Filosofia della biologia, stile iberoamericano
Dal 28 al 30 dicembre scorsi si è tenuto il convegno di fondazione dell’Associazione Iberoamericana di Filosofia della Biologia. Sul loro sito sono disponibili il programma e gli atti integrali del convegno che è stato di alto livello internazionale, dimostrando che i nostri vicini spagnoli, insieme ai sudamericani e mesoamericani, nei prossimi anni faranno sentire le loro idee sul presente, […]
Dal 28 al 30 dicembre scorsi si è tenuto il convegno di fondazione dell’Associazione Iberoamericana di Filosofia della Biologia. Sul loro sito sono disponibili il programma e gli atti integrali del convegno che è stato di alto livello internazionale, dimostrando che i nostri vicini spagnoli, insieme ai sudamericani e mesoamericani, nei prossimi anni faranno sentire le loro idee sul presente, sul futuro, sulla storia e sulle implicazioni delle scienze della vita. A Pikaia e a tutti gli studiosi e gli appassionati il compito di seguire cosa succederà, e di impegnarsi ancora di più per approfondire la conoscenza e la riflessione, per contribuire con il nostro pensiero al dibattito culturale.
Per iniziare, segnaliamo l’opera di un importante studioso spagnolo, Carlos Castrodeza, sconosciuto in Italia ma molto interessante. Castrodeza è scomparso quest’anno a 67 anni. Una delle tavole rotonde del convegno di Valencia è stata dedicata alla celebrazione della sua opera. Traduciamo qui il contributo del prof. Antonio Diéguez, Dipartimento di Filosofia, Università di Malaga, con la speranza che possa invogliare molti a intraprendere questa conoscenza.
Carlos Castrodeza: dalla filosofia della biologia alla biologia della filosofia
di Antonio Diéguez
Lo scorso mese di aprile ci lasciava per sempre, alla precoce età si 67 anni, il nostro ammirato compagno Carlos Castrodeza, che fu professore di filosofia della scienza per quasi trent’anni all’Università Complutense di Madrid. Conobbi Carlos diversi anni fa, in circostanze accademiche non molto gradevoli. Immediatamente fui catturato dal suo straordinario e a volte sottile senso dell’umorismo; il senso dell’humor che mancherà di più ai suoi amici e che contribuiva sempre, come accadde in quella occasione, ad addolcire i momenti difficili.
Carlos Castrodeza è stato senza dubbio uno dei filosofi della biologia più importanti dell’ambito culturale di lingua spagnola. L’originalità e la radicalità della sua opera hanno fatto di essa un riferimento obbligato per tutti coloro che si dedicano a questo campo. La sua proposta più personale è costituita dallo sviluppo di una biologia della filosofia e, in generale, di una biologia della conoscenza, che può intendersi in diversi modi, ma più in particolare come l’applicazione delle tesi evoluzionistiche alla spiegazione dell’adesione a determinate idee intese come strategie adattative. La proposta ha dimostrato, nei suoi ultimi libri, di essere una linea di ricerca promettente, feconda dello sbocciare di una teoria della “ragione biologica”. Carlos Castrodeza seppe fare del darwinismo un principio interpretativo applicabile alla storia e alla cultura umana tutte. Tuttavia, essendo uno di più profondi conoscitori del pensiero e dell’opera di Darwin, era anche molto lontano dall’essere un ammiratore spassionato e acritico del naturalista inglese. Tutto il contrario: quasi più forte della sua adesione alle categorie darwiniane come chiavi euristiche della nostra condotta, egli rifiutava quello che soleva definire “agiografia anglosassone” che circonda sempre senza pudore il personaggio, e che contribuisce secondo Castrodeza ad occultare il vero Darwin sostituendolo con una figua ieratica, intoccabile e quasi inintelligibile.
Lessi per la prima volta un libro di Castrodeza prima di conoscerlo personalmente, e quando non avevo neanche la più remota idea che la filosofia della biologia si sarebbe trasformata in un’area tanto interessante per me. Il libro era Ortodoxia Darwiniana y Progreso Biológico (Madrid, Alianza, 1988). Si tratta di uno studio esaustivo ed erudito sulla nozione di progresso evolutivo e sul suo possibile legame con la teoria neodarwiniana. Nel libro si segnala e si spiega l’ambiguità che ha accompagnato questa nozione: da una parte l’ortodossia darwiniana obbliga a negare che l’evoluzione generi alcun tipo di progresso; dall’altra, l’inclinazione tra gli scienziati a difendere il fatto che, tutto sommato, questo progresso sia avvenuto, e qualche meta sia stata raggiunta nella storia della vita (la meta varia grandemente secondo i casi, ma suole essere identificata con l’aumento della complessità). Con l’occasione di analizzare questo problema, Castrodeza affronta questioni centrali in filosofia della biologia, come la definizione stessa di “progresso” e gli aspetti ideologici che a questa nozione soggiacciono, o lo stuatuto scientifico della teoria dell’evoluzione.
Poco dopo aver fatto amicizia con lui, lessi il suo Teoría Histórica de la Selecció Natural (Madrid, Alhambra, 1988), una copia che egli stesso mi regalò e mi dedicò, cosa che mi spinse ad andare avanti con tutti gli altri suoi libri. In certa misura questa opera fu la prima a svegliare in me l’interesse per la filsofia della biologia, e più in particolare per la teoria dell’evoluzione. Qui Castrodeza dispiega in maniera impressionante tutto il suo sapere storico su Darwin e sul darwinismo. Non solo ricostruisce minuziosamente la gestazione delle idee di Darwin nel suo contesto sociale e culturale – rifuggendo, come si è detto, un’agiografia strumentale – ma introduce commenti rivelatori circa il modo in cui questa ricostruzione storica sia stata fatta per gli storici, e i vizi di cui ha sofferto. Come afferma nella prefazione, “l’obiettivo è poter comprovare fino a che punto le sue preoccupazioni [quelle di Darwin] erano quelle del suo tempo e luogo, e vedere altresì fino a che punto l’originalità di un autore dipende dalle concezioni del suo contesto”. Questo libro e il precedente meritarono a tempo debito una rassegna lusinghiera dello storico della scienza e della tecnica Thomas Glick su Biology and Philosophy (vol. 7, 1992).
Tuttavia i suoi contributi filosofici fondamentali sono nelle sue opere successive. Nel 1999 pubblica Razón Biológica: La Base Evolucionista del Pensamiento (Madrid: Minerva), nel quale dà una svolta importante a suo pensiero che fino ad allora aveva avuto un impianto fondamentalmente storiografico: si dirige, con una valenza che lo caratterizzerà da quel momento in poi, a trarre conseguenze filosofiche radicali dall’assunzione della visione del mondo proposta dal darwinismo contemporaneo. Castrodeza ci ammonisce in questo libro a prendere Darwin più seramente di quanto lo abbiano preso altri, come Michael Ruse nel suo famoso libro (Taking Darwin Seriously, 1998, ndt). Il filo conduttore del libro è la contrapposizione tra “accidentalismo” ed “essenzialismo” come posizioni filosofiche e vitali di carattere generale. L’accidentalismo è l’idea secondo la quale “l’animale umano sarebbe il risultato di un accidente organico”. Al contrario, l’essenzialista sostiene che “l’essere umano, in qualche modo, si differenzia dal resto degli organismi per qualcosa di essenziale” (p. 13). L’essenzialista pertanto sarebbe un difensore di quello che si conosce come “salto ontologico” tra esseri umani ed animali, mentre l’accidentalista sarebbe il darwinista coerente. Però Castrodeza sostiene che anche un essenzialismo coerente e senza esitazioni debba fare i conti con il rifiuto di cinque tesi che godono di ampia diffusione. Le tesi che si devono abbandonare sono le seguenti:
1) a differenza di quanto accade nel mondo naturale, in cui l’evoluzione non significa progresso, nel mondo culturale e specialmente in quello scientifico e tecnologico esiste un progresso costante (verso la verità o verso una una comprensione sempre migliore della realtà oggettiva) che separa l’uomo definitivamente dalla base naturale rappresentata dall’evoluzione biologica.
2) L’intelligenza umana è un fattore acquisito per sempre e pertanto non può essere persa.
3) L’essere umano deve opporre un’etica propria alla “etica” brutale della sopravvivenza del più adatto.
4) La separazione tra cultura scientifica e cultura umanistica (il problema delle due culture) obbedisce solo a ragioni proprie dello sviluppo culturale.
5) La “civiltà occidentale” presenta peculiarità che la posizionano come qualcosa di speciale nella storia della specie umana; in particolare, ha permesso come nessun’altra di liberare l’essere umano dalla suo “asservimento biologico”.
Ognuno dei cinque capitoli del libro si occupa di presentare e discutere la debolezza di queste tesi, offrendo una speciale penetranza critica riguardo alla prima tesi che, non a caso, è quella che sostiene le altre.
Queste idee si svilupparono ulteriormente in Los Límites de la Historia Natural. Hacia Una Nueva Biología del Conocimiento (Madrid, Aka, 2003), La Marsopa de Heigegger. El Lugar de la Ciencia en la Cultura Actual (Madrid, Dickinson, 2003) e soprattutto Nihilismo y Supervivencia: Una Expresión Naturalista de lo Inefable (Madrid, Trotta, 2007). In queste ultime due opere, Castrodeza connette la sua preoccupazione per la base biologica della culura uamana con la filosofia di Heidegger e con il problema del nichilismo, che diverrà a partire da questo momento un asse centrale del suo pensiero. È così, per esempio, che descrive in questo momento la nostra condizione umana:
Le conseguenze della naturalizzazione della nostra visione del mondo che implica l’adozione del darwinismo sono ineludibili, ma anche dolorose:
Il processo di darwinizazione del mondo è il passo più recente di un cammino di naturalizzazione il cui primo movimento fu la meccanizzazione del mondo iniziata con la scienza moderna nel Rinascimento, portata al suo estremo dal Positivismo Logico nella prima metà del ventesimo secolo. Quello che non seppero vedere i positivisti è che questo processo di naturalizzazione, dopo l’incorporazione di Darwin, conduce alla situazione descritta dal secondo Heidegger molto più lucidamente. Heidegger seppe vedere come nessun altro quale fu il punto di partenza del natutralismo e quale sia il suo sbocco nel nostro tempo, il tempo della scienza e della tecnica, il tempo che egli chiamava “dell’immagine del mondo”. Questo risultato finale non è altro che il nichilismo. Al darwinista coerente – e in questo può riassumersi l’idea centrale del libro che abbiamo commentato – non ci è altra via d’uscita che il nichilismo. Alla fine e al principio, tutti i correlati giustificatori che permisero in passato di scappare da questa conclusione si sono rivelati letteralmente incredibili, come segnalerà Lyotard, salvo il fatto che solo da una prospettiva darwinista potrebbero essere visti come mere strategie culturali di adattamento all’ambiente; come d’altra parte, per amore di coerenza, deve essere visto il darwinismo stesso.
In questi ultimi anni non l’affetto e l’ammirazione che sentivo per Carlos, così come l’interesse per la sua opera, non hanno fatto che crescere. Pubblicai alcune recensioni dei suoi libri e lui, in un gesto che gradii enormemente, ne pubblicò alcune sui miei. La sua perspicacia e bontà erano riflesse perfettamente in esse. Ho l’onore di dire che uno dei suoi ultimi lavori che verranno pubblicati è il contributo, breve ma sostanzioso, che scrisse per il libro Naturaleza Animal, Naturaleza Humana, che ho coordinato con José Maria Atencia per l’editore Biblioteca Nueva. Continueremo, senza alcun dubbio, a dialogare con lui.
—
Antonio Diéguez (2012), in Antonio Diéguez, Vicente Claramonte, Jesús Alcolea, Gustavo Caponi, Arantza Etxeberría, Pablo Lorenzano, Alfredo Marcos, Jorge Martínez-Contreras, Alejandro Rosas, eds. I Congreso de la Asociación Iberoamericana de Filosofía de la Biología, Publicacions de la Universitat de València, pp. 398-403. ISBN 978-84-370-9040-5
Traduzione (con permesso dell’autore) e introduzione di Emanuele Serrelli
Per iniziare, segnaliamo l’opera di un importante studioso spagnolo, Carlos Castrodeza, sconosciuto in Italia ma molto interessante. Castrodeza è scomparso quest’anno a 67 anni. Una delle tavole rotonde del convegno di Valencia è stata dedicata alla celebrazione della sua opera. Traduciamo qui il contributo del prof. Antonio Diéguez, Dipartimento di Filosofia, Università di Malaga, con la speranza che possa invogliare molti a intraprendere questa conoscenza.
Carlos Castrodeza: dalla filosofia della biologia alla biologia della filosofia
di Antonio Diéguez
Lo scorso mese di aprile ci lasciava per sempre, alla precoce età si 67 anni, il nostro ammirato compagno Carlos Castrodeza, che fu professore di filosofia della scienza per quasi trent’anni all’Università Complutense di Madrid. Conobbi Carlos diversi anni fa, in circostanze accademiche non molto gradevoli. Immediatamente fui catturato dal suo straordinario e a volte sottile senso dell’umorismo; il senso dell’humor che mancherà di più ai suoi amici e che contribuiva sempre, come accadde in quella occasione, ad addolcire i momenti difficili.
Carlos Castrodeza è stato senza dubbio uno dei filosofi della biologia più importanti dell’ambito culturale di lingua spagnola. L’originalità e la radicalità della sua opera hanno fatto di essa un riferimento obbligato per tutti coloro che si dedicano a questo campo. La sua proposta più personale è costituita dallo sviluppo di una biologia della filosofia e, in generale, di una biologia della conoscenza, che può intendersi in diversi modi, ma più in particolare come l’applicazione delle tesi evoluzionistiche alla spiegazione dell’adesione a determinate idee intese come strategie adattative. La proposta ha dimostrato, nei suoi ultimi libri, di essere una linea di ricerca promettente, feconda dello sbocciare di una teoria della “ragione biologica”. Carlos Castrodeza seppe fare del darwinismo un principio interpretativo applicabile alla storia e alla cultura umana tutte. Tuttavia, essendo uno di più profondi conoscitori del pensiero e dell’opera di Darwin, era anche molto lontano dall’essere un ammiratore spassionato e acritico del naturalista inglese. Tutto il contrario: quasi più forte della sua adesione alle categorie darwiniane come chiavi euristiche della nostra condotta, egli rifiutava quello che soleva definire “agiografia anglosassone” che circonda sempre senza pudore il personaggio, e che contribuisce secondo Castrodeza ad occultare il vero Darwin sostituendolo con una figua ieratica, intoccabile e quasi inintelligibile.
Lessi per la prima volta un libro di Castrodeza prima di conoscerlo personalmente, e quando non avevo neanche la più remota idea che la filosofia della biologia si sarebbe trasformata in un’area tanto interessante per me. Il libro era Ortodoxia Darwiniana y Progreso Biológico (Madrid, Alianza, 1988). Si tratta di uno studio esaustivo ed erudito sulla nozione di progresso evolutivo e sul suo possibile legame con la teoria neodarwiniana. Nel libro si segnala e si spiega l’ambiguità che ha accompagnato questa nozione: da una parte l’ortodossia darwiniana obbliga a negare che l’evoluzione generi alcun tipo di progresso; dall’altra, l’inclinazione tra gli scienziati a difendere il fatto che, tutto sommato, questo progresso sia avvenuto, e qualche meta sia stata raggiunta nella storia della vita (la meta varia grandemente secondo i casi, ma suole essere identificata con l’aumento della complessità). Con l’occasione di analizzare questo problema, Castrodeza affronta questioni centrali in filosofia della biologia, come la definizione stessa di “progresso” e gli aspetti ideologici che a questa nozione soggiacciono, o lo stuatuto scientifico della teoria dell’evoluzione.
Poco dopo aver fatto amicizia con lui, lessi il suo Teoría Histórica de la Selecció Natural (Madrid, Alhambra, 1988), una copia che egli stesso mi regalò e mi dedicò, cosa che mi spinse ad andare avanti con tutti gli altri suoi libri. In certa misura questa opera fu la prima a svegliare in me l’interesse per la filsofia della biologia, e più in particolare per la teoria dell’evoluzione. Qui Castrodeza dispiega in maniera impressionante tutto il suo sapere storico su Darwin e sul darwinismo. Non solo ricostruisce minuziosamente la gestazione delle idee di Darwin nel suo contesto sociale e culturale – rifuggendo, come si è detto, un’agiografia strumentale – ma introduce commenti rivelatori circa il modo in cui questa ricostruzione storica sia stata fatta per gli storici, e i vizi di cui ha sofferto. Come afferma nella prefazione, “l’obiettivo è poter comprovare fino a che punto le sue preoccupazioni [quelle di Darwin] erano quelle del suo tempo e luogo, e vedere altresì fino a che punto l’originalità di un autore dipende dalle concezioni del suo contesto”. Questo libro e il precedente meritarono a tempo debito una rassegna lusinghiera dello storico della scienza e della tecnica Thomas Glick su Biology and Philosophy (vol. 7, 1992).
Tuttavia i suoi contributi filosofici fondamentali sono nelle sue opere successive. Nel 1999 pubblica Razón Biológica: La Base Evolucionista del Pensamiento (Madrid: Minerva), nel quale dà una svolta importante a suo pensiero che fino ad allora aveva avuto un impianto fondamentalmente storiografico: si dirige, con una valenza che lo caratterizzerà da quel momento in poi, a trarre conseguenze filosofiche radicali dall’assunzione della visione del mondo proposta dal darwinismo contemporaneo. Castrodeza ci ammonisce in questo libro a prendere Darwin più seramente di quanto lo abbiano preso altri, come Michael Ruse nel suo famoso libro (Taking Darwin Seriously, 1998, ndt). Il filo conduttore del libro è la contrapposizione tra “accidentalismo” ed “essenzialismo” come posizioni filosofiche e vitali di carattere generale. L’accidentalismo è l’idea secondo la quale “l’animale umano sarebbe il risultato di un accidente organico”. Al contrario, l’essenzialista sostiene che “l’essere umano, in qualche modo, si differenzia dal resto degli organismi per qualcosa di essenziale” (p. 13). L’essenzialista pertanto sarebbe un difensore di quello che si conosce come “salto ontologico” tra esseri umani ed animali, mentre l’accidentalista sarebbe il darwinista coerente. Però Castrodeza sostiene che anche un essenzialismo coerente e senza esitazioni debba fare i conti con il rifiuto di cinque tesi che godono di ampia diffusione. Le tesi che si devono abbandonare sono le seguenti:
1) a differenza di quanto accade nel mondo naturale, in cui l’evoluzione non significa progresso, nel mondo culturale e specialmente in quello scientifico e tecnologico esiste un progresso costante (verso la verità o verso una una comprensione sempre migliore della realtà oggettiva) che separa l’uomo definitivamente dalla base naturale rappresentata dall’evoluzione biologica.
2) L’intelligenza umana è un fattore acquisito per sempre e pertanto non può essere persa.
3) L’essere umano deve opporre un’etica propria alla “etica” brutale della sopravvivenza del più adatto.
4) La separazione tra cultura scientifica e cultura umanistica (il problema delle due culture) obbedisce solo a ragioni proprie dello sviluppo culturale.
5) La “civiltà occidentale” presenta peculiarità che la posizionano come qualcosa di speciale nella storia della specie umana; in particolare, ha permesso come nessun’altra di liberare l’essere umano dalla suo “asservimento biologico”.
Ognuno dei cinque capitoli del libro si occupa di presentare e discutere la debolezza di queste tesi, offrendo una speciale penetranza critica riguardo alla prima tesi che, non a caso, è quella che sostiene le altre.
Queste idee si svilupparono ulteriormente in Los Límites de la Historia Natural. Hacia Una Nueva Biología del Conocimiento (Madrid, Aka, 2003), La Marsopa de Heigegger. El Lugar de la Ciencia en la Cultura Actual (Madrid, Dickinson, 2003) e soprattutto Nihilismo y Supervivencia: Una Expresión Naturalista de lo Inefable (Madrid, Trotta, 2007). In queste ultime due opere, Castrodeza connette la sua preoccupazione per la base biologica della culura uamana con la filosofia di Heidegger e con il problema del nichilismo, che diverrà a partire da questo momento un asse centrale del suo pensiero. È così, per esempio, che descrive in questo momento la nostra condizione umana:
Per la biologia, per la genetica, e in fondo per la scienza, siamo programmati per vivere, praticamente a tutti i costi, contro il vento e la marea, con l’obiettivo finale di preparare il terreno per una prossima generazione. D’altra parte, tuttavia, per nostra costituzione organico-adattativa contempliamo la nostra stessa finitudine, la nostra cruda temporalità. Qualunque destino abbiamo davanti, ci attende la sofferenza, perché al termine abbiamo fine oppure no, e in entrambi i casi si stende l’abbandono. Di modo che il bene maggiore è non accettare l’inevitabile, intraprendere una ribellione irrazionale, perché irrazionale è la soluzione della selezione naturale (Nihilismo y Supervivencia, 2007, p. 29).Nel 2009 vide la luce la sua opera intellettualmente più matura che, per disgrazia, costituirà il suo lascito definitivo: La Darwinización del Mundo: Una Bioantropología de la Filosofía y de la Ciencia en Su Historia (Barcelona: Herder). In essa Castrodeza mostra davvero come prendere Darwin sul serio. Il darwinismo diventa qui la chiave interpretativa di tutta la cultura e dell’esistenza umana stessa. “Il principio della selezione naturale – scrive – è più metafisico che fisico, e sebbene questo possa suonare sorprendente non dovrebbe esserlo tanto, perché tale principio risponde, in definitiva, a una cosmovisione naturalista che ci invita a saperci attenere a un’esistenza sotto presupposti minimamente metafisici, ma pur sempre metafisici” (La Darwinización del Mundo, 2009, p. 19).
Le conseguenze della naturalizzazione della nostra visione del mondo che implica l’adozione del darwinismo sono ineludibili, ma anche dolorose:
Biolgizzare l’uomo fin nelle sue pieghe più profonde è il penosissimo processo di mostrare la nostra vulnerabilità totale davanti alla quale si staglia un cosmo completamente alieno a quella che si può definire la nostra problematica esistenziale, per quanto si voglia promuovere un “principio antropico” o simili che ci segue lasciandoci dove siamo, illusioni a parte (p. 360).Ecco qui di nuovo la questione dell’“accidentalismo”. Biologizzare l’uomo implica riconoscere finalmente che, come aveva detto Nietzsche, siamo una manifestazione della vita situata in un angolo appartato e insignificante dell’universo. Senza privilegi ontologici né morali (tantomeno quelli che interessatamente abbiamo preteso di avere), e senza un telos che giustifichi gli zigzag della nostra crudele storia. C’è un modo, senza abbandonare il naturalismo, senza ricorrrere a un Deus ex machina, o senza cadere in un rifiuto della scienza alla Heidegger, di evitare questa conclusione? Castrodeza non crede che vi sia, e per supportare questa tesi riempie le pagine del libro di argomenti convincenti e di reinterpretazioni illuminanti della storia della filosofia.
Il processo di darwinizazione del mondo è il passo più recente di un cammino di naturalizzazione il cui primo movimento fu la meccanizzazione del mondo iniziata con la scienza moderna nel Rinascimento, portata al suo estremo dal Positivismo Logico nella prima metà del ventesimo secolo. Quello che non seppero vedere i positivisti è che questo processo di naturalizzazione, dopo l’incorporazione di Darwin, conduce alla situazione descritta dal secondo Heidegger molto più lucidamente. Heidegger seppe vedere come nessun altro quale fu il punto di partenza del natutralismo e quale sia il suo sbocco nel nostro tempo, il tempo della scienza e della tecnica, il tempo che egli chiamava “dell’immagine del mondo”. Questo risultato finale non è altro che il nichilismo. Al darwinista coerente – e in questo può riassumersi l’idea centrale del libro che abbiamo commentato – non ci è altra via d’uscita che il nichilismo. Alla fine e al principio, tutti i correlati giustificatori che permisero in passato di scappare da questa conclusione si sono rivelati letteralmente incredibili, come segnalerà Lyotard, salvo il fatto che solo da una prospettiva darwinista potrebbero essere visti come mere strategie culturali di adattamento all’ambiente; come d’altra parte, per amore di coerenza, deve essere visto il darwinismo stesso.
In questi ultimi anni non l’affetto e l’ammirazione che sentivo per Carlos, così come l’interesse per la sua opera, non hanno fatto che crescere. Pubblicai alcune recensioni dei suoi libri e lui, in un gesto che gradii enormemente, ne pubblicò alcune sui miei. La sua perspicacia e bontà erano riflesse perfettamente in esse. Ho l’onore di dire che uno dei suoi ultimi lavori che verranno pubblicati è il contributo, breve ma sostanzioso, che scrisse per il libro Naturaleza Animal, Naturaleza Humana, che ho coordinato con José Maria Atencia per l’editore Biblioteca Nueva. Continueremo, senza alcun dubbio, a dialogare con lui.
—
Antonio Diéguez (2012), in Antonio Diéguez, Vicente Claramonte, Jesús Alcolea, Gustavo Caponi, Arantza Etxeberría, Pablo Lorenzano, Alfredo Marcos, Jorge Martínez-Contreras, Alejandro Rosas, eds. I Congreso de la Asociación Iberoamericana de Filosofía de la Biología, Publicacions de la Universitat de València, pp. 398-403. ISBN 978-84-370-9040-5
Traduzione (con permesso dell’autore) e introduzione di Emanuele Serrelli