Alla scoperta di vecchie novità
Leggiamo nelle opere di Charles Darwin tutto il suo stupore e la sua curiosità verso strutture anatomiche complesse come l’occhio, gli arti dei tetrapodi o persino i corni degli scarafaggi giganti; strutture delle quali era difficile immaginare il percorso evolutivo e la cui comparsa era ancora avvolta dal mistero. Gli studi sull’omologia delle strutture anatomiche hanno portato a una più […]
Leggiamo nelle opere di Charles Darwin tutto il suo stupore e la sua curiosità verso strutture anatomiche complesse come l’occhio, gli arti dei tetrapodi o persino i corni degli scarafaggi giganti; strutture delle quali era difficile immaginare il percorso evolutivo e la cui comparsa era ancora avvolta dal mistero. Gli studi sull’omologia delle strutture anatomiche hanno portato a una più vasta comprensione della loro genesi, facendo luce sull’origine comune di diverse strutture nate da una comune base ancestrale. Solo di recente però si è vissuta una nuova rivoluzione nel campo degli studi sull’omologia, una rivoluzione permessa dai nuovi approcci di biologia dello sviluppo, che studiando i pattern genetici alla base dello sviluppo anatomico delle diverse parti del corpo ha mostrato un livello di omologia ancora più profondo di quelli considerati fino ad ora e che sposta ulteriormente indietro la comparsa come novità evolutiva di molte strutture.
Una bella review pubblicata su Nature da Shubin, Tabin e Carroll, fa un’ampia carrellata su questi ultimi studi, riguardanti tre delle strutture che hanno incuriosito lo stesso Darwin per la loro peculiarità, aggiornandoci sulle nuove ipotesi aperte dalla scoperta che molte novità evolutive sfruttano in realtà pattern genetici di sviluppo già esistenti.
Così veniamo a scoprire la lontana origine di un fotorecettore ancestrale e del suo set di fattori trascrizionali, che potrebbe aver da solo dato vita ai diversi tipi di occhio esistenti in natura, suggerendo quindi che questi sabbiano avuto un’evoluzione parallela, basata su queste profonde omologie genetiche, e non convergente come si è sempre creduto.
La storia degli arti dei tetrapodi non sembra molto diversa; essi condividono una struttura morfologica ossea che può essere ricondotta ai vertebrati del Devoniano, ma che dire dei loro antenati muniti invece di pinne? I fossili ci raccontano che il gruppo più vicino ai primi vertebrati muniti di zampe, il gruppo dei panderictidi, mancava di ossa comparabili alle dita, la peculiarità del nuovo modello di estremità corporea. Eppure i dati genetici ci raccontano un’altra storia, mostrando un’omologia profonda nei pattern di espressione di geni Hox coinvolti nello sviluppo sia delle pinne che degli arti muniti di dita. Dunque, pur mancando l’evidenza anatomica dell’omologia i geni sembrano raccontarci un pattern di sviluppo comune che ha fatto da substrato per lo sviluppo dei due modelli anatomici.
Nemmeno fra le buffe corna degli scarafaggi giganti e le loro zampe articolate esiste un’evidente omologia morfologica, eppure anche in questo caso sono i geni coinvolti nello sviluppo a raccontarci una storia diversa. Il pattern di espressione dei geni che portano alla crescita degli arti degli artropodi e alla crescita del corno negli scarafaggi, è sorprendentemente simile e indica una base comune ad entrambe le strutture, un programma di sviluppo cooptato per l’evoluzione di strutture differenti nella morfologia e nella funzione.
Cercare le omologie profonde fra gli organismi ci permette quindi di comprendere meglio l’origine delle diverse strutture corporee, ricercandola all’interno di quei pattern genetici che regolano lo sviluppo tridimensionale dell’individuo e che fanno da substrato per l’evoluzione di molteplici e fantastiche “novità”.
Silvia Demergazzi
Riferimenti:
Neil Shubin, Cliff Tabin & Sean Carro. Review Article Deep homology and the origins of evolutionary novelty. Nature 457, 818-823