Dimorfismo sessuale ed istinto artistico

All’interno del dibattito contemporaneo sull’interpretazione dei costumi culturali, gli evoluzionisti tendono ad inserire tali esibizioni nella cornice della selezione (sessuale prima ancora che naturale), all’interno della quale ogni comportamento acquista un significato in termini di vantaggio evolutivo. Nelle trame di tale diatriba trova spazio il modello di corteggiamento (courtship model) di Geoffrey Miller (1999) che, osservando la questione da un

All’interno del dibattito contemporaneo sull’interpretazione dei costumi culturali, gli evoluzionisti tendono ad inserire tali esibizioni nella cornice della selezione (sessuale prima ancora che naturale), all’interno della quale ogni comportamento acquista un significato in termini di vantaggio evolutivo. Nelle trame di tale diatriba trova spazio il modello di corteggiamento (courtship model) di Geoffrey Miller (1999) che, osservando la questione da un punto di vista biologico, prende le mosse dall’assunto darwiniano secondo cui i meccanismi evolutivi non possono solo essere considerati, come suggeriva Spencer, quali garanti della sopravvivenza del più adatto ma riflettono anche la competizione per il successo riproduttivo.

L’approccio analitico di stampo spenceriano ha condotto per oltre un secolo ad un rischioso fraintendimento per cui quando nessuna plausibile funzione di sopravvivenza poteva essere riscontrata, qualsiasi tratto sessualmente selezionato finiva con l’essere classificato come “non adattativo”. Seguendo invece la prospettiva milleriana, le stesse “esibizioni culturali”, che includono un’ampia varietà di comportamenti specificamente umani quali la capacità di raccontare storie, di indossare abiti, di danzare, di comporre musica, di decorare artefatti, di sostenere ideali etc., possono essere considerate come un prodotto dell’evoluzione volto ad incrementare le chances di riproduzione e di trasmissione del patrimonio genetico dell’individuo. Nella danza di corteggiamento coreografata dalla selezione sessuale, sono le femmine a dimostrarsi più selettive nello scegliere i propri partner mentre i maschi si mettono maggiormente in mostra, attraverso “esibizioni culturali” di abilità che ne rivelano l’adattabilità rispetto all’ambiente circostante.

Questo effetto pavone, o peacock effect, così chiaramente osservabile nella pulizia compulsiva del giaciglio coniugale dei maschi di uccello del paradiso, nei canti di corteggiamento dei maschi di balena megattera australiana, nei grugniti e nel digrignare i denti dei maschi di mandrillo e nell’intermittente emissione di luce dei maschi di lucciola è altrettanto presente nella nostra specie, in cui la cultura non è da considerarsi in termini di esaptazione o effetto collaterale dell’incremento della capacità cranica e delle funzioni cerebrali; si tratta, piuttosto, come suggerisce Miller (1999), di un sottoprodotto della competizione sessuale evolutosi anche per assolvere funzioni di corteggiamento: in quest’ottica, le manifestazioni culturali non rappresentano arbitrarie dimostrazioni estetiche ma sono indicatori della qualità fenotipica e, di riflesso, genotipica (salute, fertilità, resistenza ai parassiti, etc.) degli individui che le esibiscono. Tra la maggior parte delle specie e nei mammiferi (97%), infatti, solo i maschi, nella fase del corteggiamento, fanno mostra di tratti e comportamenti selezionati sessualmente (Cronin, 1993). Tuttavia, nelle specie in cui l’esibizione di tratti e comportamenti biologicamente attraenti è di solo dominio maschile, l’investimento parentale (ovvero il tempo e l’impegno dedicato all’accudire la prole) è quasi completamente a carico della femmina (Griskevicius et al., 2006). Ciò spiegherebbe perché nella nostra specie, coerentemente con la teoria dei “buoni geni” (good genes theory), secondo cui i tratti maschili selezionati dai corrispettivi partner femminili sono importanti indicatori della capacità dei primi di trasmettere geni che aumentano le probabilità di sopravvivenza e riproduzione dei discendenti, la scelta del partner sessuale operata dalla donna varia a seconda della fase del ciclo mestruale in cui ella si trova: nel periodo più fertile tende a preferire un partner dall’aspetto più mascolino, indice di migliore qualità genotipica, e che maggiormente si adopera a mettere in mostra le proprie abilità; la maggiore fertilità è anche positivamente correlata con la preferenza per la creatività nelle relazioni a breve termine (Haselton and Miller, 2006). Viceversa, nelle fasi precedente e successiva all’ovulazione, la scelta ricade su partners dai tratti fenotipicamente (e quindi genotipicamente) meno attraenti ma che, proprio in virtù di tali caratteristiche, appaiono più affidabili per relazioni a lungo termine, che coinvolgono il sostentamento e l’accudimento della prole (Perrett et al. 1998; Johnston and Franklin, 1993; Johnston, 1999).

Il quadro di chiaro dimorfismo sessuale, che emerge dall’osservazione dei comportamenti esibiti dalla nostra e da altre specie e che rinvia all’ancestrale ed originaria distinzione dei ruoli tra i generi, sfocia nell’apparente paradosso della selezione sessuale, di cui si trova ampia eco nella tradizione letteraria inaugurata da Buss (1988), che vede gli uomini preferire l’attrazione fisica e le donne le risorse e il livello sociale che il partner possa offrire loro. Sebbene appaia più che legittima una spiegazione socioculturale del suddetto fenomeno, che riconosce nella maggiore e trans-culturale difficoltà della donna ad aver accesso allo status sociale e alle risorse la causa di tali comportamenti biologici, la prospettiva evoluzionistica ne offre un quadro più convincente: il valore riproduttivo di un uomo può essere associato più facilmente alla sua abilità di reperire risorse economiche mentre l’aspetto attraente è un chiaro indice del grado di salute e di fertilità della donna. Tale dimorfismo sembra coinvolgere, poi, anche uno dei tratti mentali considerato dalla ricerca neurobiologica tra i più affascinanti e controversi: la creatività. All’interno della tradizione artistico-letteraria ricorre, come costante, l’attribuzione di quanto prodotto all’influenza esercitata dalla musa ispiratrice che, per quanto possa assumere le più svariate vesti, è quasi sempre impersonata da una donna. Ciò sembra suggerire che la stessa creatività, con cui si intende la capacità di dar vita a qualcosa di nuovo, originale e appropriato (ovvero utile e valutabile; Sternberg and Lubart, 1999) sia strettamente connessa con i meccanismi della selezione sessuale e naturale (Griskevicius et al., 2006). Così come nella scelta del partner sessuale molti membri di altre specie dimostrano di preferire la presenza di tratti che costituiscono il prodotto della selezione sessuale, nella nostra specie le donne guardano alla creatività come ad un aspetto più che attraente, anche se non indispensabile (Li et al., 2002).

Prendendo le mosse dal modello milleriano, è dunque possibile considerare l’esibizione della creatività come un fenomeno pressoché esclusivamente maschile? Alcuni esperimenti, condotti su campioni di ambedue i sessi, hanno dimostrato l’esistenza di una correlazione positiva, esclusivamente maschile, tra creatività e priming romantico (Griskevicius et al., 2006); in altri termini, lo stesso input di sensibilizzazione psicologica non sembra influenzare in alcun modo lo sviluppo del processo di creatività nelle donne, indipendentemente dallo scenario proposto (di relazione a breve o lungo termine). Se l’esibizione di specifici tratti mentali (inclusa la creatività) sembra, pertanto, condizionare positivamente la scelta sessuale femminile, come se ne trova traccia in molte figure letterarie già a partire dalla tradizione omerica (Ulisse è per eccellenza l’uomo dalla seducente capacità dialettica), gli individui che si dimostrano più arguti e capaci di fare miglior uso del proprio raziocinio, sono effettivamente anche i più prolifici? Stabilendo un’adeguata correlazione tra età, iniziale potenziale creativo e tasso di immaginazione, elaborazione e produzione artistica, alcune ricerche hanno dimostrato che gli individui in cui tali componenti sono maggiormente presenti, sono di fatto più prolifici e raggiungono l’apice di produttività nella fase della giovane maturità (Simonton, 1997; Nettle and Clegg, 2006; Clegg et al. 2011). Nel tentativo di dimostrare l’importanza centrale dei tratti mentali nel dispiegarsi dei meccanismi connessi alla selezione sessuale, Nettle e Clegg (2006) arrivano a sostenere che nel fenomeno della creatività bisogna riconoscere una delle cause del persistere di patologie psico-neurologiche, quali la schizofrenia che, nella prospettiva da loro suggerita, sarebbe da considerarsi come l’estremo manifestarsi del genio artistico, che finisce per alterare irreversibilmente l’equilibrio fisiologico (frequenti e noti sono gli esempi di alterazioni psichiatriche congenite nelle famiglie di artisti). Esiste, infatti, una relazione positiva tra esperienze inusuali (unusual experiences), schizotopia, comportamenti impulsivi e anticonformisti e successo riproduttivo (Nettle and Clegg, 2006).

Assumendo, poi, come presupposto analitico l’ipotesi di corteggiamento milleriana, viene stabilita una rilevante interdipendenza tra produzione culturale, età e sesso. Se infatti i comportamenti culturali hanno come obiettivo primario quello di incrementare le possibilità di riproduzione maschile, in una documentata ottica di dimorfismo sessuale, la produzione culturale dovrebbe aumentare dopo la pubertà e raggiungere il proprio apice nella giovane maturità quando la competizione sessuale è maggiore, decrescendo poi gradualmente fino quasi a scomparire nella vecchiaia. Satoshi Kanazawa (2000) ha recentemente proposto di estendere l’ambito di influenza del modello milleriano ad attività che, in una prospettiva di continuo adattamento storico, rientrano a pieno titolo nella definizione di esibizione culturale, quali il praticare paracadutismo acrobatico, l’ideare elaborate pagine web e, in particolare, il pubblicare scoperte scientifiche. Esperimenti condotti su campioni di compositori di musica jazz e rock, pittori contemporanei, scrittori inglesi (Miller, 1999) e scienziati (Kanazawa, 2000) hanno evidenziato risultati coerenti con le ipotesi avanzate da Miller, con una diffusa predominanza del genere maschile nello svolgere tali attività, un picco di produzione che si aggira attorno ai 32 anni di età ed un graduale declino nella tarda maturità, che si manifesta con maggiore rapidità nei soggetti che si sono sposati, hanno costruito il proprio nucleo familiare e non hanno più “bisogno” di servirsi del loro impulso artistico per impressionare il partner del sesso opposto.

Secondo quanto detto sinora, una maggiore concentrazione testosteronica sembra trovarsi alla base dell’espressione e della manifestazione di comportamenti culturali. Un tentativo di suffragare scientificamente l’ipotesi speculativa di una positiva correlazione tra testosteronicità e impulso artistico-culturale, risiede nell’osservazione analitica di tratti anatomici sessualmente dimorfici. L’ipotesi di una struttura cerebrale sessualmente dimorfica (Baron-Cohen, 2003) suggerisce che l’esposizione prenatale a diverse concentrazioni steroidee, quali in particolare il testosterone, gioca un ruolo centrale nel determinare le diverse attitudini comportamentali. Nella nostra specie, il rapporto relativo alla lunghezza tra indice ed anulare, un tratto anatomico risultato del dimorfismo sessuale (Baker, 1888; George, 1930) dovuto all’azione del gene Hox, deputato alla gestione dei livelli ormonali, differisce per genere: nei maschi il secondo dito è in genere più corto del quarto, nelle femmine, viceversa, l’indice è più lungo dell’anulare. Inoltre, agli individui di sesso maschile che presentano un rapporto minore tra secondo e quarto dito (2D:4D<1) corrisponde la presenza di una maggiore concentrazione testosteronica e di un minore livello estrogenico (Manning et al., 1998). Tale proporzione digitale, dimorfica per i due generi, si manifesta solo a partire dai due anni di età ma viene determinata nelle prime fasi di vita intrauterina, a partire dalla quattordicesima settimana circa (Phelps, 1952; Manning et al., 1998), in corrispondenza di una diversa esposizione ormonale: un inferiore rapporto tra secondo e quarto dito riflette un’esposizione embrionale ad alti livelli testosteronici; viceversa, una più alta proporzione tra indice ed anulare è il risultato del contatto con un ambiente prenatale povero di testosterone (Breedlove, 2010). Sebbene questa ipotesi non sia stata suffragata da alcuna sperimentazione empirica, la stretta somiglianza anatomica nella proporzione digitale con i topi ha reso possibile l’analisi di dati embrionali relativi agli indici ormonali in utero al momento dello sviluppo della cartilagine digitale (Zheng e Cohn, 2011). Zheng e Cohn, in questo studio sperimentale che ha fornito una conferma scientifica all’utilizzo della digit ratio come indicatore del tipo di ambiente ormonale uterino, hanno altresì dimostrato che la diversa proporzione digitale si sviluppa nei topi in una finestra temporale dello sviluppo embrionale compresa tra la formazione di condensazioni digitali e il diciassettesimo giorno di gestazione, per poi non subire alterazioni nel periodo postnatale. Inoltre il trattamento di femmine in fase di gestazione con antiandrogeni tra il dodicesimo ed i quindicesimo giorno ha dato origine a discendenti maschi con una proporzione digitale elevata, fortemente estrogenica. È l’anulare, a determinare la diversa proporzione: l’indice di lunghezza del secondo dito, diversamente dal quarto dito, non ha mostrato alcuna significativa risposta all’aumento di antagonisti androgenici od estrogenici (Zheng e Cohn, 2011). I livelli di esposizione ormonale intrauterina sembrano determinare poi una vasta serie di condizioni fisiologiche e psicologiche. In particolare, numerosi studi, condotti su campioni di individui adulti di entrambi i generi, che si basano sulla misurazione a raggi X del rapporto tra secondo e quarto dito, hanno dimostrato che l’esposizione ormonale prenatale è alla base dello sviluppo di diverse abilità atletiche (Manning e Taylor, 2001), gradi di fertilità (Manning et al., 2000), patologie sessuali (Manning et al., 2001), comportamenti sociali (Coates et al., 2009) ed orientamenti sessuali (Williams et al., 2000).

Combinando gli studi della digit ratio e la prospettiva interpretativa milleriana secondo cui la selezione sessuale si trova alla base della manifestazione di “esibizioni culturali”, che nell’uomo si è selezionato come tratto, tipicamente maschile, volto ad incrementare le possibilità di successo riproduttivo dell’individuo che lo esibisce, ci aspetteremo di riscontrare un’associazione positiva tra abilità artistiche e livelli ormonali androgenici. Sluming e Manning (2000) hanno messo in evidenza come il testosterone prenatale sia direttamente correlato con abilità dinamico-spaziali e con la musicalità. Sappiamo che una bassa proporzione tra secondo e quarto dito è indice di esposizione in utero ad alti livelli testosteronici e che ciò aumenta il grado di fertilità maschile. In quest’ottica la capacità di comporre accordi musicali può essere considerata come un tratto, sessualmente dimorfico, che indica una maggiore fertilità e riproducibilità nei maschi.

Se però l’analisi delle proporzioni digitali, poiché si tratta di una tecnica comparativa non invasiva e facile da mettere in atto, ha conosciuto negli ultimi anni un crescente interesse nell’ambito della ricerca biologica sulle differenze cognitive e di organizzazione cerebrale tra i generi, vi sono alcuni aspetti che ne mettono in discussione la validità e l’attendibilità. In particolare, Valla e Ceci (2011) hanno fatto notare come la digit ratio sia indicativa del livello di testosterone prenatale in un particolare periodo della gestazione. Considerando che ad oggi non si hanno evidenze certe della determinazione in utero di attitudini comportamentali, cognitive ed atletiche, tale tecnica sperimentale potrebbe coincidere solo con una frazione di caratteristiche che si sviluppano nell’ambiente intrauterino. Ciononostante, questo strumento di indagine relativamente nuovo ed innovativo potrebbe fornire una importante conferma empirica delle tesi di stampo milleriano sull’osservabile dimorfismo sessuale che interessa le “esibizioni culturali” nelle diverse specie.

Danae Crocchiola

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