Dal profondo dell’antievoluzionismo

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Ho scritto, per un mensile di larga diffusione, una serie di articoli sull’evoluzione. Dall’idea in generale a come è strutturata (ho preso spunto dai vari significati di evoluzione secondo Mayr) a quello che l’evoluzione non è a dove si applica il concetto di selezione naturale fuori dal mondo dei viventi. Insomma, un bel malloppo. Stranamente, e questo è un primo […]

Ho scritto, per un mensile di larga diffusione, una serie di articoli sull’evoluzione. Dall’idea in generale a come è strutturata (ho preso spunto dai vari significati di evoluzione secondo Mayr) a quello che l’evoluzione non è a dove si applica il concetto di selezione naturale fuori dal mondo dei viventi. Insomma, un bel malloppo. Stranamente, e questo è un primo punto che fa pensare, non ci sono state critiche da parte dei creazionisti – con una sola eccezione (su cui tornerò). Poiché la rivista è uno dei mensili più diffusi in Italia, questa mancanza di reazione dagli antievoluzionisti mi fa credere che in fondo le loro intenzioni non siano quelle che affermano. Mi spiego; la mia opinione è che un antievoluzionista ribatte, dibatte e lotta per le sue idee non perché voglia portarle avanti in contrapposizione con il divulgatore o lo studioso di turno, faccia a faccia per così dire, ma solo quando ha la possibilità di mostrare a tutti che il cattivo divulgatore-evoluzionista gli impedisce di manifestare le sue idee. In un mensile, una lettera di questo tipo sarebbe facilmente smontata o dimenticata. L’antievoluzionista non avrebbe quindi la possibilità di partecipare a un dibattito in cui possa caricare a testa bassa con una sere di affermazioni o di citazioni estratte, un po’ a caso, da quanto hanno detto vari studiosi, da Gould alla Margulis a Hamilton. Una lettera non ha lo stesso impatto. Ed è per questo che mi ha stupito l’arrivo di un ponderoso librone, dal titolo “Darwin bocciato in medicina”, il cui autore è il medico Giovanni Lo Presti. Non ho ancora finito il libro stesso (è un volume di circa 400 pagine) ma ho letto con attenzione l’introduzione e la lettera che accompagna il libro (spedita anche, quale onore, al direttore de Le Scienze Marco Cattaneo).

Il libro se non altro è onesto, e non gira attorno alle parole. Vuole dimostrare che l’uomo non è nato dal caso, ma che – escludendolo – non si può fare a meno di ammettere l’intervento di una Mente. Lo spunto è venuto vedendo il libro di testo di sua nipotina “in cui viene data per certa la teorica credenza evoluzionistica, poco appropriata alla recezione e allo sviluppo culturale di tanti teneri virgulti” (sic). Il libro sta tutto in queste poche semplici parole, credo.

Leggendolo si scopre che:  “i vari cacciatori di fossili, antropologi e paleontologi, che per quanto preparati, non hanno, tuttavia, specifiche e approfondite conoscenze specialistiche anatomiche e fisiologiche da permettere di distinguere un osso umano da quello simile di un animale.” Cioè, un paleoantropologo non sa distinguere un femore umano da quello di un’antilope?

Poi: ” Non esistono, se vogliamo mantenerci in ambito scientifico, nessun lavoro pubblicato e nessuna testimonianza sperimentale, nonché alcun reperto fossile che dimostrino che gli organismi composti derivino per percorsi evolutivi da organismi unicellulari.”
 
Da lì in poi è tutto in discesa. Per esempio, tutti gli organismi unicellulari hanno un solo cromosoma e siccome l’uomo ne ha 46, non si capisce come sia avvenuto. E ancora: “Di tutte le mutazioni accertate dalla scienza, nessuna è mai stata favorevole all’organismo.”

Ritroviamo poi l’idea del colpo mortale al darwinismo dato dalla scoperta che il patrimonio genetico, noto come Dna (sic), di ogni persona è unico, immutabile e irripetibile. Che ricorda le gigantesche stupidaggini di Lucetta Scarafia di qualche anno fa alla radio.

Il libro è poi veramente un’accozzaglia di cose sentite e reinterpretate a modo suo (come il fatto che l’uomo è un “miglioramento” della scimmia, o che se l’uomo derivasse dalla scimmia anche quest’ultima dovrebbe avere i nostri stessi organi, ma messi “peggio”). Anche una lettura casuale del libro fa rinvenire numerose curiosità (per esempio il fatto che il biologo Seymour Benzer ha dimostrato che ciascun gene è composto da centinaia di loci, da lui definiti cistroni – o che i geni dell’uomo non hanno proprio nulla in comune con quelli della scimmia o dei topi). Il tutto condito da citazioni di Zichichi, Sermonti e addirittura di un insospettabile Luigi Bignami che parla del principio antropico su Focus. Insomma, un’insalata indigesta di affermazioni apodittiche, di sentito dire e di mal capito, di vecchie ipotesi smontate da anni (l’uomo moderno discende dal Neanderthal) e di vere e proprie fole.

Lo scopo? Se ho capito bene, dimostrare che le specie sono fisse, non si possono trasformare l’una nell’altra e quindi l’evoluzionismo non è mai esistito. Non molto diverso dalla concezione di baramin dei creazionisti americani. Ancora una volta nessuna ipotesi (chiamiamola così) che vorrebbe contaddire l’evoluzionismo darwiniano con un’impostazione naturalista pura. Si cercano le prove per dire che, se l’evoluzione per selezione naturale è sbagliata, signfica che l’altra ipotesi (un creatore metafisico, per così dire) dev’essere giusta. Nessun antievoluzionista è in grado di rimanere all’interno di una spiegazione che faccia ricorso solo a “forze” o fenomeni o leggi naturali.

Non so come rispondere al signore, in fondo mi ha mandato un librone da 37 euro, ma proprio non riesco a trovare niente di positivo nell’opera.

Tratto da Leucophaea, il blog di Marco Ferrari