Famiglia, bellezza e pace negli “Animali non umani” di Carl Safina

Copertina Animali non umani (Adelphi, 2022)

La cultura è la trama su cui poggia il racconto dell’incontro con capodogli, are e scimpanzé intessuto da Carl Safina nel suo ultimo libro “Animali non umani” (Adelphi, 2022).

Titolo: Animali non umani
Autore: Carl Safina
Traduzione: Isabella C. Blum
Editore: Adelphi
Anno: 2022
Pagine: 565
Isbn: 9788845937033

Cosa accomuna i capodogli dei Caraibi, le are dell’Amazzonia e gli scimpanzé dell’Uganda? Spiando la loro vita attraverso lo sguardo e le parole di Carl Safina, biologo e scrittore, nel suo ultimo libro “Animali non umani”, pubblicato da Adelphi, scopriamo che è la cultura a unire queste esistenze, apparentemente tanto diverse tra loro. Le loro vite, pagina dopo pagina, si avvicinano sempre più alla nostra, fino incarnare un’aspirazione, esempi a cui guardare per imparare a vivere sul nostro Pianeta. Becoming wild, diventare selvatici, come recita il titolo originale dell’opera.

La cultura tra gli animali non umani
La cultura animale è la trama su cui regge il racconto di Safina. La cultura può essere definita, dal punto di vista biologico, come l’informazione acquisita da membri di una specie attraverso l’apprendimento sociale. Questo darà luogo a comportamenti simili, appresi, in individui diversi della stessa popolazione. Gli animali non umani, così come quelli umani, presentano comportamenti innati e comportamenti appresi. Quest’ultimi, nei casi di apprendimento sociale, divengono abitudini, tradizioni e culture.
In tutte le forme di vita animale presenti sulla Terra, conoscenze e informazioni apprese si sovrappongono all’arazzo dei geni in misura decisamente superiore a quanto gli esseri umani abbiano finora compreso. L’apprendimento sociale ha luogo tutt’attorno a noi, ma è un processo discreto: occorre un’osservazione attenta e prolungata”.

Sono proprio le osservazioni dell’autore a guidarci nelle culture dei capodogli (Physeter macrocephalus), degli ara (Ara spp.) e degli scimpanzé (Pan troglodytes). Attraverso i suoi occhi capiamo che la cultura – lungi da essere prerogativa umana – è identità, è appartenenza, è la risposta alla domanda “Come possiamo sopravvivere qui?”. Una risposta che può infrangersi in tanti frammenti quante sono le sfide che un habitat può celare.

La cultura come forza evolutiva
Per rispondere alla domanda “Come possiamo sopravvivere qui?”, gli animali potrebbero sviluppare un livello così alto di specializzazione da portarli addirittura a evolversi. L’autore ipotizza in maniera audace che esista una selezione culturale che, insieme alla selezione naturale e sessuale, sia in grado di dare origine a nuove specie. Potrebbe essere il caso dei ciclidi, esempio citato da Safina e tratto da una conversazione privata con Melanie Stiassny, Axelrod Research Curator del Dipartimento di Ittiologia presso l’American Museum of Natural History e professoressa a contratto per la Columbia University. Questi pesci si prendono a lungo cura della loro prole. Sembrerebbe che, con il tempo e attraverso una forma di apprendimento basato sull'”imprinting”, gli individui possano arrivare a preferire uno specifico habitat o una particolare colorazione delle squame del partner, tanto da essere indotti ad accoppiamenti preferenziali. Generazione dopo generazione, la differenza tra gruppi, adattati a habitat diversi o selezionati da una differente scelta di colorazione, sarebbe tale da dare vita a nuove specie, anche in assenza di barriere geografiche.

Varcare l’orizzonte della cultura, quindi, significa oltrepassare una soglia davvero importante: un passo che ha comportato grandi conseguenze in termini evolutivi. Il mondo cambia gli esseri viventi; a volte lo fa così che essi possano a loro volta cambiare il mondo”.


Becoming wild
Navigando attraverso le osservazioni e gli studi scientifici c’è qualcosa che colpisce profondamente chi legge. Tra le pagine di quest’opera è inevitabile specchiarsi nelle culture di questi animali, si percepisce un legame, una sovrapposizione che riesce a fare breccia nella nostra emotività. Impossibile non guardare alle famiglie di capodogli, ai loro clan definiti dai diversi “dialetti”, alla loro cura verso i più piccoli, alla strenua difesa di chi è parte del gruppo, senza riconoscervi i nostri stessi afflati. È stupefacente pensare che vi sia una tensione verso il Bello che pervade la Natura intera, che tutti gli esseri viventi riconoscono come tale, e che esplode nei colori delle livree e nelle armonie dei canti degli uccelli. Inquieta riflettersi nelle sottili strategie di sottomissione, negli stili di leadership, nella violenza inaudita e nella dolcezza commovente degli scimpanzé.
Come scrive Carl Safina c’è, però, qualcosa che ci allontana dagli altri animali: cetacei, uccelli, scimmie antropomorfe sono all’altezza di ciò che sono predisposti a fare. Essi, semplicemente, sono. Questo a Homo sapiens non basta. La nostra insoddisfazione, la nostra incapacità di godere di tutto ciò che c’è da amare e conoscere sul nostro Pianeta, ci ha portati sin qui.

Il mondo che ci ha resi possibili – noi lo stiamo rendendo impossibile”.

La soluzione, come suggerisce il titolo originale del libro, potrebbe essere “diventare selvatici” e ricominciare imparando dai capodogli come crescere una famiglia, dagli uccelli come creare bellezza e dagli scimpanzé in che modo raggiungere la pace.