Evoluzione amazzonica. Allopatrica, ma non troppo

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L’immensa ricchezza di specie della foresta pluviale Sudamericana è, con ogni probabilità, la conseguenza della recente comparsa di barriere geofisiche, come l’innalzamento delle Ande o la nascita del Rio delle Amazzoni. Ma invece di produrre nuove specie dividendo in modo irreversibile le popolazioni preesistenti, come ritenuto finora, queste barriere naturali sembrano rallentare il flusso di geni funzionando come ostacoli parziali all’espansione delle popolazioni



La ricchezza di forme di vita della foresta amazzonica è ritenuta da sempre l’effetto delle particolari conformazioni geofisiche che caratterizzano il continente sudamericano. Un’immensa catena montuosa come quella delle Ande lo divide da nord a sud creando habitat di tipo alpino e prealpino. L’effetto delle montagne sulle precipitazioni rende umida e lussureggiante la parte esposta all’Oceano Atlantico, mentre quella pacifica è secca fino a presentare a tratti le caratteristiche di un deserto. La parte umida amazzonica, poi, è tagliata da fiumi di grandissima portata; che con la loro rete di affluenti frazionano il territorio in una miriade di piccole aree caratterizzate ciascuna da condizioni chimiche e fisiche peculiari. L’immensa varietà di forme di vita che si possono trovare in questa parte di mondo sembra allora del tutto normale.

Come un coltello
Se è chiaro il cosa, non è invece altrettanto chiaro il come: fino a poco tempo addietro era stato dato per scontato che il meccanismo di formazione della pletora di specie propria del Sudamerica fosse un’evoluzione di tipo allopatrico avvenuta nella sua forma più semplice: popolazioni distribuite su tutto un territorio vengono completamente divise dalla comparsa di una barriera geografica. Il flusso genetico tra le due popolazioni è interrotto e le due popolazioni diventano di fatto due specie diverse.

Tempo e spazio
Per avere un quadro più chiaro dei percorsi evolutivi avvenuti in Sud America Brian Tilston Smith e colleghi, in una collaborazione tra università statunitensi e sudamericane, ha ricostruito una mappa filogenetica di 27 linee di uccelli del sud e del centro America esaminando i dati genetici di 2500 individui provenienti da quest’area geografica. I risultati della ricerca sono stati pubblicati come breve comunicazione sulla rivista Nature.

Successivi, ma non sincroni
I risultati della ricerca smentiscono, almeno parzialmente, l’idea di un’evoluzione allopatrica. Anche se molte delle diramazioni nel percorso che ha portato alle 27 linee attuali si sono verificate dopo la comparsa di una barriera geofisica, esse sono avvenute indipendentemente e in momenti diversi nelle differenti linee. Quindi, se pure le barriera hanno avuto un ruolo nel dividere le popolazioni, il meccanismo tramite cui hanno agito è stato quantomeno indiretto.

Più lungo il tronco, più numerosi i rami
Per cercare di chiarire il meccanismo messo in atto dalle barriere geofisiche, gli autori della ricerca hanno confrontato la storia filogenetica delle 27 linee con quattro possibili variabili: l’età complessiva di una linea, la sua area ancestrale d’origine, lo strato di foraggiamento delle specie appartenenti alla linea (dato estremamente importante in habitat stratificati come le foreste pluviali) e ampiezza delle nicchie ecologiche attualmente occupate dai membri della linea. Ne è risultata una chiara correlazione tra le diramazioni delle linee evolutive e la loro età complessiva.

Ostacoli difficili, ma non impossibili 
Per giustificare i risultati ottenuti gli autori hanno ipotizzato che un ostacolo geofisico, come una montagna o un grande fiume, non costituisca una barriera insormontabile. Se una popolazione sopravvive su un lato della barriera per un tempo sufficiente, è probabile che prima o poi un numero di individui sufficienti a formare una popolazione nuova la superi. Dal momento che lo scambio di geni con la popolazione madre è difficoltosa, anche se non impossibile, col tempo le popolazioni finiscono per formare due specie separate.

Quanto voli alto?
Un’altra variabile fortemente legata alla probabilità di ramificarsi di una linea filogenetica, rilevata dagli autori dell’articolo, è quella relativa allo strato della foresta pluviale in cui è situata la nicchia propria di una specie. Le linee evolutive le cui specie occupano prevalentemente la volta della foresta tendono a ramificarsi molto meno di quelle che vivono in strati più bassi; ma questo avviene per un motivo opposto rispetto a quanto succede nelle linee con una durata temporale più breve: in una linea che dura poco tempo, pochi individui hanno la possibilità di superare le barriere geofisiche per fondare nuove popolazioni. Gli individui delle specie che vivono nella volta hanno invece la capacità, o la necessità, di spostarsi per distanze più lunghe di quanto fanno quelli che vivono in strati più profondi. Queste specie possono quindi oltrepassare con relativa facilità quella che per altre è una barriera geografica insormontabile. In queste condizioni il flusso genico, tra le popolazioni che vivono ai lati della barriera, non cala mai tanto da farne due specie distinte.

Una distinzione non netta
Simpatrica e allopatrica sono spesso considerati meccanismi di evoluzione alternativi e distinti, con la prima chiamata in causa quando non è possibile stabilire un agente fisico esterno che abbia diviso in due una popolazione. Ma la vita non è così facile da fermare e la speciazione allopatrica, nella sua definizione originale, sembra essere più un caso estremo che la norma. In tutti gli altri casi, anche quando un ostacolo geografico è un contributo importante alla nascita di una nuova specie, esso rimane comunque solo un ingrediente in una ricetta unica, con elementi sia simpatrici che allopatrici, nella storia evolutiva di quella specie.

Daniele Paulis


Riferimenti:
Smith BT, McCormack JE, Cuervo AM, Hickerson MJ, Aleixo A, Cadena CD, Pérez-Emán J, Burney CW, Xie X, Harvey MG, Faircloth BC, Glenn TC, Derryberry EP, Prejean J, Fields S, Brumfield RT. The drivers of tropical speciation. Nature. 515(7527):406-9. 

Credit: Image of Mike Hankey