Che cosa avrebbe pensato Charles Darwin di Leopardi (e viceversa)?
Pikaia ha letto per voi “Le piante di Darwin e i topi di Leopardi”, una ricostruzione delle affinità di vedute tra lo scienziato e il poeta.
“Sono gli uccelli naturalmente le più liete creature del mondo. Non dico ciò in quanto se tu li vedi o gli odi, sempre ti rallegrano; ma intendo di essi medesimi in sé, volendo dire che sentono giocondità e letizia più che alcuno altro animale […]. Gli uccelli per lo più si dimostrano nei moti e nell’aspetto lietissimi; e non da altro procede quella virtù che hanno di rallegrarci colla vista, se non che le loro forme e i loro atti, universalmente, sono tali, che per natura dinotano abilità e disposizione speciale a provare godimento e gioia” (Operette morali, Elogio degli uccelli).
Ora, centrata sull’ornitologia è anche, e tutta intera, l’estetica darwiniana, messa a punto molti anni dopo il viaggio sul Beagle, nell’Origine dell’uomo del 1871, ma i cui primi accenni erano già presenti nei Taccuini stesi da Darwin immediatamente dopo il ritorno dal suo viaggio intorno al mondo. Nell’Origine dell’uomo, il naturalista nota infatti come
“Nell’insieme sembra che gli uccelli siano, di tutti gli animali – eccettuato l’uomo, naturalmente – quelli più dotati di senso estetico, ed essi hanno quasi il nostro stesso gusto per il bello. Ciò è dimostrato dal fatto che noi godiamo del canteo degli uccelli, che le nostre donne, sia civili sia selvagge, si ornano il capo di piume e usano gemme che hanno colori appena più brillanti della pelle nuda e dei bargigli di certi uccelli […]. Niente è più comune del fatto che gli animali si compiacciano di praticare un istinto, che essi seguono in altri periodi, in vista di un concreto beneficio. Quante volte vediamo uccelli che volano liberamente, scivolando e navigando nell’aria per il solo piacere? […] Non è affatto sorprendente che i maschi continuino a cantare per loro divertimento anche dopo che sia finito il tempo di corteggiare” (Origine dell’uomo, parte seconda, cap. 13).
Che cosa avrebbe pensato Charles Darwin di Leopardi, se ne avesse letto L’elogio degli uccelli? E che cosa avrebbe pensato Leopardi dell’estetica darwiniana, se avesse letto l’Origine dell’uomo, oppure in che modo avrebbe accolto la teoria dell’evoluzione per selezione naturale, se avesse avuto il tempo di leggere l’Origine delle specie (Leopardi, come noto, muore nel 1837)? Queste domande, e simili, sono al centro del lavoro di Antonella Anedda Le piante di Darwin e i topi di Leopardi (Interlinea 2022), in cui l’autrice cerca di ricostruire a posteriori una possibile trama di agganci e affinità tra le prospettive darwiniane e quelle (scientificamente orientate) di Giacomo Leopardi, a partire da quello che per Anedda è il trait d’union tra i due, cioè il magistero di Erasmus Darwin, poeta, filosofo e nonno di Charles. Come sappiamo, Leopardi aveva grandi competenze in fatto di scienze naturali e geologia e le opere di Erasmus Darwin facevano per certo parte del suo amplissimo bagaglio di letture. La conoscenza delle idee di Erasmus si deve, oltre alla presenza di una copia tradotta in italiano de Gli amori delle piante (seconda parte del The Botanic Garden) all’interno della biblioteca di Monaldo a Recanati, padre di Giacomo, anche alla traduzione della Zoonomia fatta dal medico Giovanni Rasori, amico e seguace di un altro medico molto vicino a Leopardi soprattutto nei suoi anni fiorentini e pisani, cioè Giacomo Tommasini. La tesi fondamentale del volume di Anedda, dunque, è la ricostruzione dell’affinità di vedute tra Darwin e Leopardi in tema di concezione degli animali, della posizione (anti-antropocentrica) dell’uomo nel mondo, di teoria geologica e di teoria della differenziazione ed evoluzione delle specie, muovendo dalla supposta influenza diretta esercitata su entrambi (Giacomo e Charles) dal comune riferimento Erasmus Darwin. Il testo è assai dotto e le tesi sostenute molto interessanti, benché non si possa scacciare del tutto l’impressione che, parlando di affinità, si tratti piuttosto di echi lontani – comunque rilevanti – o di suggestioni di somiglianze, anziché di filiazioni dirette filologicamente dimostrabili. Per esempio, è altrettanto plausibile che l’affinità tra Erasmus Darwin e Leopardi sia anche da attribuire (o forse da attribuire più largamente) alle letture materialistiche comuni ai due (da Paul Henry Thiry d’Holbach a Julien Offroy de La Mettrie) anziché esclusivamente a un’influenza diretta della lettura dei testi di Erasmus su Leopardi. In ogni caso, la prospettiva di Anedda è stimolante e discussa con ricchezza di riferimenti bibliografici, soprattutto alla letteratura critica maggiore; ha il merito di sviluppare un discorso sulla letteratura che ne mette in luce con efficacia gli innumerevoli agganci alla scienza, a dispetto di ogni partizione “tra le due culture”; veicola un’idea di sinergia tra poesia e scienza che, a partire dai poliedrici interessi dei due Darwin e di Leopardi, può dire molto anche a noi oggi, impegnati nello sforzo di mobilizzare degli steccati disciplinari tra i quali non di rado si è arenata la ricerca iper-settorializzata degli anni recenti.
È ricercatrice in Estetica presso il Dipartimento di Lettere e Filosofia dell’Università di Firenze. Si occupa di approcci interdisciplinari all’estetica, in particolare di estetica evoluzionistica, estetica ambientale, Environmental humanities, e di temi di storia dell’estetica moderna e contemporanea in area inglese e tedesca.