Erbari, archivi del tempo: cosa ci raccontano sul clima e sulla biodiversità

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Dalle collezioni di piante essiccate nuove chiavi per leggere l’evoluzione degli ecosistemi e gli effetti della crisi climatica

Ogni esemplare d’erbario è un frammento di biodiversità fissato nel tempo: non solo l’identità di una pianta, ma anche le tracce delle sue relazioni ecologiche. Nati nel Cinquecento come strumenti di classificazione, gli erbari si rivelano oggi archivi preziosi che custodiscono una straordinaria varietà di reperti botanici: foglie e fiori, frutti e semi, radici, steli e intere piante essiccate. Su questi campioni, apparentemente silenziosi, rimangono impressi segni invisibili ma fondamentali, dai danni lasciati dagli insetti ai granuli di polline, dai residui microbici alla co-occorrenza di specie in competizione.

In un recente articolo pubblicato su Nature Reviews Biodiversity, Barnabas Daru (Stanford University) e Daniel Zhigila (Gombe State University) mostrano come gli erbari possano diventare “finestre sul passato” per ricostruire la storia delle interazioni tra piante e altri organismi. E soprattutto, come questi archivi possano aiutarci a capire in che modo il cambiamento climatico stia trasformando i delicati equilibri che tengono insieme gli ecosistemi.

La possibilità di studiare gli erbari e le tracce delle interazioni ecologiche del passato dipende non solo dalle collezioni e dalle tecnologie scientifiche disponibili, ma anche dalla capacità di rendere accessibili queste collezioni. La digitalizzazione è quindi un passaggio cruciale: permette di aprire archivi spesso poco consultabili a ricercatori di tutto il mondo, ma anche a cittadini e scuole, trasformando un patrimonio materiale in una risorsa condivisa. Ne avevamo parlato con la Prof. Elena Canadelli, che sottolineava come questa sia non solo una sfida tecnologica, ma anche culturale, capace di intrecciare saperi diversi e di restituire nuove forme di valore alle collezioni naturalistiche.

Grazie al National Biodiversity Future Center l’Italia entra nello scenario internazionale della digitalizzazione massiva delle collezioni naturalistiche. A “La biodiversità al centro” ne abbiamo parlato con professoressa Elena Canadelli

Barnabas Daru ha raccontato a Pikaia

Quello che mi ha sorpreso di più è stato il ruolo dell’impollinazione: nei campioni d’erbario anche il nettare, una volta essiccato, si cristallizza senza deteriorarsi. Reidratarlo e analizzarlo ci permette di risalire ai tipi di impollinatori – api, colibrì, farfalle – che avevano visitato quelle piante decenni o persino un secolo fa.”

Nel loro articolo, Barnabas Daru e Daniel Zhigila mostrano come gli erbari possano essere utilizzati per ricostruire la storia delle interazioni tra piante e altri organismi. Non si tratta soltanto di studiare le forme o la distribuzione geografica delle specie, ma di osservare i segni lasciati da processi ecologici: fori e rosure sulle foglie che testimoniano l’attività di insetti erbivori, pollini sui petali che raccontano antichi incontri con impollinatori, tracce di funghi o batteri conservate nei tessuti vegetali, fino alla documentazione di specie invasive raccolte accanto a quelle native. Grazie a questi indizi, un esemplare d’erbario diventa una finestra sulle relazioni che legano piante, animali e microrganismi.

Come spiega Barnabas Daru:

Abbiamo iniziato a usare gli erbari come vere e proprie capsule del tempo genomiche: da tessuti vegetali raccolti nell’ultimo secolo siamo riusciti a recuperare DNA di funghi endofiti, per capire come le relazioni tra piante e microrganismi si siano modificate nel tempo e sotto la pressione dei cambiamenti climatici.

Il paper evidenzia come nuove tecnologie stiano ampliando enormemente le possibilità di ricerca. Le analisi genetiche del DNA degradato permettono di identificare insetti o patogeni associati a campioni vecchi di secoli, mentre l’imaging digitale e l’intelligenza artificiale consentono non solo di quantificare automaticamente i danni causati dagli erbivori, ma anche di misurare tratti funzionali delle piante, come dimensioni e forma delle foglie, spessore o presenza di peli, caratteristiche di fiori e frutti, che riflettono adattamenti ecologici e risposte ai cambiamenti ambientali. Tutti questi dati hanno un valore particolare in un contesto di cambiamento climatico: confrontando il presente con i dati storici è possibile capire come le reti ecologiche si stiano trasformando. Per esempio, come le fioriture non sempre coincidono più con i cicli vitali degli insetti, o come le specie invasive riescano ad adattarsi più rapidamente delle native.

La principale difficoltà è che gli erbari non erano stati creati con queste nuove finalità ecologiche: i dati che contengono sono pieni di rumori, come bias di raccolta o degrado dei campioni. È un po’ come cercare un ago in un pagliaio, ma quando si trova l’ago la soddisfazione è enorme”, ci ha detto il Dott. Daru.

L’integrazione fra erbari, nuove tecnologie e approcci interdisciplinari sta già trasformando il modo in cui studiamo le relazioni ecologiche. Analizzare DNA antico, dati di fenologia, tracce di impollinatori e patogeni consentono non solo di ricostruire le interazioni del passato, ma anche di comprendere come si stiano modificando nel presente e come potrebbero evolvere in futuro. In questo senso, gli erbari diventano un ponte tra epoche diverse: archivi indispensabili per leggere nelle piante non soltanto la storia della biodiversità, ma anche le chiavi per affrontare le sfide del cambiamento climatico.

Riferimenti:

Daru, B. H., & Zhigila, D. A. (2025). Unlocking historical plant interactions in herbarium collections. Nature Reviews Biodiversity, 1–17. https://doi.org/10.1038/s44358-025-00071-8

Immagine in apertura: esemplari dell’erbario Webb, custodito a Firenze e di recente digitalizzato