Anomalocaris strikes back!

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Sono sicura che se questo articolo fosse stato pubblicato da una qualsiasi rivista, che non fosse Pikaia, nessuno si sarebbe soffermato su questo titolo. Ma in questo contesto il termine Burgess Shale ha un significato unico, qualcosa che tutti conoscono ed ha un valore evolutivo immenso!Ma vediamo di fare chiarezza per “i non addetti ai lavori”. Burgess Shale è un […]


Sono sicura che se questo articolo fosse stato pubblicato da una qualsiasi rivista, che non fosse Pikaia, nessuno si sarebbe soffermato su questo titolo. Ma in questo contesto il termine Burgess Shale ha un significato unico, qualcosa che tutti conoscono ed ha un valore evolutivo immenso!

Ma vediamo di fare chiarezza per “i non addetti ai lavori”. Burgess Shale è un giacimento fossilifero, che si trova in British Columbia, lo stato canadese che si affaccia sul Pacifico, nel territorio della cittadina di Field. Il giacimento fu scoperto nel 1909 da  Charles Doolittle Walcott sul lato di sud-ovest  di un crinale posto tra il  Mount Field e il Wapta Mountain, nello Yoho National Park (scavo). La scoperta avvenne grazie ad una serie di coincidenze, prima fra tutte la costruzione della Ferrovia Transcanadese, la Canadian Pacific Railway, che attraversò questa zona delle montagne Rocciose e di cui Field, nacque inizialmente come deposito di locomotive, e divenne poi una piccola città. Dimenticavo, il nome del giacimento deriva dal nome del vicino Monte Burgess, mentre Shale è il termine inglese per la nostra argillite, in questo caso nera.

La storia di Burgess Shale inizia più di 500 milioni di anni fa. Poco prima che gli animali di Burgess Shale si formassero, ci fu una sorta di “Big-Bang evoluzionistico” chiamato Esplosione del Cambriano. Infatti dopo 2 miliardi di anni in cui la vita era rappresentata da semplici forme unicellulari,  un grande spettro di forme animali complesse  apparvero negli oceani in soli 10-20 milioni di anni, In the blink of an eye, un “battito di ciglia” dal punto di vista geologico! La spiegazione di questo evento è ancora oggetto di grandi dibattiti tra gli scienziati.

Gli animali di Burgess Shale vivevano al confine tra la piattaforma continentale e la ripida scarpata che porta al fondale oceanico. Tutte le volte in cui si formava una corrente di torbida, in parole povere una frana sottomarina, venivano trascinati sul fondale oceanico e sepolti da metri di argilla e silt. Sono state queste le condizioni che hanno permesso la conservazione perfetta dei loro fragili corpi. I fossili vennero in seguito coperti da circa 10 km di rocce sedimentarie; poi la forza dell’orogenesi li ha portati là in alto su quel  crinale delle Rocky Mountains (immagine).
Ma  perché  questi fossili sono così importanti? Essi furono generati dall’esplosione del Cambriano, si  sono conservati perfettamente e poi lì si trovano  tutti i più importanti Phyla animali conosciuti oggi, più altri che non possono essere classificati in nessun Phylum attuale…e poi erano forme totipotenti! Avevano le forme più bizzarre, più strane, in pratica allora l’evoluzione dava grossi punti ai migliori creatori di personaggi di film di fantascienza!

Ecco tanto per fare chiarezza vorrei premettere che lo scopritore di Burgess Shale Charles Doolittle Walcott, aveva si scoperto il giacimento, ma degli animali aveva capito ben poco; per fortuna molti anni dopo arrivarono  Harry Whittington, Derek Briggs e Simon Conway Morris dell’Università inglese  di Cambridge, che riuscirono a classificare gli animali. Ma il fatto più positivo fu che il grandissimo e compianto Stephen J. Gould capì l’importanza di questi fossili e li descrisse nel suo libro “La vita meravigliosa”.
 
Le forme di vita del giacimento sono tantissime, lascio al lettore ulteriori esplorazioni, io qui elencherò solo i miei animali preferiti. Cominciamo con l’eterea Marrella (Marrella splendens), che Walcott aveva chiamato “il granchio dai merletti”, prendendo un “granchio enorme”! Fu dapprima classificata nella classe Trilobita, poi si comprese che apparteneva ad un gruppo estinto i Marellomorpha.

E poi l’incredibile Opabinia (Opabinia regalis), un buffissimo animale con 5 occhi e un tubo da  aspirapolvere al posto della bocca (vedere per credere!). Pensate se l’evoluzione avesse seguito questa strada, anziché quella della gracile Pikaia, quanto saremmo strani ora! Opabinia venne dapprima classificata dal lungimirante Walcott tra gli Anellidi; ora appartiene, unitamente a Anomalocaris ai Dinocarida, il cui nome significa “Gamberi terribili”, in pratica la versione cambriana dei dinosauri!

Passiamo ora all’animale più strano ed alieno, che mai abbia camminato sui fondali oceanici, Hallucigenia sparsa, il cui nome è fortemente evocativo! Fu un vero incubo per i paleontologi, che ancora oggi si chiedono se camminasse sulle spine o sui tentacoli e non sanno a quale gruppo associarla con precisione.

Proseguo con Wiwaxia, questa ha anche il nome improbabile e sembra una spazzola per capelli! Wiwaxia corrugata non ha ancora avuto una collocazione sicura. Per l’etimologia del nome mi sono rivolta allo Smithtsonian Museum of Washington…ho la sciato la descrizione in inglese per mostrarvi la fatica terribile che fanno gli americani a comprendere e a leggere il latino! con ben scarsi risultati, purtroppo. Wiwaxia corrugata (why-WAX-ee-yah CORE-you-GOT-tah.) After Wiwaxy (a local Indian word for “windy”), a small mountain peak north of Lake O’Hara, British Columbia + corrugatus (L.) = ridged, wrinkled.

Concludo in bellezza con Pikaia gracilens, che dà il nome alla nostra rivista, un cordato primitivo, il nostro più antico antenato! pikaia deve il suo nome ad un altro rilievo della zona il Pika Peak. Ora per sapere il significato del termine Pika vi rimando al bellissimo libro di Jacopo Cipriani “Il mistero di Burgess Shale“, dove tutte le curiosità che spero di aver suscitato troveranno una risposta molto approfondita! In questa immagine avete la possibilità di vedere gli animali in scala

Ora se qualche lettore  è riuscito ad arrivare fin qui so che si starà chiedendo ma quando si parla di Anomalocaris?
L’esatta ricostruzione di Anomalocaris fu molto complicata, perché per molto tempo non vennero trovati animali interi, ma vediamo. Nel 1892 Whiteaves scoprì le appendici boccali, scambiate per il telson di un grosso gambero, da qui il nome Anomalocaris canadensis, che significa “strano gambero del Canada”. Walcott  rinvenne resti analoghi a Burgess Shales; trovò inoltre strutture circolari, simili a fette d’ananas, che interpretò come meduse e diede loro il nome di Peytoia nathorsti. Nel 1981 Whittington  riuscì finalmente ad esaminare un fossile più completo e l’enigma venne risolto: il “gambero” e la “medusa” erano in realtà parte di un impressionante apparato boccale di un solo animale, il più grande predatore del Cambriano: Anomalocaris, che possiamo vedere qui  in tutto il suo terrificante splendore! Qui un bellissimo video, avete riconosciuto qualche animale?

Anomalocaris era lungo fino a 1 metro e aveva un grosso corpo, chele prensili e spinose nella parte frontale della testa e una bocca simile ad un tritatutto. I suoi occhi avevano un diametro di 2-3 cm ed erano posti su peduncoli. Era il predatore principale del mare e mangiava  trilobiti, che erano lunghe almeno 10 cm. Una vista eccellente è essenziale per questo  grande predatore che pattugliava gli oceani più di 500 milioni di anni fa. Naturalmente, trovare la prova che un animale estinto da così  lungo tempo avesse una visione superlativa è stato difficile, fino ad ora!

Un gruppo di ricercatori australiani ed inglesi ha  scoperto la prima evidenza diretta che Anomalocaris aveva occhi composti, ciascuno con più di 16.000 lenti. Questo significa che la visione dell’Anomalocaris era soddisfacente, già 500 milioni di anni fa,  come  quella degli artropodi odierni, come mosche e granchi.

 Lo scienziato del London Natural History  Museum, Dr. Greg Edgecombe, che ha lavorato alla ricerca, afferma, “Questa scoperta è significativa poiché avere la prova della presenza di occhi composti in Anomalocaris,  conferma che il predatore è un parente stretto degli Artropodi. Questi grandi, sofisticati occhi avrebbero dato all’ animale un grosso vantaggio nel localizzare la preda”. Il team ha esaminato fossili scoperti sulla Isola Kangaroo, a Sud dell’Australia, che erano vecchi di circa 515 milioni di anni. Usando un microscopio elettronico a scansione (SEM) è stato possibile individuare le impronte di migliaia di lenti individuali nei due grandi occhi dell’Anomalocaris. Il team ha individuato almeno 16.770 lenti. Per comparazione, si consideri che le creature viventi oggi con gli occhi composti più potenti sono le libellule, che arrivano ad avere 28.000 lenti.

Occhi compositi danno agli animali una vista del mondo per pixel cioè composta da punti discreti. La risoluzione non è così buona come quella umana, ma occhi composti hanno un angolo di visione  molto più largo e sono particolarmente efficienti nell’individuazione del movimento, perfetti dunque per un predatore come l’Anomalocaris.

Questa ricerca suggerisce anche che gli occhi composti si sono evoluti prima di quanto si pensasse in passato. Edgecombe spiega: “Aver saputo tramite  questa scoperta che gli occhi si svilupparono molto presto durante l’evoluzione degli Artropodi, comparendo prima di altre caratteristiche anatomiche di questo gruppo, come per esempio un esoscheletro indurito e zampe per deambulare, è molto importante.” Questa scoperta inoltre permette di assegnare, con maggior sicurezza, Anomalocaris agli Artropodi.

Avere una vista eccellente ed essere il più  grande predatore potrebbe  aver avuto un effetto ancora più grande sulle  altre creature del Cambriano, un periodo nel quale la maggior parte dei gruppi viventi  subirono una grande diversificazione. Il Dr. John Paterson dell’università del New England spiega: “cacciatori con grandi capacità visive nelle comunità marine del cambriano avrebbero posto una considerevole pressione selettiva sulle loro prede. Questo dovrebbe aver influenzato la “corsa delle zampe” in questa importante fase dell’ evoluzione iniziale degli animali, più di mezzo miliardo di anni fa.”

Patrizia Martellini
Blog  Evolve or Die


Riferimenti:
John R. Paterson, Diego C. García-Bellido, Michael S. Y. Lee, Glenn A. Brock, James B. Jago, Gregory D. Edgecombe. Acute vision in the giant Cambrian predator Anomalocaris and the origin of compound eyes. Nature 480:237–240. Link

Letture consigliate
Stephen J. Gould   La vita meravigliosa. I fossili di Burgess e la natura della storia. Feltrinelli
Jacopo Cipriani    Il mistero di Burgess Shale. Feltrinelli