Il lupo preistorico delle “chapapote”
La storia (naturale) poco divulgata di un “lupo” vissuto in Sud America nel periodo dell’Era Glaciale
Il protagonista di questo articolo appartiene alla famiglia dei canidi e il suo record fossile è ampiamente rappresentato nelle “chapapote” pleistoceniche del Nuovo Mondo, descritte anticamente dal geologo William P. Blake (1826-1910) come “un insieme di distese di petrolio liquido e pece, che in condizioni climatiche estremamente secche attiravano gli animali alla ricerca di una fonte di abbeveramento, facendoli rimanere intrappolati e conservando i loro resti fossili per migliaia di anni”.
Diversamente da quello che si potrebbe pensare, non stiamo parlando del famoso canide dell’”Era Glaciale” Canis dirus, bensì di Protocyon troglodytes, un “lupo” ancestrale di medie dimensioni (di peso compreso tra 16 e 25 chilogrammi) che è vissuto nel continente sud-americano per gran parte del Pleistocene, da circa 500.000 anni fa fino a 10.000 anni fa, come dimostrato dall’età dei più antichi frammenti ossei della specie provenienti dal sito di San Pedro in Bolivia. Una buona parte dei ritrovamenti fossili di questo carnivoro estinto sono giunti dall’area di Lagoa Santa nello stato del Minas Gerais in Brasile e sono stati descritti per la prima volta dal paleontologo danese Peter Wilhelm Lund (1801-1880) nel corso dell’anno 1838.
Altri siti della tarda “Epoca Glaciale” in cui è stato ritrovato questo feroce mammifero primigenio sono Buenos Aires in Argentina, Ñuapua e Tarija Valley in Bolivia, Toca da Boa Vista, Arroio Chuí, Santa Vitória do Palmar, Chuí Creek e Serra da Bodoquena in Brasile, La Carolina e la penisola di Sant’Elena in Equador e Paso Muñoz Bridge in Uruguay.
In tempi più recenti il naturalista Francisco J. Prevosti e il paleontologo dei vertebrati Ascanio D. Rincon hanno pubblicato nel 2007 nel “Journal of Paleontology” la scoperta di parti di mandibole e denti premolari e molari di questo predatore verificatasi nelle profonde pozze bituminose di Inciarte nel Venezuela occidentale. Questo studio ha permesso di ricostruire più minuziosamente la morfologia di P. troglodytes mettendo in risalto il fatto che sia il cranio che la dentatura di questo canide dell’”Era Glaciale” erano fortemente specializzati e caratterizzati da importanti tratti diagnostici, basilari per riuscire a distinguere questa specie da altre dello stesso genere. Ad esempio, la parte inferiore della mandibola mostrava una forma pressoché lineare, gli archi zigomatici presentavano una notevole ampiezza e la dentatura era costituita dai canini relativamente corti e robusti e dal primo molare inferiore e il quarto premolare superiore (denti ferini) di dimensioni nettamente maggiori rispetto a quelle degli altri molari.
Dal punto di vista ecologico P. troglodytes apparteneva alla categoria degli iper-carnivori detti anche carnivori obbligati, ossia animali che non possono sopravvivere senza il costante consumo di carne, come ad esempio tutti i felidi, gli ofidi e alcuni canidi estinti ed attuali. Esso popolava, inoltre, sia gli ambienti aperti di prateria, così come quelli chiusi di foresta mista a savana tropicale, definita “cerrado”.
Infine le ossa metapodiali di questo abile predatore di forma abbastanza sottile e allungata hanno avvalorato l’ipotesi che esso fosse un corridore instancabile, che molto probabilmente adottava una strategia di caccia simile a quella del lupo attuale Canis lupus, inseguendo in branco fino allo sfinimento ruminanti di taglia medio-grande con massa corporea compresa tra i 50 e i 300 chilogrammi, in particolare gli equidi Equus neogeus e Hippidion principale, il proboscidato Stegomastodon platensis, il camelide Lama guanicoe e talvolta i cuccioli del bradipo terricolo gigante Megatherium americanum.
La totale eclissi di P. troglodytes, così come quella di P. tarijensis e in senso lato della maggior parte dei carnivori di grandi dimensioni di quel periodo, risale al “Last Glacial Maximum” a cavallo tra il Pleistocene Superiore e il successivo periodo dell’Olocene, intorno ai 10.000 anni fa. Le probabili cause della sua estinzione sono da ricercare nelle importanti modificazioni climatiche che hanno portato ad un riscaldamento delle temperature e al conseguente cambiamento della vegetazione e della fauna ad ungulati. Altrettanto rilevante è stata anche la forte competizione e la caccia diretta da parte di Homo sapiens a partire da circa 15.000 anni fa, momento in cui si innescarono le prime “ondate” migratorie della nostra specie a sud del Nuovo Mondo.
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Immagine da Wikimedia Commons