Crurotarsi on the beach
Ne hanno dato l’annuncio i principali protagonisti della ricerca: Marco Avanzini e Fabio Massimo Petti del Museo Tridentino di Scienze Naturali di Trento, Paolo Schirolli del Museo di Storia Naturale di Brescia, Stefano Girardi della Fondazione Bruno Kessler di Trento ed il coordinatore del gruppo di ricerca Cristiano Dal Sasso del Museo di Storia Naturale di Milano.Gli strati contenenti le […]
Ne hanno dato l’annuncio i principali protagonisti della ricerca: Marco Avanzini e Fabio Massimo Petti del Museo Tridentino di Scienze Naturali di Trento, Paolo Schirolli del Museo di Storia Naturale di Brescia, Stefano Girardi della Fondazione Bruno Kessler di Trento ed il coordinatore del gruppo di ricerca Cristiano Dal Sasso del Museo di Storia Naturale di Milano.
Gli strati contenenti le orme appartengono alle Arenarie di Val Sabbia, databili al Carnico inferiore/medio (Triassico Superiore). La formazione, ben nota ai geologi, rappresenta una successione di sabbie e microconglomerati di origine vulcanoclastica depositate al margine di un mare che si estendeva dall’area dell’attuale pianura Padana verso Nord.
Le orme, almeno 70 quelle scoperte, sono organizzate in 6 piste (successioni di passi). Alcune di esse appartengono all’icnogenere Brachychirotherium, noto anche in depositi coevi della Germania e del Nord America. In particolare le tracce meglio preservate mostrano notevoli affinità con l’icnospecie Brachychirotherium thuringiacum proveniente dal Triassico superiore della Germania. Tale icnospecie è caratterizzata da orme pentadattile con dita corte e robuste delle quali il quinto, tozzo, è diretto verso l’esterno. Alcune delle coppie mano-piede analizzate nello studio mostrano alcuni dettagli anatomici che hanno consentito approfondite analisi geometrico-statistiche delle tracce. L’icnogenere Brachychirotherium è generalmente indicato come attribuibile ad un trackmaker crurotarsomorfo. Due sono i principali indiziati nel caso delle orme di Zone, rintracciabili, secondo gli studiosi, tra rauisuchidi ed aetosauri.
Lo studio è stato condotto integrando alle classiche tecniche di rilievo e riproduzione delle tracce, moderne tecnologie digitali che permettono analisi di dettaglio ed uniche prospettive di indagine sul materiale. Grazie alla collaborazione con la Fondazione Bruno Kessler di Trento, il sito di Zone è stato rilevato utilizzando un laser scanner terrestre che ha permesso la creazione di un modello digitalizzato dell’intero affioramento. Un ulteriore modello ottenuto con fotogrammetria digitale è poi stato sovrapposto per ottenere una riproduzione virtuale tridimensionale ad alta risoluzione delle orme e delle piste.
Nel corso della conferenza gli studiosi hanno sottolineato che, quelle di Zone, sono le prime orme di rettili, risalenti all’iniziale periodo di convivenza tra crurotarsi e ornitodiri dinosauriani trovate in Lombardia, e che si configurano come le orme più grandi e meglio conservate in Italia di questo tipo e di questo periodo. Alcune orme hanno inoltre una forma unica, probabilmente del tutto nuova per la scienza. Nella conclusione ad ampio respiro, poi, gli studiosi intervenuti a Milano hanno mostrato come la nuova scoperta aggiunga importanti dati alla ricostruzione paleogeografica e paleoambientale dell’Italia settentrionale e come questi elementi permettano di correlare rocce e fossili simili in varie parti del mondo, aiutando a comprendere meglio i primi passi dell’evoluzione dei crurotarsi.
Per ulteriori dettagli visitare il sito del Museo di Storia Naturale di Milano:
www.comune.milano.it/museostorianaturale/
Massimo Bernardi
Foto Fabio Massimo Petti, © Museo Tridentino di Scienze Naturali.
Gli strati contenenti le orme appartengono alle Arenarie di Val Sabbia, databili al Carnico inferiore/medio (Triassico Superiore). La formazione, ben nota ai geologi, rappresenta una successione di sabbie e microconglomerati di origine vulcanoclastica depositate al margine di un mare che si estendeva dall’area dell’attuale pianura Padana verso Nord.
Le orme, almeno 70 quelle scoperte, sono organizzate in 6 piste (successioni di passi). Alcune di esse appartengono all’icnogenere Brachychirotherium, noto anche in depositi coevi della Germania e del Nord America. In particolare le tracce meglio preservate mostrano notevoli affinità con l’icnospecie Brachychirotherium thuringiacum proveniente dal Triassico superiore della Germania. Tale icnospecie è caratterizzata da orme pentadattile con dita corte e robuste delle quali il quinto, tozzo, è diretto verso l’esterno. Alcune delle coppie mano-piede analizzate nello studio mostrano alcuni dettagli anatomici che hanno consentito approfondite analisi geometrico-statistiche delle tracce. L’icnogenere Brachychirotherium è generalmente indicato come attribuibile ad un trackmaker crurotarsomorfo. Due sono i principali indiziati nel caso delle orme di Zone, rintracciabili, secondo gli studiosi, tra rauisuchidi ed aetosauri.
Lo studio è stato condotto integrando alle classiche tecniche di rilievo e riproduzione delle tracce, moderne tecnologie digitali che permettono analisi di dettaglio ed uniche prospettive di indagine sul materiale. Grazie alla collaborazione con la Fondazione Bruno Kessler di Trento, il sito di Zone è stato rilevato utilizzando un laser scanner terrestre che ha permesso la creazione di un modello digitalizzato dell’intero affioramento. Un ulteriore modello ottenuto con fotogrammetria digitale è poi stato sovrapposto per ottenere una riproduzione virtuale tridimensionale ad alta risoluzione delle orme e delle piste.
Nel corso della conferenza gli studiosi hanno sottolineato che, quelle di Zone, sono le prime orme di rettili, risalenti all’iniziale periodo di convivenza tra crurotarsi e ornitodiri dinosauriani trovate in Lombardia, e che si configurano come le orme più grandi e meglio conservate in Italia di questo tipo e di questo periodo. Alcune orme hanno inoltre una forma unica, probabilmente del tutto nuova per la scienza. Nella conclusione ad ampio respiro, poi, gli studiosi intervenuti a Milano hanno mostrato come la nuova scoperta aggiunga importanti dati alla ricostruzione paleogeografica e paleoambientale dell’Italia settentrionale e come questi elementi permettano di correlare rocce e fossili simili in varie parti del mondo, aiutando a comprendere meglio i primi passi dell’evoluzione dei crurotarsi.
Per ulteriori dettagli visitare il sito del Museo di Storia Naturale di Milano:
www.comune.milano.it/museostorianaturale/
Massimo Bernardi
Foto Fabio Massimo Petti, © Museo Tridentino di Scienze Naturali.