Agricoltura elementare
Un altro aspetto della nostra civiltà, della nostra specie è stato scoperto anche in altre specie. Questa “invenzione” umana è l’agricoltura; beh, diranno i più avveduti di voi, è già stata scoperta nelle formiche, nelle termiti e anche alcuni coleotteri (per esempio gli ambrosia beetle, li chiamano gli inglesi). L’ultima scoperta invece descrive un comportamento simil-agricolo in una specie di […]
Un altro aspetto della nostra civiltà, della nostra specie è stato scoperto anche in altre specie. Questa “invenzione” umana è l’agricoltura; beh, diranno i più avveduti di voi, è già stata scoperta nelle formiche, nelle termiti e anche alcuni coleotteri (per esempio gli ambrosia beetle, li chiamano gli inglesi). L’ultima scoperta invece descrive un comportamento simil-agricolo in una specie di amebe sociali. Sì, amebe, cioè organismi normalmente unicellulari che però in alcuni casi si riuniscono in gruppi sociali che hanno compiti di solito riproduttivi. La specie studiata si chiama Dictyostelium discoideum ed è anche un ben noto modello sperimentale usato per studi di genetica e attività sociali. La caratteristica più interessante di questa specie è il fatto che in particolari condizioni le amebe si riuniscono in gruppi e iniziano a migrare verso altri “pascoli”. E le parole non sono scelte a caso, perché in effetti queste amebe non effettuano semplicemente uno spostamento verso altre zone ricche di cibo, cioè batteri, ma si spostano i maniera un po’ particolare.
Per spiegarlo è necessario fare un passo indietro, e capire cosa accade quando le amebe migrano. Poiché sono amebe sociali, prima di spostarsi si aggregano e formano una specie di “lumaca” formata dai corpi delle amebe stesse. Arrivate al posto giusto, una parte di loro forma delle colonne sterili, in cima alle quali si formano corpi fruttiferi che diffondono le spore da un’altezza minima, ma sufficiente per disperdere le spore stesse abbastanza lontano. Ora, nelle amebe “coltivatrici” questi corpi fruttiferi non sono formati solo da amebe, ma anche da batteri. Che non sono lì a caso, oppure perché essendo patogeni si riuniscono nel posto migliore per diffondersi anch’essi, come fa Dicrocelium dendriticum con le formiche. Sono IL CIBO delle amebe, e queste lo TRASPORTANO in altre zone. Quando sono arrivate, infatti, i corpi fruttiferi si aprono, e con le amebe escono anche i batteri. Che iniziano subito a nutrirsi del substrato, e in questo modo a crescere di numero. E che finiscono appena possibile in bocca (o nel corrispondente) delle amebe stesse. Non tutti i ceppi di amebe sono “agricoltori”; questo, spiegano gli autori, perché non si sa bene dove si andrà a finire, e se la migrazione porta in siti dove i batteri ci sono già, è inutile caricarsi di animali domestici. Che, fra l’altro, rallentano la velocità di migrazione delle ambe. Sono strategie diverse, in fondo, quindi, perché i cacciatori raccoglitori si spostano rapidamente, con poche masserizie, gli agricoltori invece devono portarsi i sacchi di sementi, le galline o altri animali domestici.
Il tutto, insistono gli autori, funziona solo se le amebe sono geneticamente vicine, perché quelle che trasportano i batteri sono in parte svantaggiati perché i batteri stessi non lasciano spazio a così tante amebe come per i ceppi “vuoti” e quindi più leggeri.
Tratto da Leucophaea, il blog di Marco Ferrari
Riferimenti:
Brock, D., Douglas, T., Queller, D., & Strassmann, J. (2011). Primitive agriculture in a social amoeba Nature, 469 (7330), 393-396. DOI: 10.1038/nature09668
Fonte dell’immagine: Wikimedia Commons