Anche i canguri guardano le stelle

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2,4 miliardi di anni fa i livelli di ossigeno nell’atmosfera terrestre salirono bruscamente. La trasformazione da un’atmosfera povera a una ricca di ossigeno, detta “Grande Evento di Ossidazione” (GEO), rappresenta una pietra miliare nella storia della Terra, avendo aperto  la strada allo sviluppo di vita complessa sul pianeta. Ma quando iniziò la produzione di ossigeno tramite fotosintesi? E quando questa […]

2,4 miliardi di anni fa i livelli di ossigeno nell’atmosfera terrestre salirono bruscamente. La trasformazione da un’atmosfera povera a una ricca di ossigeno, detta “Grande Evento di Ossidazione” (GEO), rappresenta una pietra miliare nella storia della Terra, avendo aperto  la strada allo sviluppo di vita complessa sul pianeta. Ma quando iniziò la produzione di ossigeno tramite fotosintesi? E quando questa iniziò ad alterare la chimica dell’oceano e dell’atmosfera terrestre?

Per provare a dare una risposta a questi quesiti irrisolti un team di geologi dell’Università della California Riverside (in collaborazione con ricercatori della Arizona State University e della University of Leeds) ha analizzato alcune argilliti nere dell’ovest dell’Australia vecchie di 2,5 miliardi di anni. Studiando la successione degli strati di un antico fondale marino fossile i ricercatori intendevano ricostruire la storia evolutiva della chimica oceanica. La scienza ha a lungo ritenuto che l’oceano primordiale, per più della metà dei 4,6 miliardi di anni di storia della Terra, fosse caratterizzato da un’alta quantità di ferro disciolto in condizioni essenzialmente prive di ossigeno.

I risultati di questo studio, pubblicati su Science, hanno invece corroborato recenti evidenze secondo le quali l’accumulo di idrogeno solforato in profondità oceaniche iniziò negli oceani terrestri almeno 100 milioni di anni prima del GEO, vale a dire fino a 700 milioni di anni prima di quanto previsto dai precedenti modelli della chimica dell’oceano primordiale.

Il professore di biogeochimica Timothy Lyons, il cui laboratorio guida la ricerca, spiega che l’idrogeno solforato nell’oceano è l’impronta digitale della produzione fotosintetica di ossigeno. “La convinzione comune era che un livello apprezzabile di ossigeno atmosferico fosse necessario per lo sviluppo delle condizioni sulfidiche nell’oceano.” dice Chris Reinhard,  Ph.D. graduate student del Dipartimento di Scienze della Terra dell’UC Riverside e uno dei membri del team di ricercatori. “Abbiamo tuttavia riscontrato che le condizioni sulfidiche nell’oceano erano possibili anche quando c’era ben poco ossigeno attorno, al di sotto di circa 1/100,000 dell’ossigeno dell’atmosfera moderna.”

I dati della ricerca lasciano quindi supporre che anche concentrazioni molto basse di ossigeno possano avere profondi effetti sulla chimica dell’oceano. Il ricercatore spiega così che anche a bassissimi livelli di ossigeno nell’atmosfera la pirite può deteriorarsi sui continenti, rilasciando solfato nell’oceano attraverso i fiumi. Il solfato è l’ingrediente chiave nella formazione dell’ idrogeno solforato nell’oceano. “I nostri dati mostrano la presenza di una fotosintesi che produceva ossigeno ben prima che le concentrazioni atmosferiche di ossigeno raggiungessero una minima percentuale di quelle attuali, suggerendo che le reazioni chimiche che consumano ossigeno controbilanciassero gran parte della produzione.” prosegue Reinhard, autore principale del paper.

L’idrogeno solforato riscontrato nei campioni sarebbe quindi stato prodotto da un’attività fotosintetica che produceva ossigeno, seppur in bassissime quantità, già prima del Grande Evento di Ossidazione. “L’esistenza di una fotosintesi ossigenica pre-GEO è materia di intenso dibattito, la cui risoluzione giace nella comprensione profonda dell’evoluzione delle diverse forme di vita.” riprende Lyons “Noi abbiamo trovato un importante pezzo di questo puzzle”.

Un tassello, questo, che si incastra anche nel gioco dell’evoluzione.

“Le condizioni sulfidiche e di povertà di ossigeno quasi certamente incisero sulla reperibilità di nutrienti essenziali per la vita, come azoto e oligoelementi. L’evoluzione dell’oceano e dell’atmosfera furono quindi in un rapporto di causa-effetto con l’evoluzione della vita”.

I ricercatori ipotizzano che la presenza di piccole quantità di ossigeno abbia stimolato la prima evoluzione degli eucarioti milioni di anni prima del GEO. “Questa produzione di ossigeno iniziale ha posto le basi per lo sviluppo di specie animali avvenuto quasi due miliardi di anni più tardi” continua Lyons.

Ma cosa c’entra tutto questo con gli omini verdi? Beh… Con loro, dato che non esistono, probabilmente nulla! Ma queste scoperte potrebbero avere delle forti implicazioni per la ricerca di vita su pianeti extrasolari. Lo ha ben capito la Nasa che, assieme alla National Science Foundation, ha finanziato questo studio durato due anni.

“Le nostre scoperte avvalorano l’evidenza che suggerisce che la produzione biologica di ossigeno è una condizione necessaria ma non sufficiente per l’evoluzione della vita complessa” dice Reinhard  “Un’atmosfera planetaria con abbondante ossigeno garantirebbe una promettente impronta biologica. Ma qui una delle lezioni è che solo perché le misurazioni spettroscopiche non rilevano ossigeno nell’atmosfera di un altro pianeta, non significa necessariamente che una produzione biologica di ossigeno non sia in atto.”

Sorge quindi il dubbio: che la ricerca di forme di vita nell’universo sia tutta da rifare?

Luca Perri


Riferimenti:
Christopher T. Reinhard, Rob Raiswell, Clint Scott, Ariel D. Anbar, Timothy W. Lyons. A Late Archean Sulfidic Sea Stimulated by Early Oxidative Weathering of the Continents. Science, DOI: 10.1126/science.1176711, 2009.