Le domande irrisolte dell’evoluzione. Qual è l’origine della vita?
Come si può definire il fenomeno della vita? In che modo si è verificato il passaggio dal mondo inorganico agli organismi viventi? E qual è l’ultimo antenato comune di tutti gli esseri viventi? Sofia Belardinelli (il Bo Live) lo ha chiesto al biologo molecolare Ernesto Di Mauro
Cos’è la vita? Una questione aperta
“Un sistema chimico auto-alimentato capace di evoluzione darwiniana” (A self-sustaining chemical system capable of Darwinian evolution): questa è la definizione del fenomeno della vita elaborata dalla divisione di Astrobiologia della NASA, nell’ambito del noto programma di ricerca che si occupa di individuare segnali dell’esistenza di possibili forme di vita al di fuori del nostro pianeta.
Definire cosa sia la vita è un esercizio tanto difficile quanto ancora irrisolto: la definizione della NASA, infatti, è solo una delle moltissime proposte avanzate nel corso degli anni dagli studiosi. Tra le tante, ve n’è una che Ernesto Di Mauro – biologo, già docente di Biologia Molecolare all’università La Sapienza di Roma, che ci guida fra i temi legati a questa domanda irrisolta dell’evoluzione – ritiene particolarmente valida.
È la proposta avanzata da Edward Trifonov, biofisico israeliano di origini russe, la cui proposta si fonda su un’accurata analisi linguistica di tutte le 123 definizioni del fenomeno della vita ad oggi esistenti. Valutando i termini più ricorrenti nel tentativo di descrivere la vita, Trifonov è giunto a formulare una meta-definizione – la più corretta dal punto di vista logico, secondo Ernesto Di Mauro – secondo cui “la vita è auto-riproduzione con variazioni” (Life is self-reproduction with variations).
«Stando alla definizione di Trifonov – spiega Di Mauro – la vita è un processo di complessità variabile che si riproduce in base a un’informazione, ed è capace di modificarsi se il sistema si modifica. Questa definizione, tuttavia, può essere applicata sia gli organismi viventi sia a molte altre entità: alla mente di un computer, all’evoluzione di una galassia, a un sistema disordinato che ha al proprio interno un ordine termodinamico. In ultima analisi, dobbiamo ammettere che una definizione univoca di cosa sia la vita non esiste: si tratta di un fenomeno che possiamo descrivere secondo la nostra esperienza, ma che non possiamo definire».
L’intervista completa a Ernesto Di Mauro. Servizio di Sofia Belardinelli, montaggio di Barbara Paknazar
È nato prima l’uovo o la gallina?
Legato alla questione di cosa sia la vita vi è, poi, un altro mistero: quello relativo a come si siano potuti originare, sulla Terra, sistemi viventi a partire dalla materia inorganica. Si ritiene che le prime forme viventi possano essere comparse circa 3,9 miliardi di anni fa: l’abiogenesi – la formazione, a partire dalla materia inorganica, di organismi viventi – si verificò in un pianeta molto giovane, in cui il clima e l’ambiente erano ben diversi da quelli che conosciamo oggi.
«Se prendiamo come punto di partenza la definizione della vita fornita da Trifonov, secondo cui è vivente un sistema caratterizzato da una serie di reazioni chimiche che si riproducono uguali a sé stesse e con possibilità di variazione, e vi aggiungiamo il fatto che tale capacità di riproduzione dipende dagli acidi nucleici – il DNA e l’RNA, la sua forma più semplice –, ne deriva che, per comprendere come si sia originata la vita, dobbiamo individuare l’origine degli acidi nucleici e dei sistemi ad essi ancillari, cioè quei sistemi proteici in grado di raccogliere energia e di impiegarla per creare filamenti di DNA o RNA.
Il DNA, il portatore dell’informazione che è alla base della vita, è allora il genotipo, il quale specifica un fenotipo che, allo stadio più elementare, è costituito essenzialmente dalla struttura cellulare. Quest’ultima, a sua volta, ha come unico scopo la riproduzione del DNA stesso. Si crea così un circolo del quale sembra impossibile individuare l’inizio: l’informazione genera una struttura che si riproduce per generare informazione. Per uscire da questo corto circuito – suggerisce il professore – bisogna indagare tanto l’origine del DNA quanto delle proteine e delle membrane che contengono e che organizzano il DNA stesso. E verosimilmente la ricerca è meno complessa di quanto si immagini: la chiave consiste nell’individuare quei pochi, semplici principi dai quali possono essere emersi tanto il genotipo, il DNA, quanto il fenotipo, le proteine».
È quanto venne realizzato da Stanley Miller e Harold Urey nel loro celebre esperimento mirante a ricreare in ambiente controllato le condizioni della Terra primordiale: «Sottoponendo un’ipotetica atmosfera primordiale, composta da sostanze semplici come quelle a un atomo di carbonio o un atomo di idrogeno, a forti scariche di energia, Miller e Urey assistettero alla formazione spontanea di aminoacidi. Replicando l’esperimento negli anni successivi, è stato verificato che, a partire da sostanze semplicissime (come anidride carbonica, monossido di carbonio, acqua, metano, ammoniaca), si possono formare sia aminoacidi che basi nucleiche».
Caso e necessità
«Bastano sostanze molto semplici ed energia molto semplice, dunque», commenta il professore. «A fare la differenza è l’ambiente nel quale queste reazioni chimiche primordiali avvengono. A parità di condizioni iniziali, quel che è accaduto sulla Terra avrebbe potuto verificarsi su un altro pianeta con esiti del tutto diversi».
Le condizioni ambientali sono state fondamentali nel determinare anche il percorso successivo dell’evoluzione della vita sulla Terra. Dopo quel misterioso inizio, quasi 4 miliardi di anni fa, sembra esservi stata una strana quiete per un tempo lunghissimo: i più antichi resti di forme di vita pluricellulari, infatti, risalgono a non meno di 1,2 miliardi di anni fa.
Ma perché la vita ha avuto bisogno di così tanto tempo per evolvere una maggiore complessità?
«Ancora una volta, per rispondere a questa domanda è essenziale considerare l’ambiente in cui la vita è sorta», risponde Di Mauro. «Date le specifiche condizioni ambientali del pianeta Terra, la storia della vita non poteva che andare così: data una certa quantità di materia e una certa quantità di energia, la qualità e la velocità delle reazioni chimiche non potevano essere diverse da quanto si è effettivamente verificato. Non dobbiamo quindi stupirci del fatto che l’evoluzione di forme di vita complesse abbia richiesto miliardi di anni; dobbiamo piuttosto meravigliarci della nostra stessa meraviglia».
Sulla Terra, la vita ha potuto raggiungere l’attuale, strabiliante livello di complessità proprio perché ospitata all’interno di un sistema complesso qual è il nostro pianeta: «La vita sulla terra ha iniziato a divenire più complessa grazie alla progressiva emersione di nuove proprietà: questo fenomeno – la comparsa degli organismi multicellulari, in primo luogo – non si sarebbe potuto verificare in un sistema meno complesso di quello terrestre. Gli elementi che sono alla base della chimica della vita sono presenti in ogni angolo dell’universo: potenzialmente, la vita potrebbe sorgere ovunque. Eppure, tutto dipende dalla complessità del sistema».
L’Ultimo Antenato Comune Universale: un’utopia?
Molte sono ancora le incognite sui primi stadi della vita. Uno dei tanti nodi irrisolti riguarda l’Adamo di tutti i viventi: quale organismo potrebbe essere indicato come progenitore di tutta la pluralità di forme di vita che si sono avvicendate sulla Terra? Anche in questo campo, ampie ricerche sono svolte dagli astrobiologi della NASA: il Last Universal Common Ancestor (LUCA) potrebbe essere stato un microrganismo, probabilmente estremofilo, il cui metabolismo dipendeva da sostanze come idrogeno, azoto, anidride carbonica, che sarebbe alla base del grande albero filogenetico della vita, prima della separazione tra i regni di Archea, Bacteria ed Eucarya.
«In realtà, oggi sappiamo che il concetto è solo parzialmente corretto: probabilmente non è mai esistito un unico LUCA, ma tanti possibili “ultimi antenati comuni”», commenta Ernesto Di Mauro. «LUCA doveva essere un organismo in grado di creare informazione, cioè acidi nucleici, attraverso l’immagazzinamento di energia. Poiché sulla Terra le fonti di energia disponibili sono diverse, è probabile che i LUCA siano stati tanti: varie strategie alternative di eterotrofia, diversi modi di raccogliere energia dall’ambiente e di immagazzinarla per poi creare informazione.
L’ipotesi più probabile, dunque, è che vi siano state molte forme alternative in competizione tra loro, con scambio orizzontale di informazione genetica. Dopo il Last Universal Common Ancestor, infatti, la vita si è sviluppata in una serie di strutture caratterizzate da processi ben definiti, portatori di informazione genetica complessa: tra l’ultimo antenato comune e i suoi discendenti deve esservi stata, dunque, una progressiva specializzazione delle strutture biochimiche degli organismi.
Questa pluralità di soluzioni è ancora oggi alla base della vita. Pensiamo ai mitocondri che albergano nelle nostre cellule: si tratta, come ha dimostrato Lynn Margulis, di strutture procariotiche integratesi in altre strutture procariotiche. E questa simbiosi si è verificata probabilmente in molti altri casi.
La vita ha mantenuto una struttura estremamente complessa, in cui i confini sono labili: non siamo un albero evolutivo, ma una serie di arbusti evolutivi in cooperazione tra loro. Non c’è nulla di univoco e di puro nelle strutture naturali che conosciamo: per questo possiamo concludere, a maggior ragione, che neppure LUCA sia stato puro».