Giallo tra i ghiacci

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Conosceva quei luoghi: molte volte si era seduto su quelle rocce a riposare, molte volte i suoi occhi azzurri avevano ammirato il paesaggio. Quegli stessi occhi azzurri scrutavano fugacemente il pendio alle sue spalle. Mentre correva, Ötzi cercava di pensare. Il suo arco era perso, il ramo di tasso che stava lavorando non era certo ancora pronto. Le frecce erano […]

Conosceva quei luoghi: molte volte si era seduto su quelle rocce a riposare, molte volte i suoi occhi azzurri avevano ammirato il paesaggio. Quegli stessi occhi azzurri scrutavano fugacemente il pendio alle sue spalle. Mentre correva, Ötzi cercava di pensare. Il suo arco era perso, il ramo di tasso che stava lavorando non era certo ancora pronto. Le frecce erano inutilizzabili, per ora restavano solo semplici stecche di viburno intagliato. per non parlare del suo pugnale di selce, con la punta ormai spezzata. Poteva contare solo sulla sua bellissima ascia in rame purissimo, segno del suo rango. Stringendone il manico in legno di tasso, pensò che il suo status stavolta non lo avrebbe protetto. Arrancando sentì, come mai prima d’allora, il peso dei suoi 45 anni: le gambe cominciavano a cedere e i suoi dolori articolari ad acutizzarsi; in testa il sangue gli pulsava per la lunga corsa.

Ad un tratto, un sibilo. Un dolore lancinante lo sorprese alla spalla sinistra. Mentre si accasciava, Ötzi capì: i suoi inseguitori erano ormai ad una cinquantina di metri e lo avevano colpito con una freccia. Cercò di estrarla trascinandosi nella neve, sentendo il sangue che gli scorreva tra le dita: il suo sangue. Si alzò e fece per voltarsi, ma prima che potesse guardarsi indietro un violento colpo al volto gli fratturò il cranio. Ötzi stramazzò al suolo e morì.

Il suo corpo era ancora steso nel nevischio e il sangue si mescolava alla neve sciolta, quando i suoi assassini lo girarono su un fianco per estrarre la loro freccia. Ma lo stelo si spezzò. Così lo abbandonarono: riverso nella conca, con il braccio sinistro ancora steso sotto il corpo in una posizione innaturale, il viso affondato nell’acqua e nella fanghiglia, su una grande lastra di granito chiaro che sarebbe stata la sua tomba.

Esattamente in quella stessa posizione fu ritrovato 5000 anni dopo da Erika ed Helmut Simon, due alpinisti tedeschi in marcia verso il rifugio Similaun dal Giogo di Tisa, in Val Venosta, il 19 settembre del 1991.

Queste sono le scene che immaginiamo mentre il Professor Raffaele De Marinis, docente di Preistoria e Protostoria all’Università degli Studi di Milano, racconta la storia di un uomo dell’età del Rame, il cui corpo è resistito ai millenni per giungere a noi dopo una perfetta mummificazione naturale! Il relatore ha infatti riassunto le ultime teorie sull’argomento in occasione della conferenza “I risultati delle più recenti ricerche sull’uomo di Similaun”, nell’ambito della manifestazione  BergamoScienza, aggiornandoci (come sottolinea il titolo stesso dell’evento) sui dati più recenti delle indagini.

Ötzi era un anziano, per l’epoca: aveva infatti 45-46 anni. Pesava circa 50 chili ed era alto 1,60 cm. Viveva nella fascia subalpina, sul versante italiano delle Alpi Retiche. Le sue condizioni di salute erano buone, considerata l’età: a parte qualche segno di degenerazione articolare e ossea, tipici segni di vecchiaia, i muscoli erano ben sviluppati e la dentatura sana. Fanno eccezione alcuni segni di vecchie fratture perfettamente rimarginate, un’infestazione intestinale comune per l’epoca e lo stato degli incisivi, logorati dalle polveri assunte con la farina d’orzo e frumento lavorata in macine di pietra e dalla masticazione delle pelli, allo scopo di ammorbidirle. Le condizioni generali di Ötzi hanno portato a scartare l’iniziale ipotesi che si trattasse di un pastore, facendo invece teorizzare che occupasse una posizione di rilievo all’interno della comunità in cui viveva.

Una curiosità: l’uomo del Similaun presenta sul suo corpo più di 50 tatuaggi. Sul polso sinistro, a destra e a sinistra della spina dorsale, sul polpaccio sinistro, sul dorso del piede destro e sul malleolo interno ed esterno, all’interno del ginocchio destro e vicino al tendine di Achille si osservano infatti delle linee e delle croci realizzate incidendo la pelle e strofinando del carbone vegetale. Si rigetta normalmente l’ipotesi che questi tatuaggi potessero trattarsi di simboli rituali o di indicazioni di rango o di appartenenza ad una determinata comunità, in quanto si trovano in punti del corpo poco visibili, coperti dal vestiario. Si è invece teorizzato potesse trattarsi di misure terapeutiche in punti sottoposti a forti sollecitazioni meccaniche o a fenomeni artrosici. Il Professor De Marinis fa però notare che, almeno nel caso di artrosi alla schiena, i dolori sarebbero stati avvertiti a livello delle gambe e non della schiena stessa. Inoltre, se Ötzi avesse avuto artrosi in tutti quei punti della colonna vertebrale, non sarebbe riuscito a muoversi. Quindi non è chiaro il significato dei tatuaggi almeno a livello della spina dorsale.

Insieme a Ötzi, sono stati trovati reperti di incredibile valore. Anzitutto i suoi abiti: un perizoma con cintura di pelle di vitello, un grembiule di pelle di capra e due leggings dello stesso materiale, che presentano ad un’estremità pelliccia di cervo per ricoprire i piedi e all’altra strisce di cuoio per legarli alla cintura. Ai piedi indossava dei calzari costituiti da una scarpa interna, formata da una rete di corde vegetali che fermava un’imbottitura di fieno, e una tomaia in pelle di cervo; entrambe fissate con lacci di cuoio ai bordi di una suola ovale in pelle d’orso. Inoltre è stato ritrovato un copricapo realizzato cucendo diverse strisce di pelliccia d’orso. In origine due lacci di pelle fissati al bordo inferiore del berretto servivano per legarlo sotto il mento. L’uomo vestiva anche un capo di strisce di pelle di capra chiare e scure alternate, cucite con filo di tendine animale, foderato di pelliccia all’interno. Probabilmente questo abito doveva avere un aspetto molto simile ad un poncho. A coprire l’intero vestiario, una stuoia simile ad una mantella realizzata con steli e giunchi di graminacee alpine, che ricorda i capi utilizzati dai pastori portoghesi nel XX secolo. Anche a causa di questa analogia Ötzi era stato inizialmente considerato un pastore in periodo di transumanza.

L’uomo del Simlaun aveva con sé anche numerosi attrezzi: un marsupio, un fodero in fibre di tiglio che ospitava un pugnale con manico in frassino e punta spezzata in selce, un ritoccatore simile ad una matita per lavorare la selce, 14 frecce di cui solo due utilizzate (e conseguentemente rotte) e le altre inutilizzabili, un arco ancora in costruzione, una faretra, un’ascia in rame, uno zainetto con intelaiatura in legno di nocciolo e due assicelle in larice a fare da schienale, recipienti in corteccia di betulla contenenti foglie d’acero (forse un modo per trasportare le braci) e due funghi dalle proprietà antisettiche disposti su strisce di cuoio. L’analisi al radiocarbonio ha permesso di datare questi materiali al 3000-3500 a.C.

Un dato interessante è emerso dall’analisi delle frecce: l’impennaggio non è  stato realizzato in file parallele, ma leggermente elicoidali. Questo particolare fa ipotizzare che Ötzi ed i suoi contemporanei avessero concezioni balistiche piuttosto avanzate: questo tipo di struttura consente infatti alla freccia di roteare su se stessa, stabilizzandone la traiettoria ed aumentando così la precisione del tiro.  

Lo studio di Ötzi ha permesso di approfondire la conoscenza non solo della situazione puntuale costituita dagli avvenimenti che portarono al suo decesso, ma anche del contesto storico, sociale e culturale in cui viveva. Numerosi progetti di ricerca continuano in questi anni, avvalendosi anche di tecniche pionieristiche in diversi ambiti, come la biologia molecolare e la genetica. I segreti che l’uomo del Similaun ha da svelarci non sono quindi ancora finiti…

Ilaria Panzeri e Luca Perri

Segnaliamo la mostra: “L’uomo venuto dal ghiaccio”, aperta fino al 31 maggio 2010 presso la Sala Viscontea di Piazza Cittadella a Bergamo Alta. Per maggiori informazioni: www.ortobotanicodibergamo.it oppure www.museoarcheologicobergamo.it

Per approfondimenti consigliamo il sito: www.iceman.it, del Museo Archeologico dell’Alto Adige, in cui è conservata la mummia di Ötzi.