Australopithecus sediba, una nuova australopitecina sudafricana
Descritta una nuova specie di ominide bipede africano: si chiama Australopithecus sediba e potrebbe svelare alcuni misteri sull’evoluzione della nostra specie
Circa un secolo fa una terra, il Sudafrica, particolarmente ricca di minerali cominciò a restituire ai cercatori anche preziosi fossili di antichi ominidi (basta pensare all’Australopithecus africanus di Raymond Dart scoperto negli anni ’20). Molti di questi ritrovamenti erano dovuti proprio all’attività dei minatori che, sventrando il terreno per ricavarne minerali, finivano per portare in superficie frammenti di ossa curiose, indizi sulla direzione da seguire per scoprire i segreti dell’evoluzione del genere uomano e dei suoi parenti evolutivi. É stato proprio osservando scarti di estrazione vecchi di un secolo che il 15 Agosto del 2008 Matthew Berger, figlio giovanissimo del paleantropologo Lee Berger, ha scoperto una clavicola appartenente a un membro di una nuova e interessante specie: Australopithecus sediba (sediba significa “fontana” o “sorgente” in Sotho, una delle lingue africane). Dopo due anni di scavi il gruppo di ricercatori guidato da Lee Berger dell’Università del Witwaterstrand ha finalmente pubblicato su Science i risultati dell’analisi di due esemplari, un giovane maschio e una femmina adulta, ritrovati nelle vicinanze e rimasti intrappolati in una grotta sotterranea fino al momento della loro morte, avvenuta circa 2 milioni di anni fa.
Le caratteristiche di questa australopitecina vissuta in uno dei momenti più rilevanti (dal nostro punto di vista antropocentrico) della storia evolutiva, ovvero quello in cui compaiono le prime specie di Homo, sono di notevole interesse e potrebbero spingere addirittura a revisionare l’interpretazione di Homo habilis e Homo rudolfensis, o perlomeno questo è ciò che gli autori dello studio auspicano e suggeriscono, pur con la dovuta cautela. La prima cosa da notare è che Australopithecus sediba somiglia in maniera notevole ad Australopithecus africanus, vissuto fino a circa mezzo milione di anni prima, per buona parte dello scheletro postcranico, dalle proporzioni degli arti alla taglia corporea, e per quanto riguarda il ridotto volume cranico (di circa 420 cc in sediba); si differenzia quindi parecchio dai parantropi vissuti nello stesso periodo e, assieme ad Australopithecus garhi, è quindi l’unica specie di questo genere di cui abbiamo resti databili a questo intorno di tempo, e qui entrano in gioco Homo habilis e Homo rudolfensis. Queste due specie sono considerate le prime rappresentanti del genere umano e sono comparse molto prima di Australopithecus sediba (circa 2,4 milioni di anni fa H. rudolfensis e poco dopo H. habilis), subito dopo la scomparsa di Australopithecus africanus), mettendolo così fuori gioco per quanto riguarda una sua eventuale posizione tra gli antenati dell’uomo e “relegandolo” al ruolo di semplice australopitecina; tuttavia Berger e colleghi portano all’attenzione in questo articolo proprio una serie di caratteristiche che potrebbero ribaltare la situazione.
Comparando Australopithecus sediba a Homo ergaster, difatti, si notano somiglianze sia nella struttura del viso e nella ridotta dimensione dei denti che nei fianchi, dove entrambe le specie mostrano adattamenti a una camminata in posizione eretta più efficiente; somiglianze assenti in Homo habilis e Homo rudolfensis che però, è bene ricordarlo, presentano una capacità cranica molto maggiore segno, secondo l’interpretazione più radicata nella comunità scientifica, della loro appartenenza al genere umano. L’ipotesi dei ricercatori è in realtà duplice: Australopithecus sediba potrebbe essere un diretto antenato di Homo ergaster o, alternativamente, un sister group del diretto antenato, originatosi anch’esso da Australopithecus africanus. Secondo questa interpretazione l’accrescimento della capacità cranica non sarebbe un segno distintivo della linea evolutiva che ha portato al genere umano, e ne sarebbe invece uno sviluppo più tardo di quanto si pensasse. Una spiegazione alternativa non direttamente esplicitata dagli autori dello studio è che queste caratteristiche siano frutto di semplice evoluzione convergente e, quantomeno per la struttura del bacino che può facilmente essere il frutto di un adattamento allo stesso ambiente di Homo ergaster, questa potrebbe effettivamente essere l’interpretazione più economica.
Ad ogni modo il dibattito non si è fatto attendere ed entrambe le posizioni hanno i loro sostenitori, degni di nota ad esempio Donald Johanson che si rammarica addirittura che la specie non sia stata inserita nel genere Homo e Tim White che la considera solo un esponente tardivo di Australopithecus africanus (e fa notare come il fatto che l’individuo che fa da olotipo sia relativamente giovane possa aver distorto alcune sue caratteristiche salienti). Quello che è sicuro è che questa nuova specie aiuterà a comprendere meglio molti frammenti fossili raccolti in altri siti che ancora non si è riusciti ad assegnare a una specie, mentre per quanto riguarda il posto di Australopithecus sediba ci sarà da attendere: con materiale di almeno altri due individui ancora da pubblicare ulteriori soprese potrebbero essere in arrivo.
Questo il video della ricostruzione 3d del cranio della nuova specie.
Riferimenti:
Lee R. Berger, Darryl J. de Ruiter, Steven E. Churchill, Peter Schmid, Kristian J. Carlson, Paul H. G. M. Dirks, Job M. Kibii. Australopithecus sediba: A New Species of Homo-Like Australopith from South Africa, Science 9 April 2010: Vol. 328. no. 5975, pp. 195 – 204 DOI: 10.1126/science.1184944 Link
Paul H. G. M. Dirks, Job M. Kibii, Brian F. Kuhn, Christine Steininger, Steven E. Churchill, Jan D. Kramers, Robyn Pickering, Daniel L. Farber, Anne-Sophie Mériaux, Andy I. R. Herries, Geoffrey C. P. King, Lee R. Berger. Geological Setting and Age of Australopithecus sediba from Southern Africa, Science 9 April 2010: Vol. 328. no. 5975, pp. 205 – 208 DOI: 10.1126/science.1184950 Link