Il bisogno aguzza il cervello (dei primati)
La necessità di sopravvivere in aree con variazioni stagionali delle risorse e il conseguente bisogno di procurarsi cibi di ripiego, difficili da sfruttare, potrebbe aver contribuito all’aumento delle dimensioni del cervello e dell’intelligenza in varie specie di primati
Si dice che il bisogno aguzzi l’ingegno: nel caso del cervello di varie specie di primati questo sembra essere vero, anche dal punto di vista evolutivo. Cervelli di grandi dimensioni, insieme alla capacità di risolvere problemi cognitivamente complessi, si sono evoluti in almeno quattro distinte linee appartenenti all’ordine Primates: Hominoidea (uomo e scimmie antropomorfe), generi Papio e Macaca della super-famiglia Cercopithecoidea (scimmie non antropomorfe di Africa e Asia) e genere Cebus (scimmie platirrine americane). Resta tuttavia oggetto di dibattito quali pressioni selettive abbiano portato a questa peculiare forma di adattamento all’ambiente.
Un articolo su Journal of Human Evolution propone che la tendenza a sviluppare buone capacità cognitive, nelle specie appartenenti alle quattro linee evolutive, sia una conseguenza dell’adattamento ad habitat soggetti a forti variazioni climatiche stagionali. Più nello specifico, la teoria propone che durante una parte significativa dell’anno, in questo genere di habitat, gli alimenti che costituiscono la normale base della dieta dei primati, come la frutta, si facciano scarsi.
Durante questi periodi di carenza i primati sarebbero quindi costrette a cercare cibi di ripiego, come insetti o altri piccoli invertebrati, molto nutrienti ma meno immediatamente accessibili della frutta, essendo nascosti e difficili da snidare, oppure protetti da esoscheletri duri. Essere costretti ad alimentarsi di insetti avrebbe quindi favorito gli individui con cervelli più sviluppati, in quanto questa attività risulta difficile e complessa, ma allo stesso tempo fornisce a chi è in grado di svolgerla i nutrienti necessari allo sviluppo cerebrale: grassi e proteine di cui gli invertebrati sono ricchi.
A supporto di questa ipotesi, lo studio mostra i risultati di osservazioni sul campo, svolte presso alcune foreste del Costarica, che hanno confrontato il clima, oltre all’abbondanza di frutta e invertebrati, con le preferenze alimentari del cebo cappuccino (Cebus capucinus, una specie comune di scimmia platirrina locale). I dati hanno confermato che, anche se gli invertebrati sono presenti nell’area tutto l’anno, i cebi li consumano soltanto nei periodi di scarsità di frutta.
Confrontati con gli esiti di ricerche precedenti, i risultati hanno permesso poi di stabilire che l’abitudine a risolvere problemi complessi, così come l’uso abituale di strumenti, è più diffusa fra le specie di cebo definite robuste (da alcuni autori raggruppate nel genere Sapajus). Queste specie vivono in ambienti più soggetti variazioni stagionali, e consumano più spesso cibi di ripiego, di quanto lo facciano le specie di cebo definite gracili (genere Cebus propriamente detto) abituate a climi più costanti.
Resta il quesito di quanto valgano le conclusioni ottenute sui cebi per le altre tre linee di scimmie con capacità cognitive sviluppate. In particolare per gli ominidi. Lo studio mostra l’esistenza in letteratura di ricerche che provano, tramite l’analisi degli isotopi, la presenza di una dieta composta da insetti e da vegetali sotterranei in numerosi ominidi fossili.
Il consumo di questi cibi poco accessibili prova indirettamente le loro avanzate capacità, e che molte delle specie più antiche probabilmente erano già in grado di usare utensili, fatti di materiale deperibile, molto prima di quelli in pietra che si sono potuti conservare fino a oggi.
Ma la dieta di questi antichi ominidi prova anche la necessità di grassi e proteine per sostenere i cervelli via via più grandi necessari ai loro comportamenti complessi. Grassi e proteine che, prima che iniziasse il consumo sistematico di carne da parte del genere Homo, non potevano che venire da insetti o da altri invertebrati.
Gli insetti, molto prima della carne, sono stati probabilmente quindi sia lo stimolo che la base nutritiva che ha permesso l’evoluzione di grandi cervelli anche fra gli ominidi.
Daniele Paulis
Riferimenti:
Amanda D. Melin , Hilary C. Young , Krisztina N. Mosdossy , Linda M. Fedigan. Seasonality, extractive foraging and the evolution of primate sensorimotor intelligence. Journal of Human Evolution 71 (2014) 77-86