C’è chi mette una camicia di forza al dolore
Il processo tramite il quale gli stimoli dolorosi vengono rilevati è detto nocicezione. Ha uno scopo ben preciso dal punto di vista biologico: allerta gli organismi di pericoli provenienti dall’ambiente, inducendo sensazioni di sofferenza, riflessi di fuga e complesse risposte comportamentali ed emozionali che proteggono l’organismo da un ulteriore danno. La necessità del dolore è provata da alcune patologie, come […]
Il processo tramite il quale gli stimoli dolorosi vengono rilevati è detto nocicezione. Ha uno scopo ben preciso dal punto di vista biologico: allerta gli organismi di pericoli provenienti dall’ambiente, inducendo sensazioni di sofferenza, riflessi di fuga e complesse risposte comportamentali ed emozionali che proteggono l’organismo da un ulteriore danno. La necessità del dolore è provata da alcune patologie, come la CIPA (Congenital Insensitivity to Pain with Anhidrosis): una rara malattia genetica che priva chi ne è colpito di sensazioni dolorose e di caldo o freddo. Pazienti affetti da queste patologie si fanno del male in modi anche banali, che sarebbero normalmente prevenuti dalle sensazioni di dolore, tanto che raramente riescono a sopravvivere oltre vent’anni.
Come avviene normalmente la nocicezione?
Gli stimoli nocivi vengono rilevati da neuroni sensitivi primari specializzati detti nocicettori. Quindi il segnale viene trasferito al midollo spinale e da qui trasmesso al cervello affinché si abbia consapevolezza cosciente della sensazione chiamata “dolore”.
Il modello animale scelto per questo tipo di esperimenti è il moscerino della frutta: l’ormai diva Drosophila. In un articolo pubblicato su Cell, un folto gruppo di ricercatori ha cercato di scoprire attraverso questo insetto le basi genetiche del dolore. Per farlo hanno inattivato specificamente l’espressione di geni dei neuroni attraverso l’utilizzo di iRNA a doppia elica. Come? In poche parole, appaiandosi con l’RNA messaggero (mRNA) prodotto da uno specifico gene, gli iRNA possono inibirne la traduzione in proteina. Questo meccanismo è chiaramente sequenza-specifico, dal momento che per l’appaiamento dell’iRNA con l’mRNA è necessario un riconoscimento di sequenza, appunto. E’ così possibile inattivare geni specifici nella cellula e vedere il risultato. Peraltro questo meccanismo è ben conservato, dal momento che assolve anche funzioni biologiche all’interno della cellula.
Attraverso la tecnica sopra descritta, i ricercatori hanno identificato migliaia di geni implicati nella nocicezione del calore nel moscerino. I ricercatori hanno infatti disegnato 11664 iRNA per altrettanti geni di Drosophila (pari all’82% del genoma). In seguito hanno osservato il comportamento dei moscerini trattati in risposta al calore: prediligevano una superficie dannosa a 46°C o non dannosa a 31°C? E’ evidente che qualora i moscerini non abbiano qualche problemino, preferiscono non scottarsi… Tra i geni così identificati ne esistono moltissimi la cui funzione era finora sconosciuta, ma molti conservati tra i phyla. Data questa conservazione, l’analisi diventa un punto di partenza importante per l’identificazione dei meccanismi molecolari del dolore anche nell’uomo.
Tra i geni trovati, i ricercatori si sono in particolare concentrati sulla subunità α2δ, della famiglia di canali del calcio chiamata “straightjacket” ovvero “camicia di forza”. Di questa subunità esiste un ortologo (un gene in una specie diversa derivato da un antenato comune) ben conservato nei mammiferi. E’ stato quindi condotto un esperimento più classico in cui la “camicia di forza” è stata disattivata manipolando geneticamente il topo. In questo caso si utilizza la tecnica della ricombinazione omologa: anche qui si sfrutta l’omologia di sequenza, ma il gene viene eliminato dal DNA. Non lo si “nasconde” come prima, ma lo si cancella dal genoma. Se questo si effettua quando ancora l’embrione non si è formato, si otterrà un animale privo di quello specifico gene in tutte le sue cellule, anche in quelle dove dovrebbe normalmente funzionare. I roditori risultanti (detti in gergo “knockout”) sembrano normali, ma mostrano sensibilità basale al dolore da calore significativamente ridotta.
Nell’uomo i ricercatori hanno trovato che esiste una variante in un singolo nucleotide di “camicia di forza”. Nei volontari esaminati che presentavano questa caratteristica è stata riscontrata minor sensibilità al dolore da calore e, se questi erano stati sottoposti ad interventi chirurgici, minor dolore cronico. I ricercatori hanno stimato che circa il 4% della popolazione umana è omozigote per questa variante.
Una curiosità emersa da questo studio interessa il fenomeno della sinestesia. Questa cross-attivazione è una condizione neurologica in cui uno stimolo in una modalità sensoriale porta alla percezione di un altro senso. Ne esistono di diverse forme, inclusa una in cui il dolore porta alla visione di colori. Affligge più del 4% della popolazione e sembra essere associata ad intelligenza e creatività. Nell’esperimento sopracitato, la stimolazione dolorifica dei topi mutanti non attivava i neuroni responsabili della rilevazione del dolore, bensì altre aree del cervello come la corteccia visiva, uditiva e olfattiva. Questi topi mutanti potrebbero quindi diventare un modello per studiare anche il fenomeno della sinestesia.
Forse quindi non è un caso se quando il nostro pollice incontra il martello… vediamo le stelle!
Ilaria Panzeri
Riferimenti
G. Gregory Neely et al. A Genome-wide Drosophila Screen for Heat Nociception Identifies α2δ3 as an Evolutionarily Conserved Pain Gene. Cell, 143: 628-638, 2010.
Fonte dell’immagine: Wikimedia Commons