Abitudini sessuali e diversità genetica, quale relazione?

Da quando le procedure di sequenziamento hanno fornito un immensa mole di dati su cui lavorare, sono fioriti moltissimi studi volti ad analizzare la variabilità genetica fra le diverse popolazioni umane, cercando di estrapolarne la storia evolutiva e di interpretare i diversi meccanismi, che hanno agito nell’arco dei millenni per portare all’attuale diversità. Un aspetto forse finora trascurato, ma brillantemente

Da quando le procedure di sequenziamento hanno fornito un immensa mole di dati su cui lavorare, sono fioriti moltissimi studi volti ad analizzare la variabilità genetica fra le diverse popolazioni umane, cercando di estrapolarne la storia evolutiva e di interpretare i diversi meccanismi, che hanno agito nell’arco dei millenni per portare all’attuale diversità. Un aspetto forse finora trascurato, ma brillantemente approfondito da questo studio presentato da Hammer e colleghi della University of Arizona, è quello che riguarda la comparazione fra la variabilità genetica del cromosoma X e quella degli altri cromosomi.

Analizzando il rapporto fra questi due livelli di variabilità genetica, tramite lo studio dei polimorfismi neutrali di 40 loci, su individui appartenenti a sei diverse popolazioni, i ricercatori si sono imbattuti in un risultato imprevisto: i livelli di variabilità del cromosoma X rispetto a quelli dei cromosomi autosomici sono significativamente più elevati di quelli attesi.

Il livello di polimorfismi neutrali attesi all’equilibrio è dato dal prodotto delle dimensioni effettive della popolazione per il tasso di mutazione; siccome i maschi portano una sola copia del cromosoma X, il rapporto delle dimensioni effettive della popolazione dei cromosomi X rispetto a quello dei cromosomi autosomici dovrebbe essere circa 0,75, in una popolazione in cui il numero di maschi e di femmine che si accoppiano è lo stesso; questo implica (con le dovute correzioni riguardo al tasso di mutazione) che si dovrebbe riscontrare una variabilità genetica maggiore per i cromosomi autosomici rispetto al cromosoma X, eppure questo non avviene.

Hammer e colleghi hanno preso in esame diverse spiegazioni alternative che avrebbero potuto giustificare questa anomalia, mettendole alla prova tramite modelli computerizzati, simulandone gli effetti sulla diversità genetica e confrontando i risultati ottenuti con il  valore da loro misurato. Questi modelli hanno escluso come possibili cause del fenomeno sia eventi di selezione sui loci analizzati, sia eventi di natura demografica (effetto fondatore, collo di bottiglia, o bruschi incrementi della popolazione), sia eventi di migrazione che potrebbero aver alterato la proporzione tra i due sessi.

A questo punto l’attenzione dei ricercatori si è fissata sulle abitudini sessuali tipiche dei mammiferi, in particolare la poliginia, ovvero la tendenza dei maschi ad avere figli con più femmine, il che porta ad un incremento della variabilità nel successo riproduttivo nella popolazione maschile. Secondo il modello proposto da Hammer, quando più uomini che donne in ogni generazione non danno origine a progenie, e più uomini che donne hanno al contrario un gran numero di figli, si otterrebbe proprio quella riduzione della dimensione effettiva della popolazione di cromosomi autosomici rispetto a quella dei cromosomi X che i ricercatori hanno evidenziato come dato sperimentale.
 
Sebbene Hammer suggerisca questa come spiegazione principale per il dato ricavato dall’analisi dei polimorfismi, egli stesso sottolinea come anche le altre forze prese in esame potrebbero avere in minima parte influenzato la variabilità genetica esaminata e sottolinea la necessità di altri studi che possano esaminare l’effetto globale di tutti questi fattori sulla diversità umana.

Silvia Demergazzi

 

Michael F. Hammer, Fernando L. Mendez, Murray P. Cox, August E. Woerner, Jeffrey D. Wall, Sex-Biased Evolutionary Forces Shape Genomic Patterns of Human Diversity, PLoS Genetics, 4(9): e1000202, 2008.