J., Lindsey, E., Maguire, K., Mersey, B., & Ferrer, E. (2011). Has the Earth’s sixth mass extinction already arrived? Nature, 471 (7336), 51-57 DOI: 10.1038/nature09678

Tratto da Leucophaea, il blog di Marco Ferrari