Fringuelli di Darwin, se la genetica ci mette becco
Uno studio di genetica, nato per integrare la tassonomia basata sui caratteri fisici, individua la base molecolare per uno dei caratteri principali studiati dal grande naturalista inglese nei suoi famosi fringuelli: le dimensioni del becco. Ma rileva anche l’esistenza di regolari flussi di geni interspecie, oltre a sottolineare l’importanza della microevoluzione nell’adattamento ai cambiamenti ambientali delle singole specie
Nel raccontare del suo viaggio intorno al mondo, e dell’importanza delle specie da lui osservate nel far nascere l’idea dell’evoluzione, Charles Darwin assegnava un posto di grande rilievo ai numerosi tipi di fringuelli osservati nelle isole Galapagos. Aveva infatti notato come in quasi ogni isola dell’arcipelago esistessero uccelli simili a quelli del continente americano, nei tratti generali, ma dotati ciascuno di un becco caratteristico, che sembrava ‘progettato’ per sfruttare la risorsa di cibo più abbondante nell’isola. Questa osservazione fu essenziale per far nascere il concetto della selezione naturale: con gli individui dotati di caratteri utili alla loro sopravvivenza che si riproducono più efficacemente, fino a quando tutti, o quanto meno la maggior parte, dei membri di una popolazione finiscono per essere discendenti diretti di questi primi individui “fortunati”, dotati dei carattere vantaggioso che hanno da loro ereditato.
Ma i caratteri vantaggiosi da dove vengono?
Nonostante la grande intuizione relativa alla selezione naturale, le teorie formulate da Darwin avevano un problema: Il naturalista inglese non sapeva né dove nascesse la diversità né come fosse trasmessa ai discendenti. Lo sapeva, o iniziava a capirlo, in quegli stessi anni un’abate ceco di lingua tedesca, appassionato di matematica e di piante di pisello: Gregor Mendel. Ma le sue teorie furono per lo più ignorate fino ai primi anni del novecento quando furono riscoperte portando un’altra piccola rivoluzione scientifica. Forti del contributo mendeliano, i biologi degli anni ’40 del secolo appena trascorso hanno integrato l’idea originale di Darwin nella teoria comunemente chiamata sintesi moderna. Poi i progressi tumultuosi della biologia molecolare hanno portato alla necessità di aggiungere alle teorie evolutive altri dati, tanto che molti biologi evoluzionisti oggi sentono la necessità di parlare di una nuova teoria detta nuova sintesi: come una pianta viva le teorie scientifiche crescono aggiungendo nuovi rami, anche se il seme da cui tutto è nato, resta l’idea di Darwin.
E i fringuelli?
Oggi una valanga di dati paleontologici, ecologici e molecolari non fanno che macinare continue nuove conferme alla validità generale della teoria dell’evoluzione. Ma stranamente il gruppo di specie da cui tutto è partito, i fringuelli delle isole Galapagos, sono stati fino ad oggi presi poco in considerazione per quegli stessi studi genetici che hanno contribuito a validare la teoria altrove. A risolvere la questione hanno provveduto S. Lamichhaney e colleghi che, grazie a una collaborazione tra università svedesi e statunitensi, hanno risequenziato il genoma di 120 fringuelli appartenenti a tutte le specie classificate sulle isole Galapagos. Nel caso di molte specie i ricercatori hanno sequenziato individui diversi per isole diverse, quando la specie ne occupava più di una, oltre a sequenziare, per confronto, il genoma di due specie di fringuelli proprie del continente sudamericano strettamente imparentate a quelle delle isole.
Conferme e sorprese
I risultati, pubblicati dai ricercatori sulla rivista Nature, consolidano l’idea dell’evoluzione dei fringuelli a partire da un antenato comune. Essa sarebbe avvenuta, secondo la datazione del DNA mitocondriale, a partire da 1,5 milioni di anni fa in seguito alla colonizzazione delle neo emerse isole Galapagos, formatesi proprio in quel periodo grazie a fenomeni di vulcanesimo nel pacifico. Ma i risultati portano anche ad alcune conclusioni curiose e interessanti: molte delle popolazioni classificate come specie su base morfologica sono in realtà l’insieme di più specie arrivate ad adattamenti fisici simili; forse per fenomeni di convergenza evolutiva. E nonostante la definizione tradizionale di specie biologica, che prevede l’impossibilità di produrre ibridi fertili fra specie diverse, Il DNA dei vari fringuelli mostra regolari e costanti flussi di geni tra una specie e l’altra.
Infine il becco
Correlando statisticamente le forme del becco con le variazioni più evidenti del genoma fra le varie specie, gli autori dello studio hanno individuato sei possibili geni implicati nella morfologia del becco fra quelli già noti per controllare la morfologia del cranio e della faccia in uccelli e mammiferi. Fra i sei geni, i ricercatori hanno puntato l’attenzione su un candidato particolarmente promettente chiamato ALX1, già noto per produrre un fattore di regolazione genetico per il mesenchima cranio facciale e implicato, nell’uomo, in casi di malformazione al viso. Sono presenti numerose varianti di ALX1 fra le varie specie di fringuello, ma gli autori della ricerca hanno potuto raggrupparle in due principali aplotipi: quello denominato B (dall’inglese Blunt: smussato) che produce nei suoi portatori becchi poco appuntiti, ma robusti, e quello denominato P (da Sharp: appuntito) che porta a becchi aguzzi. Tutti gli esemplari con becco smussato esaminati presentavano aplotipo B omozigote (tranne un unico caso eterozigote). Mentre gli esemplari dotati di becco appuntito sono risultati omozigoti per l’aplotipo P.
Cambiare (e incrociarsi) per vivere
Una particolare specie detta Geospiza fortis ha attirato l’attenzione degli autori: è diffusa su due isole e presenta sia individui BB dal becco smussato, individui PP dal becco aguzzo e eterozigoti BP con fenotipi intermedi. Condivide l’habitat con una specie dal becco smussato su una delle isole ed una col becco aguzzo sull’altra. Probabilmente grazie al flusso di geni interspecie gli individui di G. fortis presentano becchi e geni più simili a quelli della specie con cui convivono rispetto agli individui dell’altra isola. Gli autori più anziani della ricerca, Peter Grant e sua moglie B. Rosemary Grant, avevano già osservato le popolazioni di G. fortis per quasi trent’anni, notando come il fenotipo del becco e le frequenze geniche variassero con le variazioni del clima occorse in questo periodo. La microevoluzione (il cambiamento nella frequenza dei geni presenti in una popolazione) oltre che sufficiente a produrre alla lunga nuove specie, sembra necessario alle singole specie per sopravvivere. Forse per questo motivo i flussi di geni fra specie (introgressione) sono più comuni di quanto si ritenesse anche fra gli animali.
La pianta dell’evoluzione ha rami forti, ma proprio i fringuelli alla sua base sembrano averle regalato una nuova gemma verde.
Riferimenti:
Lamichhaney S, Berglund J, Almén MS, Maqbool K, Grabherr M, Martinez-Barrio A, Promerová M, Rubin CJ, Wang C, Zamani N, Grant BR, Grant PR, Webster MT, Andersson L. Evolution of Darwin’s finches and their beaks revealed by genome sequencing. Nature. 2015 Feb 19;518(7539):371-5. doi: 10.1038/nature14181.