Dalle farfalle alle angiosperme: il DNA barcoding al banco di prova
Nei giorni scorsi ho iniziato a leggere “Scienza della natura e stregoni di passaggio” di Alessandro Giuliani e Carlo Modonesi in cui si parla di buona e cattiva scienza, intendendo con queste espressioni i casi in cui gli scienziati sono tali (ovvero fanno buone ricerche) rispetto agli esempi in cui gli scienziati sono più stregoni che professionisti della ricerca. Tra […]
Lunedì 12 dicembre si è tenuta la prima giornata del workshop dedicato al DNA barcoding in Italia e di cattiva scienza ne ho vista ben poca per non dire che non ve ne è stata affatto.
Il workshop è iniziato con una eccellente presentazione di Maurizio Casiraghi su ciò che il DNA barcoding è e su cosa può fare: identificare (nel senso di determinare) campioni biologici. Come ben sottolineato, con il DNA barcoding non si può fare filogenesi né si può pensare di usare la sequenza del gene COI (intesa come un breve frammento di circa 600 nucleotidi del gene codificante per la citocromo C ossidasi I) per costruire alberi filogenetici.
La seconda presentazione è stata di Massimo Labra che ha illustrato le numerose difficoltà che incontrano i ricercatori che si avvicinano al mondo del DNA barcoding nelle piante, data la presenza di alcuni fattori molto comuni in questo regno (tra cui l’ibridazione, la poliploidia e le diverse modalità riproduttive) che complicano ulteriormente la situazione rispetto a quanto illustrato negli animali.
Valerio Sbordoni nella terza presentazione ha mostrato come le sequenze del gene COI, sebbene non utili generalmente per la filogenesi, possono avere invece una grande efficacia a livello di biogeografia e sono stati presentati numerosi casi studio che hanno spaziato dalla farfalle alle salamandre a supporto di questa possibilità.
Ha chiuso il primo giorno di lavoro, Marco Passamonti che ho basato la propria presentazione sulla sfatare alcuni miti legati all’evoluzione del DNA mitocondriale mostrando come il DNA mitocondriale non si affatto ad evoluzione neutrale, possa ricombinare e essere ereditato non solo per via femminile. Conoscere il DNA mitocondriale permette infatti di definire con quali limiti di confidenza trattare i dati ottenuti prima di applicarli per capire quali unità tassonomiche il DNA barcoding vada effettivamente ad identificare.
Tutte le presentazioni hanno dato un quadro chiaro, univoco e supportato da numerosissimi esempi di ciò che oggi il DNA barcoding è e tanto per il metodo quanto per l’accuratezza con cui il DNA barcoding viene condotto, posso dire con assoluta certezza che il DNA barcoding non è affatto cattiva scienza.
Hanno seguito i lavori della prima giornata oltre 150 partecipanti e da alcuni interventi di oggi anche la seconda giornata presenterà numerosissimi spunti di interesse. Pikaia vi terrà quindi aggiornati anche sul secondo giorno.
Buon DNA barcoding a tutti,
Mauro Mandrioli