Il bambino col genoma più antico d’Italia

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Da uno scheletro di neonato di 17000 anni, ritrovato a Grotta delle Mura, emergono frammenti della storia dei nostri antenati, abitanti dell’Italia nel Paleolitico superiore

Le sepolture infantili risalenti alla preistoria sono molto rare. Le ossa non si conservano facilmente e trovare uno scheletro completo e ben conservato è un evento eccezionale. Da questi reperti possiamo risalire a importanti informazioni sulla nostra storia, e oggi possiamo farlo anche grazie al DNA.

Lo scheletro di un bambino sepolto 17000 anni fa, ritrovato nel 1998 negli scavi diretti da Mauro Calattini a Grotta delle Mura, nei pressi di Monopoli (Puglia), racconta oggi dettagli per ricostruire il nostro passato. Uno studio pubblicato su Nature communications, condotto da un gruppo di ricerca internazionale guidato dalle Università di Firenze, Università di Bologna e Università di Siena, ha portato alla luce il genoma più antico d’Italia.

Origine e migrazione

I ricercatori hanno usato gli archi vertebrali di due vertebre per la datazione; un molare e un incisivo per le analisi istologiche; e l’osso petroso per l’estrazione del DNA antico.

Da queste analisi si può ricostruire non solo l’aspetto dell’individuo (probabilmente aveva la pelle scura, i capelli ricci e neri, e gli occhi blu) ma, grazie al filo conduttore del genoma e il suo accumularsi di piccole variazioni distribuite geograficamente, anche gli spostamenti, l’ origine, le migrazioni, le parentele.

“ Le popolazioni spostandosi secondo diverse traiettorie geografiche distribuite nel tempo lasciano tracce genetiche”

Spiega la dott.ssa Alessandra Modi, del dipartimento di Biologia dell’Università di Firenze coautrice dello studio.

Le analisi hanno permesso di tracciare le rotte migratorie avvenute a ridosso di importanti cambiamenti climatici. Come sottolinea la dott.ssa Modi:

L’analisi genomica e il confronto con altri individui antichi provenienti sia dall’Italia che da altre regioni dell’Europa hanno evidenziato significativi cambiamenti nella popolazione dell’Italia meridionale alla fine dell’ultimo massimo glaciale, legati all’arrivo di gruppi provenienti dai Balcani, che colonizzarono l’Italia da Nord-Est, come testimoniato dall’individuo di Riparo Tagliente in Veneto, che presenta un assetto genomico molto simile a quello del bambino di Grotta delle Mura, per poi scendere verso le regioni più meridionali della nostra Penisola”

Le pagine del nostro passato sembrano sfumare nell’individuazione di un’univoca identità. Migrazioni e variazioni di popolazione riducono la nitidezza dei confini. Prosegue la dott.ssa Modi:

“Quello che si osserva è una riduzione della variabilità genetica nell’Italia meridionale rispetto al nord che può essere interpretata attraverso una prospettiva biogeografica. I gruppi di cacciatori-raccoglitori hanno raggiunto la punta di una penisola lunga e stretta, semi-isolata dal mare. Ciò si traduce in una minore possibilità di flusso genico con popolazioni di altre regioni. A questo si aggiunge il fatto che probabilmente si trattava di una popolazione di piccole dimensioni con elevata consanguineità, che porta a effetti del fondatore e riduzione della variabilità genetica. Dalle analisi genomiche è infatti emerso che il bambino fosse figlio di parenti stretti, probabilmente cugini di primo grado. Da questo evento, raro nel Paleolitico, possiamo ipotizzare che si trattasse di una popolazione di piccole dimensioni”.

Giunti a destinazione

Accanto alle analisi genetiche, le analisi istochimiche forniscono, tra le altre cose, informazioni sui movimenti degli individui a una scala più ridotta. Il segnale isotopico dello stronzio, presente nei diversi tessuti del bimbo che registrano i diversi momenti di sviluppo, analizzato ad alta risoluzione spaziale con quello del territorio, ha permesso di dedurre che la madre del bimbo sia rimasta entro un areale relativamente circoscritto durante l’ultimo periodo della gravidanza.

Come riporta il dott. Owen Alexander Higgins, del dipartimento di Beni Culturali dell’Università di Bologna e del dipartimento di Scienze Odontostomatologiche e Maxillo Facciali dell’Università di Roma La Sapienza, primo autore dello studio:

“La matrice di smalto si deposita incrementalmente durante la crescita dei denti. Durante questo processo diversi segnali relativi a quel momento della vita di un individuo vengono registrati permanentemente nel tessuto dentale e attraverso la sua analisi è possibile ricostruire diversi momenti della vita di un individuo, inclusi dieta e mobilità. Per quanto riguarda la mobilità, le variazioni del segnale isotopico dello stronzio ,o in questo caso l’assenza di variazione, ci permettono di ricostruire gli spostamenti di un individuo.”

Nel caso di questo bambino, morto a circa 16 mesi di vita, il primo molare non ha fornito dati utili per il primo anno di vita a causa della diagenesi, prosegue Owen. Tuttavia, l’analisi della porzione del dente da latte che ha iniziato a formarsi prima della nascita, cioè durante la fase fetale, indica che la madre è rimasta stabile in quella zona della Puglia. Quest’area geografica presenta un segnale isotopico piuttosto omogeneo, a differenza di altre regioni geografiche, come le Alpi, dove da una vallata a un’altra il segnale può cambiare notevolmente e gli spostamenti possono essere seguiti con maggior dettaglio.”

Le possibili cause di morte

Le analisi istologiche, in combinazione con quelle genetiche, offrono uno sguardo sulla salute del bambino, portando addirittura a ipotizzare la possibile causa della sua morte. Spiegano gli autori:

La presenza di linee accentuate nei denti, indici di stress fisiologici (traumi, carenze nutrizionali, malattie) che avvengono durante la formazione del dente, hanno evidenziato almeno nove eventi stressogeni. Una parte durante la fase fetale (non comuni dato l’ambiente protetto dell’utero materno) e altri post natali”.

Inoltre, a livello genetico abbiamo identificato varianti associate ad una cardiomiopatia congenita che potrebbe essere responsabile dei vari eventi di stress fisiologico osservati nei denti e possibilmente aver portato anche alla morte del piccolo”.

Ancora una volta, le analisi degli antropologi ci permettono di immaginare la vita dei nostri antenati. Il genoma più antico d’Italia, un filamento fragile come un neonato e potente come la tecnica, ci unisce dalle nostre origini ad oggi portandoci a scoprire e unire parti di noi, quando ancora nessuno degli abitanti della penisola poteva dirsi italiano.

Riferimenti:

Higgins, O. A., Modi, A., Cannariato, C., Diroma, M. A., Lugli, F., Ricci, S., …Caramelli, D. (2024). Life history and ancestry of the late Upper Palaeolithic infant from Grotta delle Mura, Italy. Nat. Commun., 15(8248), 1–16. doi: 10.1038/s41467-024-51150-x

Immagine: ricostruzione artistica del bambino. Crediti: Stefano Ricci, Università di Siena, via Unifimagazine