Dagli alberi al bipedismo
La lenta camminata dello scimmione che alzandosi su due piedi diventa uomo è una delle rappresentazioni più famose e diffuse dell’evoluzione umana, anche se per chi mastica anche solo un poco la teoria darwiniana è decisamente un’eresia: non esiste difatti una direzione nella storia evolutiva, e i nostri antenati non sono “diventati uomini” ma, più prosaicamente, una delle loro linee […]
La lenta camminata dello scimmione che alzandosi su due piedi diventa uomo è una delle rappresentazioni più famose e diffuse dell’evoluzione umana, anche se per chi mastica anche solo un poco la teoria darwiniana è decisamente un’eresia: non esiste difatti una direzione nella storia evolutiva, e i nostri antenati non sono “diventati uomini” ma, più prosaicamente, una delle loro linee di discendenza ha accumulato variazioni che hanno portato alla nostra specie e in particolare alla statura eretta. Questa immagine potrebbe inoltre essere sbagliata anche in un altro senso se come sembra sempre più probabile (e l’ipotesi di per sé è antica come la teoria dell’evoluzione stessa) i nostri antenati non camminavano affatto sulle nocche alla maniera di gorilla e scimpanzé.
La diatriba si è finora polarizzata in due fazioni: chi credeva che le somiglianze nella locomozione di scimpanzé e gorilla (le scimmie antropomorfe viventi più vicine filogeneticamente alla nostra specie), entrambi camminatori sulle nocche, fossero un forte indizio della presenza dello stesso comportamento nei nostri ultimi antenati comuni, e chi invece trovava più probabile che sulla nostra linea evolutiva si posizionassero, prima della comparsa di specie adattate a passare buona parte del loro tempo muovendosi su due piedi a terra, solo primati arboricoli. Alcune scoperte, come ad esempio la presenza in Australopithecus afarensis (che però non è un nostro antenato diretto) di caratteristiche degli arti adatte a una vita parzialmente arborea sembravano dare credito a questa seconda visione, mentre alcuni tratti tipicamente considerati adattamenti alla camminata sulle
nocche ritrovati in molti fossili di ominini estinti raccontavano una storia diversa. Proprio questi ultimi tratti però (o almeno una parte consistente di essi) sono stati recentemente riesaminati e reinterpretati da Tracy Kivell del Max Planck Institute for Evolutionary Anthropology di Leipzig e Daniel Schmitt della Duke University di Durham.
Lo studio, pubblicato di recente su PNAS, mette innanzitutto in evidenza come le locomozioni di scimpanzé e gorilla siano molto meno simili di quanto si pensasse finora. Prendendo in esame il comportamento e le ossa del polso di più di 200 tra scimpanzé, bonobo e gorilla il gruppo di ricerca ha mostrato come le particolari caratteristiche che permettono a scimpanzé e bonobo (sono state trovate rispettivamente nel 96% e nel 76% dei campioni esaminati) di camminare agevolmente sulle nocche siano praticamente assenti nei gorilla (sono state trovate solo nel 6% del campione esaminato). I gorilla devono difatti stendere completamente braccio e polso in quella che Kivell chiama “columnar stance” (ovvero “posizione a colonna”) per diminuire lo stress sulle giunture ed evitare che le dita si pieghino troppo, invece di mantenere il polso flesso come scimpanzé e bonobo che sono dotati di una serie di creste e concavità ossee atte proprio ad evitare questo piegamento eccessivo. Inoltre, non solo la camminata sulle nocche sembra essersi evoluta separatamente e in due maniere diverse nei due generi Pan e Gorilla, ma molte caratteristiche che tra gli scimpanzé e i bonobo servono a rendere più efficiente questo tipo di locomozione si ritrovano tra numerose scimmie arboricole e non tra i gorilla. Da ultimo, i due ricercatori fanno notare come molte di quelle stesse caratteristiche che condividiamo con scimpanzé e gorilla e che si erano sempre pensate come adattamenti alla camminata sulle nocche sono in realtà presenti addirittura in alcune specie di lemuri e quindi sono più probabilmente il residuo di un adattamento alla vita tra gli alberi, piuttosto che al suolo.
Più precisamente, Kivell sostiene che i particolari adattamenti di scimpanzé e bonobo potrebbero essere stati fissati dal processo evolutivo per la necessità di stabilizzare il polso nel passare da un ramo all’altro, un’operazione che richiede una presa salda e sicura. Osservando i resti fossili dei nostri antenati vissuti dopo la divergenza evolutiva col ramo che porterà al genere Pan, la transazione dagli alberi alla savana aperta appare come un processo lungo, che vide un lungo periodo “ibrido” nel quale questi antichi ominini cominciarono a passare sempre più tempo al suolo continuando però ad affidare grossa parte delle proprie chance di sopravvivenza alla protezione offerta dagli alberi: proprio a questo scenario evolutivo sembrerebbe adattarsi perfettamente l’ipotesi “dagli alberi al bipedismo”, che trae nuova forza dallo studio di Kivell e Schmitt. Per quanto questa ipotesi non possa ancora dirsi totalmente provata, e gli stessi autori dello studio si dicono intenzionati a cercare nuove evidenze negli anni a venire, ha probabilmente segnato un punto decisivo in una delle più lunghe diatribe riguardanti l’evoluzione umana.
Marco Michelutto
Riferimenti:
Tracy L. Kivell, Daniel Schmitt, “Independent evolution of knucklewalking in African apes shows that humans did not evolve from a knucklewalking ancestor”, PNAS, Published online before print August 10, 2009, doi: 10.1073/pnas.0901280106
La diatriba si è finora polarizzata in due fazioni: chi credeva che le somiglianze nella locomozione di scimpanzé e gorilla (le scimmie antropomorfe viventi più vicine filogeneticamente alla nostra specie), entrambi camminatori sulle nocche, fossero un forte indizio della presenza dello stesso comportamento nei nostri ultimi antenati comuni, e chi invece trovava più probabile che sulla nostra linea evolutiva si posizionassero, prima della comparsa di specie adattate a passare buona parte del loro tempo muovendosi su due piedi a terra, solo primati arboricoli. Alcune scoperte, come ad esempio la presenza in Australopithecus afarensis (che però non è un nostro antenato diretto) di caratteristiche degli arti adatte a una vita parzialmente arborea sembravano dare credito a questa seconda visione, mentre alcuni tratti tipicamente considerati adattamenti alla camminata sulle
nocche ritrovati in molti fossili di ominini estinti raccontavano una storia diversa. Proprio questi ultimi tratti però (o almeno una parte consistente di essi) sono stati recentemente riesaminati e reinterpretati da Tracy Kivell del Max Planck Institute for Evolutionary Anthropology di Leipzig e Daniel Schmitt della Duke University di Durham.
Lo studio, pubblicato di recente su PNAS, mette innanzitutto in evidenza come le locomozioni di scimpanzé e gorilla siano molto meno simili di quanto si pensasse finora. Prendendo in esame il comportamento e le ossa del polso di più di 200 tra scimpanzé, bonobo e gorilla il gruppo di ricerca ha mostrato come le particolari caratteristiche che permettono a scimpanzé e bonobo (sono state trovate rispettivamente nel 96% e nel 76% dei campioni esaminati) di camminare agevolmente sulle nocche siano praticamente assenti nei gorilla (sono state trovate solo nel 6% del campione esaminato). I gorilla devono difatti stendere completamente braccio e polso in quella che Kivell chiama “columnar stance” (ovvero “posizione a colonna”) per diminuire lo stress sulle giunture ed evitare che le dita si pieghino troppo, invece di mantenere il polso flesso come scimpanzé e bonobo che sono dotati di una serie di creste e concavità ossee atte proprio ad evitare questo piegamento eccessivo. Inoltre, non solo la camminata sulle nocche sembra essersi evoluta separatamente e in due maniere diverse nei due generi Pan e Gorilla, ma molte caratteristiche che tra gli scimpanzé e i bonobo servono a rendere più efficiente questo tipo di locomozione si ritrovano tra numerose scimmie arboricole e non tra i gorilla. Da ultimo, i due ricercatori fanno notare come molte di quelle stesse caratteristiche che condividiamo con scimpanzé e gorilla e che si erano sempre pensate come adattamenti alla camminata sulle nocche sono in realtà presenti addirittura in alcune specie di lemuri e quindi sono più probabilmente il residuo di un adattamento alla vita tra gli alberi, piuttosto che al suolo.
Più precisamente, Kivell sostiene che i particolari adattamenti di scimpanzé e bonobo potrebbero essere stati fissati dal processo evolutivo per la necessità di stabilizzare il polso nel passare da un ramo all’altro, un’operazione che richiede una presa salda e sicura. Osservando i resti fossili dei nostri antenati vissuti dopo la divergenza evolutiva col ramo che porterà al genere Pan, la transazione dagli alberi alla savana aperta appare come un processo lungo, che vide un lungo periodo “ibrido” nel quale questi antichi ominini cominciarono a passare sempre più tempo al suolo continuando però ad affidare grossa parte delle proprie chance di sopravvivenza alla protezione offerta dagli alberi: proprio a questo scenario evolutivo sembrerebbe adattarsi perfettamente l’ipotesi “dagli alberi al bipedismo”, che trae nuova forza dallo studio di Kivell e Schmitt. Per quanto questa ipotesi non possa ancora dirsi totalmente provata, e gli stessi autori dello studio si dicono intenzionati a cercare nuove evidenze negli anni a venire, ha probabilmente segnato un punto decisivo in una delle più lunghe diatribe riguardanti l’evoluzione umana.
Marco Michelutto
Riferimenti:
Tracy L. Kivell, Daniel Schmitt, “Independent evolution of knucklewalking in African apes shows that humans did not evolve from a knucklewalking ancestor”, PNAS, Published online before print August 10, 2009, doi: 10.1073/pnas.0901280106